PALERMO – L’equilibrio della rappresentanza di genere in politica è un tema assai dibattuto, ancor più in Sicilia, dove il Presidente della Regione ha operato un rimpasto di giunta eliminando l’unico rappresentante femminile.
A seguito di ciò si è aperto un acceso dibattito tra chi è a favore di una rappresentanza equivalente tra i due sessi e chi invece considera questa soluzione un presupposto per “ghettizzare” le donne, che verrebbero così non ritenute in grado di ottenere con le proprie forze un posto “al sole”. Il movimento “Le Siciliane”, nato dopo l’esclusione delle donne dalla giunta di Nello Musumeci, chiede all’Ars di cambiare la legge elettorale introducendo la doppia preferenza di genere anche alle Regionali. In verità in questa direzione ci sono dei disegni di legge depositati all’Ars, ma che non riescono a trovare la luce. Il primo è stato presentato nel 2019 dal Pd (n.548) e l’altro nel 2020 da Marianna Caronia (FI) (n. 942).
In particolare in questo ddl si prevede una lista di candidati con eguale rappresentanza di genere e la possibilità di esprimere fino a due voti di preferenza, uno per il genere maschile e l’altro per quello femminile. “La preferenza di genere rappresenta il tipico esempio di ‘discriminazione positiva’ – ha spiegato al Qds Marianna Caronia – che a partire dal XX secolo è stata utilizzata in diversi sistemi giuridici per sostenere gruppi sociali che, all’interno di quella comunità, hanno oggettive condizioni di svantaggio. La scarsa presenza di donne all’interno delle istituzioni, altro non è che lo specchio di una società nella quale per le donne è più difficile accedere a qualsiasi servizio. La preferenza di genere ‘forza’ il sistema, prova a scardinare una situazione cristallizzata. Auspico che questa sia una norma transitoria, uno strumento utile, paradossalmente, a cancellare le condizioni che lo hanno determinato. Quanto ai paventati rischi di controllo del voto tramite la preferenza, chi parla di questo pericolo ignora che qualsiasi forma di preferenza porta con sé il rischio di un controllo del voto, che non cresce certo se la preferenza è ‘di genere’.
“Non è certo limitando la partecipazione delle donne – prosegue Caronia – che si combattono forme vecchie (e spesso illegali) della politica; anzi è proprio favorendo la conservazione dello status quo che si impedisce di gettare le basi del cambiamento”.
Di tutt’altra idea un’altra deputata regionale, José Marano del Movimento Cinquestelle che spiega in una lunga intervista al nostro quotidiano le ragioni del suo no alla preferenza di genere: “La doppia preferenza di genere – dice Marano – è uno strumento che consente il controllo del voto, è uno di quei vecchi metodi che ledono l’agire democratico, Incentiva senza alcun dubbio il voto di scambio, le promesse elettorali e quindi la svendita della dignità e lede la libertà. Faccio un esempio: ipotizziamo una competizione elettorale. Se il candidato 1 (che sia maschio o femmina non importa) dice ai suoi elettori di scrivere dopo il suo nome sulla scheda elettorale in maniera alternata i candidati secondo la sequenza da lui indicata (maschi o femmine che siano), distribuendo la “scelta doppia” per singoli seggi, avrà la prova che la successione da lui indicata ai fini del riconoscimento e quindi per il controllo è stato seguito. Le preferenze plurime costituiscono un voto “visibile”, l’esperienza del passato lo dimostra”.
“Altro fattore – prosegue la deputata grillina – le donne devono pretendere di avere la capacità di arrivare ovunque decidano di arrivare, per la loro determinazione e per le loro competenze. A chi dice che la doppia preferenza di genere aiuta l’ingresso delle donne nelle istituzioni perché sono affiancate ad un uomo, io rispondo, che non ho bisogno di camminare a braccetto con un uomo per dimostrare che Josè Marano vale. È un modo per velare che dietro la doppia preferenza c’è altro. Josè Marano può dimostrare da sola quanto vale e gli elettori devono scegliere in maniera libera da chi vogliono essere rappresentati”.