Imprese, così la Regione ha perso oltre 300 milioni di euro in 8 anni - QdS

Imprese, così la Regione ha perso oltre 300 milioni di euro in 8 anni

Ivana Zimbone

Imprese, così la Regione ha perso oltre 300 milioni di euro in 8 anni

martedì 01 Dicembre 2020

Il decreto legislativo 112 del 1998 ha stabilito che alle regioni a statuto speciale andassero particolari incentivi per le piccole e medie imprese, ma nell’Isola le risorse sono rimaste bloccate dal 2012 ad oggi. Ora, dopo le sollecitazioni del deputato del M5s Adriano Varrica, è intervenuto il Consiglio dei ministri

CATANIA – Per le imprese siciliane, ogni anno, verranno destinati incentivi pari a circa 37 milioni di euro. Lo ha stabilito l’ultimo Consiglio dei Ministri, dopo l’intervento di Adriano Varrica, parlamentare nazionale del Movimento Cinquestelle, che spiega al Quotidiano di Sicilia come la Regione siciliana abbia fatto perdere alle Pmi oltre 300 milioni di euro dal 2012 a oggi. Il decreto legislativo n.112 del 1998 ha stabilito che alle regioni a statuto speciale potessero andare funzioni e risorse relative agli incentivi per piccole e medie imprese. Ma non tutte hanno colto l’opportunità. Affinché la Sicilia ne usufruisse, c’è voluto l’intervento di Roma.

“Al momento del mio insediamento come parlamentare, nel 2018, tutte le regioni a statuto speciale, tranne la nostra, avevano completato l’iter con successo. L’ultima è stata la Valle d’Aosta, circa 4-5 anni fa – racconta Adriano Varrica -. Fino al 2011 l’erogazione è stata comunque effettuata anche in Sicilia, grazie alla convenzione con Artigiancassa. Ma dalla sua scadenza, tutte le risorse sono rimaste bloccate. Tra inerzia della Regione, rimpallo di responsabilità e carteggi con lo Stato è trascorso quasi un decennio, a scapito delle imprese siciliane. Ci sono indubbiamente delle responsabilità politiche non indifferenti e stratificate. Durante l’ultimo anno ho seguito e stimolato passo dopo passo l’iter per sbloccare queste risorse e siamo giunti a questo tanto atteso risultato”.

Così, dal 2012 a oggi, le Pmi siciliane hanno perso ogni anno 37 milioni di euro che sono puntualmente ritornati, alla scadenza, al bilancio dello Stato. Complessivamente, circa 300 milioni che avrebbero potuto supportare tutti coloro che hanno visto fallire la loro attività negli ultimi 9 anni o che sono stati costretti a emigrare. Tanto più se si pensa che l’Istat, dal 2001 al 2011, ha registrato un incremento del numero di imprese del 10,1%, ma tra il 2011 e il 2018 si è assistito a una diminuzione dell’1,3 (-13mila).

Adesso, però, si attende il regolamento da Palazzo d’Orléans: “Alla deliberazione del Consiglio dei Ministri, seguirà il decreto legislativo. Competenze e risorse saranno finalmente trasferite alla Regione, che avrà il compito di gestirle ed erogarle attraverso bandi o sportelli – continua il pentastellato -. Esistono le norme varate dalle altre regioni, la Sicilia potrebbe richiamarle per velocizzare i tempi. Mi dirò soddisfatto solo quando le risorse arriveranno alle imprese con meccanismi trasparenti e semplici”.

PERCHÈ È COMPLICATO
FARE IMPRESA IN SICILIA

La difficoltà di fare impresa è un tasto dolente nell’Isola, al netto dell’emergenza sanitaria attuale. Innanzitutto, a causa del basso indice di competitività regionale (Rci), definito della Commissione europea come la capacità di una regione di offrire un ambiente attraente e sostenibile alle imprese e ai suoi cittadini, per vivere e lavorare. A tal proposito, secondo il rapporto diffuso dalla Commissione del 2019, la Sicilia e la Calabria registrano le performance peggiori tra le regioni italiane (ed europee). All’Isola è assegnato un punteggio inferiore a 1, come alla Romania, alla Bulgaria, alla Grecia.

Fare impresa nella nostra terra è difficile anche perché il Pil pro capite – non dipendente, ma certamente correlato all’Rci – rimane troppo basso rispetto a quello del Nord Italia (e del resto d’Europa). Basti pensare che un cittadino siciliano percepisce circa 16mila euro l’anno, mentre uno lombardo ne percepisce oltre 38mila (dati del 2019). Questo si traduce in un minor potere d’acquisto e d’investimento, soprattutto se – come suggerito dalle statistiche sul tasso di occupazione – in ogni famiglia lavora uno su due.

Le statistiche non lasciano nemmeno ben sperare per il futuro: secondo l’ultimo rapporto Svimez, tra il 2008 e il 2014 il Pil del Mezzogiorno è crollato del -12,6% contro il -7,2% del Centro-Nord. Nel quadriennio 2015-2018, ha registrato un incremento del +2,5%; ma il Settentrione è migliorato del +5,2%. E a fine 2020 la Sicilia potrebbe perdere altri 6,9 punti percentuali.

A questi problemi si aggiungono la carenza di infrastrutture e trasporti, il deficit di servizi a sostegno della famiglia, il lavoro nero che è più diffuso al Sud, dove acquisisce un peso maggiore nelle famiglie monoreddito.
Al “costo dell’insularità”, parafrasando il governatore Nello Musumeci, andrebbe sommato il “costo della regionalità”. Il carico dell’inerzia della Regione, che gioca indubbiamente a sfavore delle PMI che si lamentano per i lunghi “tempi burocratici” necessari alle erogazioni di fondi, alle autorizzazioni. Ne è un valido esempio quanto successo ad aprile, in pieno lockdown, quando le associazioni di categoria si appellavano a una Regione che non era stata capace di inviare tempestivamente all’Inps le richieste della Cassa integrazione in deroga, penalizzando ulteriormente migliaia di lavoratori già in grande disagio. Nonostante una task force di 138 persone impiegate per esitare le pratiche all’interno degli uffici.

Ivana Zimbone

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