La svolta di Eni verso modelli e prodotti ecocompatibili include lo stabilimento di Priolo. Un cambio di passo importante nell’ottica della transizione ecologica e della modulazione delle strategie aziendali, in conformità a spinte economiche e di mercato sempre più attente alla riduzione delle emissioni e al rispetto dell’ambiente. La riconversione del sito siracusano avverrà tramite la chiusura dell’impianto di cracking Versalis, alla quale seguirà, grazie a un investimento di 900 milioni di euro, la creazione di una bioraffineria e di un centro per il riciclo chimico delle plastiche. Un nuovo tassello che si aggiunge al processo di decarbonizzazione attivato da Eni. A parlare al QdS della riqualificazione voluta dalla società per il sito di Priolo è Giuseppe Ricci, direttore operativo per la transizione industriale di Eni.
Direttore, può parlarci più nel dettaglio del piano di riconversione che Eni intende attuare?
“Partirei col sottolineare che a Priolo è presente un impianto di cracking che fa parte di una tipologia di chimica di base che, ormai da moltissimo tempo, vive una crisi strutturale irreversibile. Chimica che non ha più ragione d’essere nel nostro continente, e che infatti è in via di dismissione ovunque, per via dell’altissimo costo della materia prima, del costo dell’energia e di tutti i costi associati. Si tratta inoltre di un grandissimo emettitore di CO2, mentre, con la chiusura del craking, ridurremmo di oltre mezzo milione di tonnellate all’anno queste emissioni. Un dato molto importante anche per contribuire al raggiungimento degli obiettivi ambientali del nostro Paese. Insomma, il tema è il seguente: visto che, per via della suddetta crisi, Versalis deve rinunciare a questi impianti di chimica di base, occorre individuare la direzione da intraprendere per la stessa Versalis. E la direzione giusta è quella che si allinea alla strategia Eni, che è una strategia di decarbonizzazione dei propri processi e prodotti. Abbiamo dovuto dire basta a una chimica continuamente in sofferenza, in perdita, dove anche l’innovazione lascia il posto alla depressione. Non si possono migliorare le cose che non hanno un futuro. Quindi questo cambiamento, questa sterzata verso un mercato in crescita, innovativo, in linea con tutti gli obiettivi del nostro continente in termini di protezione ambientale, di green deal, di circolarità ci dà una grande prospettiva futura. Per questo vale la pena spendere quasi un miliardo per dare un futuro duraturo a un territorio che, viceversa, avrebbe dovuto vivere solo di continue dismissioni progressive”.
Il progetto riguarda tanto la produzione di biocarburante, quanto la creazione di un impianto per il riciclo della plastica. Può spiegarci?
“La bioraffineria è parte della strategia Eni di produzione di biocarburanti (quella di Priolo sarà la quarta, dopo Gela, Venezia e Livorno) ed è destinata soprattutto alla produzione di Saf (Sustainable aviation fuel, nda)per gli aviogetti, un carburante bio riconosciuto ormai universalmente, il cui mercato è dunque in sviluppo. Non ci accontentiamo però della strategia dei biocarburanti: vogliamo eccellere anche nell’economia circolare che riguarda le plastiche. Da questo punto di vista, si seguono due strade. Da una parte quella del riciclo meccanico, che stiamo realizzando a Porto Marghera e che porteremo anche altrove, in funzione della disponibilità di plastica riciclabile. L’altra strada è quella del riciclo chimico, che si riferisce a plastiche degradate, che non consentono un riutilizzo, e che dunque vengono ricondotte all’origine: un liquido che può nuovamente entrare nel processo di formazione di nuove plastiche. È una tecnologia che si chiama hoop, sviluppata da Versalis, che sta attraversando la prima esperienza con un impianto dimostrativo da seimila tonnellate all’anno a Mantova. A fine anno verrà completato e la sua marcia nei primi mesi dell’anno prossimo servirà proprio a mettere a punto i parametri operativi per un impianto industriale: quello che vogliamo realizzare appunto a Priolo, di fianco alla bioraffineria”.
Questo si allinea alla perfezione con quanto previsto dalle normative europee.
“Assolutamente sì, perché le direttive prevedono la decarbonizzazione dei trasporti e quindi l’utilizzo dei biocarburanti a fianco del trasporto elettrico. È vero che la discussione è ancora focalizzata sul bando al motore a combustione interna, però questo è un aspetto che riguarda i veicoli leggeri. D’altra parte, quasi la metà dei consumi è dovuta invece al trasporto pesante, marittimo e aereo. Ed è questo il mercato d’elezione delle bioraffinerie. Noi, ovviamente, serviamo per i prossimi decenni anche i veicoli leggeri, finché ci saranno. Ma se anche non dovessero più esserci, il nostro target resta quella parte di trasporto che non è elettrificabile, e questo è perfettamente in linea con le normative europee. Lo stesso può dirsi per il riciclo chimico, perché la normativa europea prevede un incremento sempre maggiore di riciclo e un utilizzo sempre minore di materia prima di natura fossile per le plastiche. Quindi l’obiettivo è proprio quello di passare da un’industria asfittica, che non ha mercato futuro, che oltre a perdere soldi non vede una prospettiva, a un mercato che è invece in fase di sviluppo, che è in linea con le direttive europee e che prevedere la produzione di prodotti bio o da riciclo, nell’ottica dell’economia circolare, e che avranno un mercato sempre in crescita in Europa”.
Il progetto riequilibrerà gli spazi tra l’impianto industriale e il paesaggio in cui si trova?
“Se, da una parte, a Priolo non ci sarà sotto quest’aspetto una grande variazione, è comunque vero che le bioraffinerie a riciclo chimico sono meno impattanti di un cracking anche sul piano visivo: come impatto, per intenderci, delle ciminiere, delle torce e simili. A Gela, per esempio, dove stiamo demolendo gli impianti vecchi, si vede come lo skyline sta cambiando completamente rispetto a prima. La connotazione industriale a Priolo però, sebbene più leggera, rimane. I cambiamenti maggiori saranno a Ragusa, perché lì l’impianto industriale verrà meno e creeremo dei centri d’eccellenza e delle attività di sperimentazione legate alla circolarità e alla parte bio, che avranno un’intensità industriale molto minore, quindi più idonea a un sito che si trova all’interno del tessuto urbano”.
In che modo il piano include i lavoratori Versalis?
“Non lasceremo a casa nessuno, anzi. Utilizzeremo tutto il nostro personale nei nuovi progetti. Questo l’abbiamo detto fin dall’inizio. Il nostro piano di trasformazione verrà fatto con i lavoratori. Opereremo dei percorsi di cambiamento professionale, come abbiamo fatto anche negli altri siti riconvertiti in bioraffineria, e vorremmo farlo in un modo anche più innovativo: coinvolgendo il nostro personale direttamente dalle prime fasi di progettazione e, poi, di realizzazione dei nuovi impianti, per far sì che, quando questi saranno pronti a partire, i lavoratori saranno già formati, preparati, conoscitori dell’impianto e capaci di condurlo nel miglior modo possibile. Una strategia, questa, già in corso a Livorno. I lavoratori non devono temere il cambiamento: in questo caso, si tratta di cambiare per non morire. Il nostro è un obiettivo di speranza. Ricordando, inoltre, che Eni non ha mai lasciato a casa nessuno”.