“Quando hai l’occasione di poter passare l’estate suonando in giro per tutto il territorio nazionale, di incontrare il pubblico e di vivere inevitabilmente delle emozioni forti è una bella estate”, esordisce così nelle prime battute dell’intervista Francesco Gabbani che nei prossimi giorni arriverà in Sicilia con il suo “Ci vuole un fiore tour”.
Il cantautore, che non ha bisogno di presentazioni, si esibirà nell’Isola in ben tre appuntamenti. Sarà il 9 agosto a Catania, il 10 agosto a Noto e l’11 agosto a Marsala. È la prima volta che Gabbani ha così tante date in Sicilia e che canterà in queste location. Sul palco sarà accompagnato dalla sua band composta da: Filippo Gabbani (Batteria), Lorenzo Bertelloni (tastiere), Giacomo Spagnoli (basso) e Marco Baruffetti (chitarra).
A distanza di giorni dall’arrivo in Sicilia, abbiamo intervistato Francesco Gabbani. Abbiamo parlato del legame con la Sicilia, del tour, di disco nuovo e di un ricordo personale su Franco Battiato.
Il “Ci vuole un fiore tour” arriva in Sicilia il 9, 10 e 11 agosto rispettivamente a Catania, Noto e Marsala. Tre date geograficamente distanti. Mi sbaglio o c’è tanta voglia di abbracciare il pubblico siciliano?
“Beh, c’è sicuramente l’intenzione di andare a toccare tutto il pubblico siciliano, cosa che peraltro non ho mai fatto. Sono venuto molto spesso a suonare in Sicilia, però sono sempre stato o a Palermo o a Taormina. Queste location per me sono nuove, però ho il bel ricordo che ho avuto sempre una grande risposta in termini di calore da parte del pubblico siciliano. Torno con l’aspettativa quantomeno di vivere le solite emozioni”.
C’è un ricordo o un aneddoto che ti lega a questa terra?
“Tutte le volte che ho suonato in Sicilia ho sempre avuto una risposta importante ed emozionante. C’è un ricordo più sentimentale quasi personale ed è il fatto che nel 2017 ero stato invitato dal grande maestro Franco Battiato a Milo dove organizzava un Festival. Mi ha invitato a suonare a questo Festival e ho avuto anche occasione di passare qualche giorno proprio con lui. È stato molto carino e accogliente. Per me Franco è sempre stato un grande riferimento dal punto di vista artistico. Porto dentro al mio cuore questo ricordo importante. Questa è la parte più personale e intima, senza nulla togliere alle bellissime sensazioni ed emozioni che mi fa provare il pubblico siciliano in generale”.
Il “Ci vuole un fiore tour” è diverso dai tour precedenti. Cosa devono aspettarsi dai tre concerti i tanti fans siciliani?
“È un tour che continua a mettere al centro la musica; quindi, da questo punto di vista non è così diverso da altri. La novità è che ci sono delle piccole parti, chiamiamole più teatrali, ma nella misura in cui io mi permetto di fare dei piccoli monologhi che raccontano delle mie esperienze anche dell’infanzia rispetto al rapporto con la natura e con il pianeta. Ho chiamato questo tour con lo stesso nome del programma televisivo che ho fatto perché l’idea è di sensibilizzare il più possibile il pubblico in un modo gentile, non invadente, sui temi dell’ecosostenibilità, dell’avere un’attitudine soprattutto di rispetto nei confronti della natura che, secondo me, deve partire da un sentimento, da un’emozione. Infatti, io racconto come mi è nata l’emozione, questo sentimento di avere una tutela nei confronti della natura”.
Sono stata a due tuoi concerti, anche in anni diversi. Penso che due dei tuoi punti di forza siano un repertorio vastissimo e variegato e soprattutto che ami proprio stare sul palco. È proprio così? Cosa accade l’attimo prima di salire sul palco?
“Non è facile descrivere in poche parole un vortice emozionale che uno ha dentro prima di salire sul palco perché è veramente denso e sfaccettato. Ti posso dire che, nonostante lo faccio per lavoro ormai da tanti anni e quindi potrebbe rischiare di diventare una consuetudine quasi apatica, per me non lo è, cioè, continuo a vivere il palco come una grande occasione per vivere un’emozione speciale. La dimensione live è qualcosa di cui fondamentalmente mi nutro. Se c’è uno scopo in quello che faccio, il goal personale, chiamiamolo così, più potente è di vivere l’emozione del palco perché è il momento in cui c’è una condivisione vera di quello che hai fatto e di quello che stai facendo con il pubblico. È diretta. È una dimensione vibrazionale ed emotiva che vivi proprio in quel momento. È il momento preferito del lavoro che faccio”.
“Prima di salire sul palco, ho questa sensazione combattuta ma è giusta, è sana tra il non veder l’ora di salire sul palco come il bambino che va al parco giochi e non vede l’ora di salire sulla giostra e allo stesso tempo questo senso di tensione relativa a una responsabilità che hai perché sai di stare per salire su un palco dove le persone sono lì per vedere e si aspettano di trovare delle emozioni e a me non va di disattenderle. Più o meno la sensazione è questa, anche se non è facile spiegarlo”.
In questo tour, sfoggi una serie di magliette che immagino hai realizzato tu. Che pittore sei?
“Non riesco a definirmi pittore. Diciamo che gioco con i colori. Se devo definirmi, sono un pittore spontaneo. Mi sono avvicinato all’arte pittorica in un modo terapeutico. Mi piace l’idea di accostare colori, di creare delle dimensioni emotive dall’accostamento di colori che non devono avere per forza un senso. È un atto molto libero”.
