Lampedusa, altri "sbarchi fantasma", ma i cento della Open Arms restano ancora a bordo - QdS

Lampedusa, altri “sbarchi fantasma”, ma i cento della Open Arms restano ancora a bordo

redazione

Lampedusa, altri “sbarchi fantasma”, ma i cento della Open Arms restano ancora a bordo

lunedì 19 Agosto 2019

Da diciotto giorni in mare gli "ostaggi di Salvini". Il parroco dell'Isola, "Fateli scendere". Ieri alcuni di loro hanno tentato di raggiungere il porto a nuoto: "Se accadrà il peggio l'Europa e il capo della Lega Nord saranno responsabili". Per i naufraghi a bordo la situazione si è complicata con l'offerta di un porto sicuro da parte delle autorità spagnole: la Procura di Agrigento adesso attende. Toninelli si offre di far scortare la nave dalla Guardia costiera. La storia di Hikma, torturata in Libia

Mentre Salvini continua a fingere di “difendere il sacro suolo”, nella notte sono giunti su un barchino a Lampedusa altri 16 migranti con l’ennesimo degli “sbarchi fantasma” di cui il Viminale non parla. Il barchino, che aveva problemi di galleggiamento, è stato intercettato dalla Guardia di Finanza. I migranti, tutti tunisini, prima sono stati trasbordati sul pattugliatore delle Fiamme gialle e una volta sbarcati sono stati trasferiti nel Centro di accoglienza di Contrada Imbriacola.

“Gli arrivi, l’ultimo la scorsa notte – ha commentato il parroco di Lampedusa, don Carmelo La Magra -, dimostrano che non è un problema di Ong, perché i migranti comunque continuano a sbarcare. E a bordo della Open Arms ogni giorno in più è un giorno di tortura: fateli scendere”.

Insomma, mentre chi si affida ai trafficanti d’uomini riesce a sbarcare senza problemi, il governo italiano continua a tenere da diciotto giorni sulla Open Arms 107 naufraghi ormai allo stremo e psicologicamente prostrati.

Sono quelli che il segretario del Pd Nicola Zingaretti ha definito “gli ostaggi di Salvini”.

Vero è che nell’ispezione di due giorni fa, fonti sanitarie vicine alla Procura hanno parlato di un “quadro meno drammatico”, sulla nave, sotto il profilo igienico sanitario.

Ma hanno anche sottolineato che la situazione a bordo è molto critica. Soprattutto sotto il profilo psicologico.

Così, alcuni dei migranti, disperati, si sono gettati ieri in mare cercando di raggiungere a nuoto la terraferma, ma sono stati recuperati dai volontari di Open Arms. In serata è stata inviata, senza esito, alle autorità italiane, “una richiesta urgente per poter entrare nel porto di Lampedusa” e sbarcare i migranti: “Se accadrà il peggio – ha scritto la Ong in un tweet -, l’Europa e Salvini saranno responsabili”.

Il dramma e i sogni dei naufraghi della Open Arms vengono raccontati ai giornalisti da Hikma, 18 anni, occhi grandi nerissimi, un sorriso che lascia di sasso. Con lei c’è Amina, vent’anni, un hijab azzurro sul capo”. Entrambe arrivano dall’Etiopia e facevano parte del gruppo dei tredici naufraghi fatti sbarcare per motivi di salute.

Hikma, dall’Etiopia attraversando il Sudan, Hikma è arrivata in Libia, dove è cominciato il suo inferno.

“Sono stata rinchiusa in prigione e torturata per più di un anno – ha raccontato -, la Libia è un posto pericoloso: mi davano calci, pugni, è stato terribile”.

Ai trafficanti ha pagato 6.000 dinari libici (oltre 3.500 euro) per lasciare la prigione e imbarcarsi.

“Sul gommone eravamo in 55 – ha ricordato – e siamo rimasti in mare per due giorni prima di essere soccorsi dalla Open Arms”.

A bordo dell’ imbarcazione spagnola non è stato facile.

“Tutti ammassati uno accanto all’altro – ha raccontato – ci coprivamo con delle tende dal sole del giorno e dal freddo della sera”, aggiunge. In Etiopia ha concluso il quinto anno di studi prima di partire. Sogna di poter continuare a studiare.

“Ora sto bene – dice – e voglio andare a Roma per proseguire gli studi. Siamo scese dalla Open Arms cinqueo giorni fa, abbiamo sofferto tanto poi ci hanno fatte sbarcare e portate in un centro”, nell’hotspot di contrada Imbriacola.

Per i naufraghi a bordo della nave la situazione si è complicata con l’offerta di un porto sicuro da parte delle autorità spagnole: la Procura di Agrigento – che aveva disposto un’ispezione sanitaria sulla Open Arms e l’acquisizione di documenti nel Ministero dell’Interno – ha reso noto infatti che la decisione del governo iberico “pone una battuta di arresto all’attività d’indagine in corso”.

In sostanza la magistratura, in attesa che la situazione venga definita, non sembra intenzionata ad adottare alcun provvedimento, in attesa di sviluppi della situazione.

Ieri a tarda sera, dopo il rifiuto della Ong di dirigersi ad Algeciras a causa dell’eccessiva distanza, insopportabile per uomini e donne ormai stremati, ha proposto un “porto più vicino”, ovvero Mahon, sull’isola di Minorca, nelle Baleari, che comunque si trova a mille chilometri da Lampedusa.

“Ci appare del tutto incomprensibile – ha sottolineato la Ong -, con la nostra imbarcazione a 800 metri dalle coste di Lampedusa, dover affrontare 590 miglia marine e tre giorni di navigazione, in condizioni metereologiche avverse, con 107 persone stremate a bordo e 19 volontari molto stanchi che da più di 24 giorni provano a garantire quei diritti che l’Europa nega”.

Di qui la richiesta a Italia e Spagna “di garantire, mettendo a disposizione tutti i mezzi necessari, che queste persone finalmente sbarchino in un porto sicuro”.
“E’ urgente porre fine subito a questa situazione disumana inaccettabile – ha concluso Open Arms – che le persone che abbiamo salvato in mare sono costrette a vivere”

Il comandante della nave, Marc Reig, sta comunque valutando la possibilità di dirigere verso Minorca, anche perché il ministro dei Trasporti Danilo Toninelli, ringraziando la Spagna, ha reso noto che “la Guardia Costiera è pronta ad accompagnare la Open Arms, con tutto il sostegno tecnico necessario”.

Il bello è che Toninelli, in un post su Fb, probabilmente svegliandosi da un lungo letargo ha affermato che “è quanto mai necessario e impellente cambiare il Regolamento di Dublino”, quando finora Lega e M5s hanno disertato le riunioni europee sull’argomento.

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