Nello scorso fine settimana si è tenuta a Milano la conferenza programmatica di Fratelli d’Italia. Il luogo non è stato scelto a caso. Fa parte di una strategia di competizione interna all’area dell’ex ormai centrodestra, in particolare rispetto alla Lega di Salvini, che nel frattempo tenta di mutare pelle ancora con il nuovo simbolo Prima l’Italia. Il pensiero di Salvini, e forse di Berlusconi, era quello di relegare al Sud il partito meloniano, soprattutto nella divisione dei collegi in permanenza di questa pessima legge elettorale. Un Sud in cui la Meloni se la doveva vedere con la resistenza delle politiche assistenziali dei giallorossi, reddito di cittadinanza in primis. Un Sud fortemente in difficoltà economica e sociale stremato da due anni di Pandemia.
Invece la Meloni porta il suo attacco al cuore del mondo berlusconiano e leghista, la capitale morale ed economica del Paese, Milano. E si interconnette con grande intelligenza a figure e mondi non certo sovranisti. Alla convention parlano professori come Pera e Ricolfi, l’industriale veneto Zoppas e il direttore Rai Sangiuliano. In particolare la Rai rappresenta fulmineamente il garrire di nuove bandiere di potere. Certo invita anche il macchiettistico, forse sarebbe stato più prudente scegliere la controfigura Crozza, Vittorio Feltri, il quale dice che tutto è partito da Milano anche il fascismo. Molti imprenditori ed intellettuali sono presenti in proporzione al passato di riunioni di questo giovane, seppur con antiche radici, partito della Meloni.
Ad oggi la strategia della Meloni non è vincere ma crescere. Non ha più bisogno dell’unità del centrodestra, perché lei cresce se rimane identitaria e differente. Anche perché la Giorgia nazionale sa benissimo una cosa. Vincere in un paese volubile, e spesso improbabile come l’Italia, è facile, ci sono riusciti pure Salvini ed i 5stelle con il fantasmagorico governo gialloverde, ma poi inizia il difficile. Governare gli italiani, il popolo più indisciplinato del mondo. Per governare vincere non basta, bisogna avere una classe dirigente a cui fare gestire le innumerevoli posizioni chiave in cui è scomposto questo Paese. Un paese frazionato, diviso ancora di più dalla riforma del titolo V, che parla dialetti lessicali ed amministrativi diversi e difformi da nord a sud. E per formare una classe dirigente, come ce l’ha il PD, che l’ha formata per distillazione di due antiche culture politiche, ci vuole tempo. Per cui vincere non è necessario, anzi. All’opposizione, unica opposizione oggi, si può ingrassare e crescere, setacciando nuovi mondi e nuove persone scontente dello scivolo e declino di questo luogo incredibile chiamato Italia.
Da qui le fibrillazioni nelle amministrative in Italia, ma soprattutto in Sicilia del centrodestra. Salvini e Berlusconi parlano ancora con un mantra defunto, l’unità del centrodestra per vincere, la Meloni gioca ad essere differente. Lei può perdere. Oggi.
Così è se vi pare.