"Il Gattopardo" non è né di destra reazionaria né di sinistra progressista. È un romanzo libero e liberale.
Ho molto apprezzato il saggio di Francesco Piccolo, “La bella confusione“, che esamina ciò che successe tra gli anni Cinquanta e Sessanta nel dibattito culturale italiano, soprattutto la querelle tra Visconti e Fellini. Con tanti punti in comune, vedi la partecipazione in contemporanea di Claudia Cardinale alle riprese de “Il Gattopardo” e di “Otto e mezzo”, e tanti incroci e contraddizioni.
Quello che è sorprendente è il contrordine compagni della sinistra italiana, che prima con Moravia, poi con Sciascia e Mario Alicata, massimo verbo dell’ortodossia marxista, stroncano il romanzo di Tomasi di Lampedusa, autore che non si poteva difendere essendo già deceduto, come reazionario e di destra, dopo la larga vittoria allo Strega.
Si dice che l’ordine di stroncatura venisse direttamente dal Migliore, Palmiro Togliatti, che giudicava revisionista la chiave di lettura storica del Principe di Lampedusa. Poi stante il successo popolare, ma soprattutto gli elogi dai critici internazionali di chiara fama marxista, come il francese Louis Aragon, verbum maximo, la sinistra italiana fa inversione a U, appropriandosi dello spirito antiborghese fluttuante nel romanzo. Il romanzo è progressista! Dichiara il PCI, tant’è che viene tradotto in russo e stampato in URSS, può mai essere di destra? Mosca è con il Principe, ma lui non può gioirne dopo il gran rifiuto di Vittorini.
Il testo del Gattopardo, oltre che biografia familiare di un tempo decaduto, è intriso di un sottile nichilismo, facente parte del carattere di Tomasi. Ma quella che appare potente e cangiante, contraddittoria e contrastante, secondo i diversi punti di vista, è proprio la lettura storica e politica.
Sicuramente la borghesia rampante e arrivista non ne esce bene, l’opportunismo e il populismo italico, rappresentato da Tancredi Falconeri, è guardato con afflizione dall’Io autobiografico Principe di Salina. Ma le dure e crude valutazioni politiche del dialogo con Chevalley sono la vera summa di ciò che Goethe considerava la Sicilia, la chiave per capire l’Italia. “Il Gattopardo” è, a detta dei critici internazionali, non una folcloristica e provinciale narrazione della Sicilia, ma la potente sintesi storico sociale dell’Italia immatura, il suo salir sui carri dei vincitori del momento, il suo “Sedarismo” familistico e accaparratore, ancor oggi presente, che fa passare i vecchi regimi da baroni rampanti a visconti dimezzati.
Tomasi, forse inconsapevolmente, forse solo per bonaria sfida letteraria, con il cugino poeta, il barone Lucio Piccolo di Calanovella, apprezzato da Montale, riesce a dipingere un capolavoro letterario, che è studiato da tutti, più all’estero che in Italia, subito dopo la Cappella Sistina. Con una Noblesse oblige, non aveva mai dato prova di sé, che solo un Principe siciliano può possedere.
“Il Gattopardo” non è né di destra reazionaria né di sinistra progressista. È un romanzo libero e liberale, ci piace pensare che Tomasi lo fosse, che rappresenta questo paese più di quanto sappiano, o vogliano, gli italiani.
Così è se vi pare.
Ps: ho letto il saggio di Piccolo, lo stesso cognome del cugino di Tomasi, in treno tra Palermo e Messina. Se volete capire la Sicilia viaggiate in treno.