Luigi Di Maio è un giovane uomo che si è dato sempre da fare, con un misto di intelligenza e furbizia, il che non costituisce una connotazione negativa, in quanto bisogna misurare a posteriori se nella sua attività fino a oggi vi sia stata più intelligenza che furbizia o viceversa.
Dopo aver venduto bibite negli stadi e aver fatto altre attività di cui non siamo a conoscenza, sulla via di Damasco si illuminò la sua mente e decise di gettarsi nell’agone politico (partitico) in cui stava nascendo il Movimento 5 Stelle.
La sua carriera è stata notevole: a 26 anni era vice presidente della Camera, poi vice presidente del Consiglio e ministro dello Sviluppo economico con il primo Governo Conte, indi ministro degli Esteri con il secondo Governo Conte e infine la conferma con il Governo Draghi per la carica che tutt’ora ricopre.
Ma tutto questo non gli è bastato. Ha voluto imitare Matteo Renzi (che uscì dal Pd formando Iv) e si è creato un nuovo partitino con 62 parlamentari denominato “Insieme per il futuro”.
Insomma, un tipino sveglio che ha sempre puntato il dito bagnato per vedere da dove soffiasse il vento, adeguandosi immediatamente alla sua direzione.
Se la memoria non ci inganna, questo metodo fu usato dal Divino Giulio, alias Giulio Andreotti, il quale iniziò giovanissimo la sua carriera diventando sottosegretario di Stato (allora non c’erano i vice ministri) a soli 28 anni con il Governo De Gasperi. Poi fu sette volte presidente del Consiglio e sempre a galla fino alla morte a 94 anni, avvenuta nel maggio del 2013.
I tempi sono cambiati? Non sembra in base alle due vicende che vi abbiamo appena narrato. Non possiamo augurare a Di Maio questa longevità se collegata alla continua instabilità e al regresso economico-finanziario del nostro Paese.
Con il nuovo-proprio partito, diventerà un altro protagonista della costellazione parlamentare e giocherà le sue carte tentando di imitare prima Bettino Craxi (ricordate Ghino di Tacco?) e poi lo stesso Matteo Renzi, che con il suo 2% è riuscito a fare eleggere presidente del Consiglio Mario Draghi.
Nonostante il carisma di Mario Draghi e la sua capacità di tenere tutti in riga, il Parlamento stenta ad approvare delle riforme sostanziali, perché anche la legge appena esitata, che porta il nome della ministra Marta Cartabia, seppure recante delle buone innovazioni, non dà quella svolta decisiva che consentirebbe di dimezzare la durata dei processi e garantirebbe la certezza della pena.
Stenta anche la riforma della Pubblica amministrazione, per cui l’attuale ministro Renato Brunetta sembra impegnato a fare più proclami che atti.
Stenta pure la riforma del Fisco, perché vi è chi rema contro, per non parlare della Concorrenza, contro cui si sono scagliati i balneari che vogliono mantenere la rendita di posizione pagando quattro soldi all’Erario (115 milioni in tutto) incassando oltre 15 miliardi. Per non parlare del monopolio dei servizi locali, gestiti da partecipate al riparo dalle regole di mercato, che producono perdite a carico dei cittadini.
Qualche stolto afferma che la concorrenza sia uno scenario negativo, ma è in malafede. Infatti, chiunque capirebbe come essa consenta di migliorare la produttività e quindi di abbassare i prezzi di prodotti e servizi con vantaggi per i consumatori.
In Italia abbiamo l’Agcm (Autorità garante della concorrenza e del mercato), che però ha scarsi strumenti contro comportamenti monopolistici che danneggiano i cittadini.
Torniamo a Luigi Di Maio e alla sua voglia di diventare uno statista. Per raggiungere questo obiettivo dovrebbe studiare molto, in modo da comprendere i meccanismi della macroeconomia, gli elementi essenziali di organizzazione e di qualificazione del personale pubblico per produrre servizi efficienti.
Non sappiamo se il giovane uomo abbia voglia di studiare oppure debba inventarsi qualcosa per conservare la sua poltrona nell’aprile del 2023.
Vedremo come si risolverà il dilemma del restante M5s (governare o protestare per restare a galla), ma è certo che questa fibrillazione incide negativamente sull’azione di Governo e durerà, verosimilmente, fino alle prossime elezioni.