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Disagio di coppia, femminicidi e violenza in Sicilia, è allarme

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Disagio di coppia, femminicidi e violenza in Sicilia, è allarme

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mercoledì 10 Novembre 2021

Il fenomeno della violenza tra i giovani appare sempre più diffuso negli ultimi anni, in Italia e non solo. Le coppie, spesso, ne sono protagoniste

Il fenomeno della violenza tra i giovani appare sempre più diffuso negli ultimi anni, in Italia e non solo. Le coppie, spesso, ne sono protagoniste.

I terribili casi registrati nel 2021 ne sono l’emblema ed alcuni hanno toccato anche la Sicilia: dal brutale omicidio di Roberta Siragusa, la diciottenne assassinata e data alle fiamme dal fidanzato a gennaio a Caccamo, fino all’accoltellamento della ragazza di Palermo avvenuto una settimana fa ad opera del compagno ventitreenne, rinvenuto morto sul tetto dell’ospedale in cui era stato ricoverato e sottoposto agli arresti domiciliari dopo l’aggressione.

È proprio quest’ultimo caso a gettare l’ennesimo allarme tra gli esperti, in quanto mette in mostra, da un lato, il comportamento di dominazione e controllo che sovente sfocia in femminicidio e, dall’altro lato, il disagio che troppo spesso si nasconde nelle personalità degli appartenenti alle nuove generazioni.

A parlarne, al QdS, è stata Karin Guccione, psicologa e psicoterapeuta con una ampia esperienza nel trattamento di problematiche giovanili che opera nelle scuole del capoluogo siciliano.

Degli ultimi casi di femminicidio o tentato femminicidio tra giovani colpisce la brutalità dell’aggressione alla compagna o ex.

“L’idea di accoltellare al volto la vittima, di deturparla a tal punto da lasciarle dei segni, racconta un pensiero che prevede lo rendere la persona colpevole a vita di un qualcosa che nell’autore del gesto ha provocato una ferita. L’idea è: “Te lo ricorderai sempre”. La volontà è innanzitutto quella di privarla della propria identità sociale, poi di innescare in lei un senso di colpa”. Roberta Siragusa, ad esempio, al momento del ritrovamento aveva il volto tumefatto e la testa rasata, mentre la sopravvissuta all’accoltellamento del 31 ottobre scorso è stata ripetutamente colpita al viso. “È uno tra i peggiori atti aggressivi perché sussiste la volontà di mettere un punto all’esistenza di un’altra persona. “Tutti (compresa la vittima stessa qualora non sia stata uccisa), guardandoti, si ricorderanno che sei legata a me”, questo il pensiero sottostante. È una volontà chiara”. Il fatto che in quest’ultimo caso alla violenza sia conseguito un suicidio è una ennesima dimostrazione dell’aggressività che caratterizza la persona. “La dinamica aggressiva diventa autolesiva. L’identità dell’autore dell’aggressione è crollata: ha deturpato l’immagine di se stesso, insieme a qualcosa che aveva di caro, per cui non è riuscito a reggere il peso delle sue azioni. Al tempo stesso, però, ha commesso un ulteriore gesto aggressivo nei confronti della compagna, che vivrà eternamente con il rimorso, credendo che si sia ucciso per colpa sua. La vittima è caduta in una dimensione politraumatica e dovrà affrontare quanto accaduto per tutto il corso della sua vita: sia dal punto di vista delle lesioni fisiche sia dal punto di vista delle ferite psicologiche”.

Il timore degli esperti è che il fenomeno, in generale, sia sempre più complesso.

“È un disagio sociale diffuso, non un disagio individuale. La casistica è diventata troppo ampia negli ultimi anni. C’è una grave base di disagio nelle nuove generazioni nonché una grande fragilità. Le difficoltà a essere resilienti di fronte alle difficoltà della vita, anche le più banali, sono elevate. Molta di questa difficoltà si manifesta all’interno delle dinamiche relazionali, soprattutto di coppia. È da evidenziare in tal senso anche un grave aumento dei quadri depressivi, nonché una difficile codifica delle dinamiche emotive. Molti ragazzi non riescono ad esprimere le proprie emozioni. Al di là degli atti estremi nei confronti di altre persone sono in forte aumento i casi di atti autolesivi. La gestione delle emozioni individuali e relazionali sta crollando miseramente negli ultimi anni. Si registra un forte aumento di ricoveri di ragazzi giovanissimi nei reparti preposti alla salute mentale, con crolli psicotici e depressione. È una vera e propria emergenza”.

Il problema di maggiore rilevanza, in tale quadro, è che la maggior parte delle persone vicine a coloro che avvertono dei disturbi non coglie i segnali.

“Essi ci sono sempre: possono manifestarsi tramite delle insicurezze o delle inadeguate modalità di richiesta affettiva, fino a eventuali minacce. Gli atteggiamenti negativi troppo spesso vengono sottovalutati, soprattutto nelle dinamiche di coppia: il possesso è frequente. La fidanzata non viene considerata come una persona con una sua identità indipendente. È così che emergono casi di violenza ad opera di persone che venivano definite “tranquille”. I raptus però non esistono. Esistono, piuttosto, quadri di personalità ben precisi che mandano messaggi. Sarebbe importante cogliere i segnali prima, non soltanto a posteriori”.

È naturale, dunque, chiedersi come ciò è possibile.

“Ci dovrebbero essere più politiche educative preposte all’educazione affettiva e relazionale; politiche scolastiche legate alle prime fase della crescita in cui si affronta la gestione delle emozioni. Esse potrebbero essere preventive e supportive, sia dal punto di vista del soggetto che può compiere atti aggressivi sia dal punto di vista delle vittime, che molto spesso non colgono la pericolosità della persona con cui hanno un rapporto. È in atto un’emergenza sociale e nelle scuole si nota molto”, ha concluso Karin Guccione.

Chiara Ferrara

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