Dimore storiche, contributi per restaurarle - QdS

Dimore storiche, contributi per restaurarle

Pietro Vultaggio

Dimore storiche, contributi per restaurarle

mercoledì 23 Ottobre 2019

I finanziamenti (che ammontano 2,3 milioni per i prossimi tre anni) provengono dalla Legge regionale 8 del 2018. Nove le case entrate in graduatoria e per le quali i proprietari potranno beneficiare del cofinanziamento regionale

PALERMO – Le dimore storiche siciliane devono rappresentare il baluardo non discutibile per antonomasia. La Regione si sta muovendo in tal senso, infatti sono in arrivo i primi contributi.

È pronta la graduatoria dei finanziamenti di oltre un milione e mezzo di euro, stilata da funzionari dei Beni culturali, per interventi conservativi e di restauro. Attualmente sono nove gli edifici che potranno usufruire delle risorse: a Palermo, Casa dell’Arenella (restauro e messa in sicurezza); Palazzo Alliata di Pietratagliata (manutenzione straordinaria e installazione di un ascensore per disabili); Villa Spina (completamento del restauro); Villa Lampedusa (messa in sicurezza delle strutture); Palazzo Filangeri (restauro dei prospetti e delle coperture); Villa de Cordova di Sant’Isidoro (restauro e messa in valore della villa); a Catania, Palazzo San Demetrio (lavori al prospetto e adeguamento dei locali per la pubblica fruizione); a Trapani, Casa D’Alì (restauro e miglioramento della fruizione della Casa Museo); a Messina, Castello Baronale di Roccavaldina (completamento del restauro e consolidamento).

I finanziamenti provengono dalla legge regionale 8 del 2018, grazie alla quale gli assessorati dei Beni culturali e dell’Economia hanno stanziato, per il triennio 2018/2020, 2 milioni e 300 mila euro. Risorse che serviranno per co-finanziare le spese sostenute dai proprietari, detentori a qualunque titolo di edifici dichiarati di importante interesse culturale. La condizione cardine è che siano aperti periodicamente al pubblico.

Per quanto riguarda Casa D’Alì, Antonio D’Alì si esprime su alcuni punti: “Dal 1806 la mia famiglia possiede la casa dove sono nato e dove sono da sempre residente, una delle condizioni indispensabili di ammissione al bando. Ne ho sempre curato, con rilevanti oneri, la manutenzione. Ho sempre accarezzato l’idea di poterla periodicamente aprire alla pubblica fruizione, come esempio di dimora dove otto generazioni hanno lasciato il segno del loro passaggio”. Da qui un excursus tracciato da D’Alì: “Nell’ottobre 2018, avendo già dismesso ogni pubblico incarico, ho partecipato ad un bando della Regione Sicilia riservato a dimore storiche e finalizzato a residue opere di adattamento delle stesse, per rendere accessibile e meglio fruibile la struttura. Ho fatto redigere un progetto – continua – in collaborazione tra uno studio trapanese ed uno milanese, che prevede principalmente la sistemazione dei locali al piano terra destinandoli a galleria espositiva, a completamento dell’itinerario di visita del primo piano. L’obiettivo è anche quello di ospitare eventi d’arte contemporanea.

Il progetto, sottoposto all’approvazione della locale Sopraintendenza, ha riscontrato il compiacimento dell’Assessorato ai Beni Culturali della Regione Siciliana ed è entrato in graduatoria utile per il finanziamento”.

Ci sono dei parametri da rispettare, il contributo non può superare, per un singolo immobile, la soglia del 50% della spesa e per un importo massimo di €. 200.000. “Nel mio caso – prosegue D’Alì – la spesa ammessa è di circa 360.000 euro, quindi con un contributo previsto a rendiconto di €. 180.000 circa, rimanendo a carico del richiedente ogni altro costo. Il progetto prevede la stipula di una convenzione con la Regione Sicilia che ne disciplini obblighi e modalità di apertura al pubblico e la convenzione con un Istituto scolastico della città per svolgere attività didattica. Il mio obbiettivo di creare – conclude – una opportunità culturale a Trapani non muta. Oltre che come omaggio alla città, lo devo per rendere parziale giustizia alla storia della mia famiglia, la cui rilevanza forse si è tentato di oscurare, ma che ogni onesto storico non ha potuto e non può fare a meno di riconoscere”.

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