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Il ministro Gualtieri e le tasse sospese

redazione

Il ministro Gualtieri e le tasse sospese

lunedì 27 Luglio 2020

Ha indignato una categoria, quella dei Commercialisti, il Ministro Gualtieri, negando la proroga per la scadenza del 20 luglio; ancor di più, ne ha scatenato l’ira, giorno 22 al question time alla Camera, con la boutade “non tutte le scelte giuste sono popolari

di Simonetta Murolo e Daniele Virgillito

Ha indignato una categoria, quella dei
Commercialisti, il Ministro Gualtieri, negando la proroga per la scadenza del
20 luglio; ancor di più, ne ha scatenato l’ira, giorno 22 al question time
alla Camera, con la boutade “non tutte le scelte giuste sono popolari.
La scadenza è ormai avvenuta, molti contribuenti l’hanno onorata.” Ed ha
snocciolato pure una catena di numeri estrapolati dai versamenti al 30 giugno,
definiti ordinati, di acconti IMU e imposte. E, parole sue, il calo è
stato sensibile: solo 516 milioni di euro.

Certamente, verrebbe da rispondere.

Certamente, risponde una categoria intera: al 30
giugno ha versato solo qualche persona fisica non titolare di partita IVA. Il
bello deve ancora venire: le imprese hanno pagato, poche, quelle che hanno
potuto, al 20 luglio. Le altre, per voce proprio dei loro commercialisti,
auspicavano la proroga.

Senza ritenerla politically incorrect perché
postuma, dato che era già accaduto in passato, dato che, ormai, le proroghe
arrivano a ridosso delle scadenze, a volte anche a data spirata.

E, certamente, è vero che leda la certezza del
diritto.

Oggi, come ieri. Solo che, in questa occasione,
tosto che “guardare al futuro”, come auspicato sempre nel corso della sua
accorata arringa (da storico accademico, qual è, e si rivela, a tratti),
sarebbe stata cosa buona e giusta volgere uno sguardo al passato, allo scorso
anno, quando la proroga era stata data perché i tecnici del Ministero non erano
arrivati per tempo a completare i programmi dei nuovi ISA.

Perché, nello spirito dell’istanza di proroga,
c’era la volontà di aiutare imprenditori ed imprese a irrobustire i flussi di
cassa, magari con l’anelito di normalità di queste settimane, e la propulsione
ai consumi di un’estate generosa, dopo un inverno difficilissimo. E l’auspicio
di poter rallentare i ritmi, per i commercialisti che, da troppi mesi,
affannosamente, annaspano in un bailamme di aiuti, aiutini e mezz’aiuti, come
li definirebbe un moderno (ma sempre indignato) Sciascia.

Con un corollario: che la proroga per i 730 c’è e
non è stata messa in discussione; e quindi si è ingenerata una disparità di
trattamento tributario, in chiaro contrasto con la Costituzione della
Repubblica Italiana. E si è scelto di calpestare la dignità di una categoria
che ha contribuito a distribuire 2,1 miliardi di ore di cassa integrazione e 5
miliardi, tra fondo perduto, crediti d’imposta ed altrettanti di indennità.

Una categoria incessantemente vituperata, e per la
quale si profila all’orizzonte già il prossimo decreto di agosto, quello che
rimodulerà le scadenze di settembre. Ergo, altro lavoro, sulle spalle
dei commercialisti; altre pagine di cash flow da riscrivere, per le imprese le
cui preoccupazioni per il futuro continuano a crescere.

In poche parole: i soldi non c’erano per una
proroga delle scadenze delle imposte (imposte,
signor Ministro, imposte, non tasse!) a saldo sui redditi del 2019 da luglio ed
agosto a settembre, stimabili in circa 42 miliardi di euro (dati riferiti ai
bollettini delle entrate di luglio ed agosto dello scorso anno); denari che si
devono, però, a tutti i costi trovare per un ulteriore slittamento delle
imposte sospese relative ai mesi di marzo, aprile e maggio.

Una considerazione, prima di tutto: le imposte in
questione sono quelle relative ai mesi in cui vigeva il lockdown, poca roba
(l’IVA, per es. matura sugli incassi). Ed ecco, pertanto, che la manovra
potrebbe addirittura ampliarsi, fino a contenere un taglio (si vocifera del
30%), per i settori più colpiti (turismo, automotive, ristorazione,
abbigliamento), ed una rateazione lunga (con rimesse a partire dal 2021 e fino
al 2022).

L’impatto sul bilancio dello Stato è stimato, infatti,
in appena 4 miliardi di euro. E tuttavia, si vocifera che siano stati chiesti
25 miliardi di euro: oltre a quelli menzionati, 6-7 miliardi per la proroga
della cassa integrazione; ulteriori 1,5 miliardi per incentivare le assunzioni
a tempo indeterminato; 1,3 alla scuola; 5 per Regioni, Comuni e Province; 1-2
per sostenere i settori dell’auto e del turismo. Questa la distribuzione dei
fondi che farà schizzare il deficit nazionale a 100 miliardi in totale, metà
dei quali saranno assorbiti dalle misure
straordinarie per ammortizzatori sociali e lavoro. Un calderone che potrebbe
accogliere e raccogliere, in uno con la manovra fiscale, una ulteriore
moratoria per i mutui per le famiglie, lo stop al pagamento delle cartelle
esattoriali, l’estensione al 31 dicembre della sospensione delle attività di
notifica di nuove cartelle di pagamento e degli altri atti di riscossione, così
come dei pignoramenti, prevista al momento fino al 31 agosto; una norma per il
prolungamento lo smart working nel
settore privato fino a fine anno. E, nel tutto, rivedere, tra le righe, anche le dure parole di giorno
22: si profila (forse) un alleggerimento di sanzioni e interessi per chi
pagherà entro settembre.

Senza gloria per i commercialisti, disatteso il
loro grido.

Ministro, ma che gioco è?

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