Editoriale

Il posto fisso? Solo la prima tappa

Soprattutto nel Sud, c’è la vecchia retorica del posto fisso, che si ritene sicuro perché coperto da eventuali rischi di malattie, e non solo. Tale supposta sicurezza comporta una forte contrazione della voglia di crescere e di migliorare il proprio stato professionale e finanziario.
L’incipit non è contro l’impiego o il lavoro dipendente, tutt’altro. Ma contro la mentalità del singolo che si ritiene soddisfatto quando entra in un’azienda o ente pubblico e vi resta fino alla pensione. Posizione mentale rispettabilissima perché segue il detto: “Chi si accontenta, gode”.

Ora, non si tratta di accontentarsi o meno, bensì di percepire quella molla che dovrebbe essere dentro ciascuno di noi, la quale spinge continuamente a saperne di più, a migliorarsi, ad aumentare la propria performance.
All’interno delle fabbriche, ma anche delle reti commerciali private ed in generale del settore, ognuno può fare carriera e può via via crescere nella scala interna, fino anche a diventare quadro o, perché no, dirigente.


Chi ha dentro di sé la capacità e la voglia di crescere, non deve mai escludere di fare il grande passo che lo trasporti nel settore autonomo o come imprenditore o come artigiano o come professionista o come quant’altra attività senza padroni.
Intendiamoci, non è vero che esistano attività libere senza padroni, perché anche chi fa il lavoro autonomo ha un padrone ed è il Mercato, ovvero i clienti, coloro che devono apprezzare il bene venduto o il servizio prodotto da ciascheduno.

Da quanto precede, risulta evidente che il posto fisso dovrebbe essere considerato da tutti, o quasi, una prima tappa, importante perché fa acquisire know how e, nelle aziende ben organizzate, anche un sistema efficiente ed efficace che tende a conseguire risultati.

In Italia, la mentalità del lavoro autonomo è molto più diffusa che in qualunque altro Paese d’Europa; lo testimoniano i cinque milioni di Partite Iva, che costituiscono un’ossatura fondamentale, che genera valore e occupazione. Un aspetto negativo, però, è che all’interno vi sono sacche importanti di evasione fiscale, assenti nel lavoro dipendente.

Come si scriveva, il lavoro deve generare valore, non deve essere passivo e fine a se stesso. Lavorare per lavorare non ha senso se non quello egoistico di portare a casa un compenso qualsivoglia. Ma ogni dipendente, quadro o dirigente dovrebbe chiedersi sempre alla fine di ogni mese se si è meritato quel compenso, vale a dire se ha prodotto quanto necessario per giustificare la relativa copertura finanziaria.
Non tutti lo fanno e questo è male perché la coscienza, ovvero l’intelletto, ovvero la mente, dovrebbe sempre governare le azioni di noi umani, ben consapevoli che questa fortuna non la hanno le altre specie viventi e cioé quella vegetale e l’altra animale.

Quanto scriviamo dovrebbe costituire una sorta di mentalità diffusa, mentre è poco diffusa, con la conseguenza che ognuno guarda il suo orticello e ritiene che gli basti, secondo il detto prima indicato.
Invece, bisognerebbe avere sempre fame di conoscenze e di esperienze e voglia di trarne profitto continuamente, con un percorso che parta dalla gavetta.


In questo quadro, non possiamo omettere la valutazione del lavoro pubblico: 3,2 milioni di italiani ed italiane che dovrebbero svolgerlo “con dignità e onore”, secondo l’articolo 54 della Costituzione, più volte richiamato.

A questo numero vanno aggiunti circa 800 mila dipendenti delle società di diritto privato, ma controllate dalla Pubblica amministrazione. è vero che queste ultime sono soggette alle regole del Codice civile, ma è anche vero che al loro interno sono traslate molto regole cattive del settore pubblico.
In nessuna amministrazione di qualunque livello (nazionale, regionale, locale) vi è il Piano organizzativo dei servizi (Pos), da cui discendono il fabbisogno di risorse umane e quello di risorse finanziarie, per produrre ed erogare i servizi necessari ai cittadini.

Non sembra che vi sia rimedio a quanto precede perché tutte le riforme annunciate dai ministri della Pa o sono fallite o non hanno cominciato il loro percorso. La conseguenza è che la macchina pubblica fa più danni dell’inflazione, dell’evasione e della corruzione messe insieme.