Fauna selvatica, grazie al lockdown in aumento specie non autoctone - QdS

Fauna selvatica, grazie al lockdown in aumento specie non autoctone

redazione

Fauna selvatica, grazie al lockdown in aumento specie non autoctone

mercoledì 02 Settembre 2020

Primo bilancio degli effetti del lockdown sulla fauna selvatica in Italia: a fronte di una minore mortalità e una maggiore riproduzione per varie specie animali (come rospi, rane e uccelli), si è osservato un aumento della diffusione di specie invasive non autoctone, mentre parchi e aree protette hanno avuto difficoltà a portare avanti le loro attività di conservazione della biodiversità. Lo indica uno studio dell’Università Statale di Milano pubblicato sulla rivista Biological Conservation.

I ricercatori hanno preso in esame le osservazioni di animali in ambienti inusuali riportate durante il lockdown da media e social network: hanno poi incrociato queste informazioni con i dati di monitoraggio che è stato possibile raccogliere in accordo con le restrizioni imposte e con un questionario distribuito ai gestori dei parchi italiani.

Dai risultati emerge che per alcune specie il periodo di assenza di disturbo da parte dell’uomo ha rappresentato una felice parentesi: rospi e rane, che negli anni passati morivano a migliaia sulle strade, sono riusciti a raggiungere indisturbati laghi e stagni per riprodursi, mentre diverse specie di uccelli come il fratino e il rondone hanno beneficiato della maggior quantità di cibo a disposizione e del minor disturbo nei siti di riproduzione. Purtroppo, però, la quiete del lockdown ha favorito anche la diffusione di animali introdotti e invasivi: è il caso del silvilago, una piccola lepre di origine nordamericana che, dall’essere principalmente notturna, è passata ad essere attiva anche nelle ore diurne, con maggiori probabilità di diffondersi ulteriormente. Allo stesso tempo, la maggior parte dei parchi ha avuto difficoltà nell’effettuare le azioni di gestione della fauna: nel 44% dei parchi nazionali e regionali contattati è emerso un forte rischio di fallimento di azioni di gestione già intraprese, non solo per il contenimento delle specie invasive, ma anche per la protezione di specie minacciate, a fronte di un aumento delle attività di bracconaggio.

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