Canti “volevamo solo essere felici”. Cosa è la felicità oggi per Francesco Gabbani?
“La verità è che non lo so perché, secondo me, il concetto di felicità è in continuo divenire. È un concetto talmente soggettivo che ognuno ha la sua idea di felicità, cerca la felicità in quello che si desidera. Secondo me cosa si desidera è sempre in evoluzione. Oggi ho capito che probabilmente io tendenzialmente ricerco la felicità nelle piccole cose perché mi riscopro felice in queste. Del tipo avere la consapevolezza di essere vivo e godere del senso dell’esistenza alla mattina appena sveglio, esco e sento l’aria fredda del mattino. Io sono felice in quel momento perché mi sento vivo. Vale anche nei rapporti interpersonali con gli altri, quando vedo una persona che sorride, quando sento una vibrazione di felicita o di condivisione”.
La popolarità è arrivata con “Occidentali’s Karma”. Per alcuni sei ancora “quello della scimmia nuda balla”. Dà fastidio o ci hai fatto pace?
“Questa è una domanda gigantesca. Oggi ho imparato ad accettare che per alcuni sono solo quello della scimmia. Ho avuto un periodo in cui mi faceva un po’ male questa cosa perché è ovvio che percepivo in chi mi vedeva solo come quello della scimmia un’incapacità di cogliere il significato più profondo della canzone, o quantomeno quello che ha sempre avuto per me la canzone. Un po’ mi alterava e non la digerivo. Oggi, però, l’ho accettata perché “Occidentali’s Karma” è un buon campione di rappresentanza di un mio modo di fare musica che è quello di unire un aspetto più fresco, di impatto, di leggerezza a una componente più riflessiva a livello di testo. È una forma di espressione che è giusto venga presa a vari livelli, nel senso che non posso pretendere che tutti la prendano per tutte le sfaccettature che ha. Ho imparato anche ad accettare il fatto che chi la recepisce solo per l’aspetto ludico, va bene lo stesso perché io faccio anche quello. Quindi, se faccio star bene qualcuno che magari non capisce il significato più recondito e profondo di cosa sto dicendo, pazienza. L’importante è che vi faccio vivere una bella emozione. Oggi la vivo in questo modo”.
Da questo punto di vista, ci sono delle similitudini con la discografia di Battiato…
“Sicuramente sì, soprattutto un certo Battiato, quello del periodo più pop come “La voce del padrone”. Quei dischi che sono stati dei grandi successi a livello pop, ma poi dentro c’erano dei significati enormi. Quel Battiato lì, sì. Ad esempio “Centro di gravità permanente” è un brano che cantavano tutti, è stato una hit. Credo che l’80% delle persone che cantavano quel brano e lo cantano tutt’ora non capiscono il significato di analisi filosofica del brano. Certe mie canzoni sono accostabili al Maestro che è stato un mio grande riferimento a livello di ispirazione e di esempio”.
Immagino avrai seguito le diatribe Meneguzzi – J – Ax e il commento di Samuele Bersani sull’uso dell’autotune. Che idea hai in merito?
“Credo che la musica in generale come sempre e come qualsiasi forma d’arte sia espressione del tempo che viviamo. Mi considero un cantautore pop classico, anche anagraficamente. Mi sento lontano dalle cose che tendenzialmente funzionano oggi, ma per questo non le rigetto. Credo sia giusto. È un’espressione del nostro tempo fatto di componenti più fluide, più veloci. Un altro modo, un altro approccio ma lo rispetto molto. L’utilizzo dell’autotune credo sia interessante nel momento in cui viene usato come caratteristica consapevole sonora, cioè, se diventa un effetto. Se l’autotune deve essere usato per carenza di capacità a cantare, allora mi sembra una forzatura”.
Ti abbiamo visto nelle vesti di conduttore di un programma televisivo. C’è possibilità di vederti anche in altri contesti come, ad esempio, il set di un film?
“In questo momento non ho idea di come andrà a finire il mio percorso, ma non ho una progettualità o un desiderio di fare esperimenti di quel tipo. L’esperienza televisiva è avvenuta perché mi è stata proposta. C’è chi ha visto in me anche delle capacità di intrattenitore, però l’ho fatta perché c’era un senso ossia di fondo c’era il significato di provare a parlare delle tematiche dell’ambiente. Di mio non ho delle velleità di far televisione né di fare l’attore. Per ora…perché non si sa mai”.
Il 9 settembre si ultima il tour a Carrara in una data molto importante per te. È il tuo compleanno e scegli di cantare lì dove ci sono le tue radici, ma con una carriera ben avviata.
“È un desiderio che avevo da tanto. Tra l’altro, nonostante le difficoltà logistiche che comporta, ho scelto di rimanere ad abitare nella zona di Carrara per il senso di appartenenza. Sono legato alla mia terra, la considero casa. Mi fa piacere tornare. Avevo il desiderio da anni di fare una sorta di festa con i miei concittadini anche perché ho sempre sentito un grande supporto da parte loro. Io sono l’eccezione che conferma la regola del concetto “nemo profeta in patria est”. Mi hanno sempre molto supportato, finalmente abbiamo organizzato questo concerto che è più una festa. Almeno, mi auguro che lo sia”.
C’è in cantiere un disco nuovo?
“In cantiere ci sono sempre dei progetti nuovi. Sto scrivendo cose nuove, però non ho una progettualità specifica ossia se uscirà qualcosa e quando. Sto scrivendo cose che naturalmente diventeranno un disco nuovo che, quando sarà pronto, lo pubblicherò. Ma non nei prossimi mesi”.
Foto di Daniele Barraco