Mafia a Palermo, 16 arresti nel mandamento di Tommaso Natale - QdS

Mafia a Palermo, 16 arresti nel mandamento di Tommaso Natale

Luigi Ansaloni

Mafia a Palermo, 16 arresti nel mandamento di Tommaso Natale

martedì 26 Gennaio 2021

L'operazione "Bivio" eseguita dalla Procura Distrettuale Antimafia di Palermo e dea carabinieri, con gli indagati ritenuti responsabili a vario titolo responsabili dei delitti di associazione per delinquere di tipo mafioso, tentato omicidio, estorsioni consumate e tentate aggravate, danneggiamento seguito da incendio, minacce aggravate, detenzione abusiva di armi da fuoco

Decapitato il mandamento mafioso di Tommaso Natale a Palermo e le “famiglie” anche di Partanna Mondello, Zen e Pallavicino.

Sedici arresti da parte della Procura Distrettuale Antimafia di Palermo e dei carabinieri, con gli indagati ritenuti responsabili a vario titolo responsabili dei delitti di associazione per delinquere di tipo mafioso, tentato omicidio, estorsioni consumate e tentate aggravate, danneggiamento seguito da incendio, minacce aggravate, detenzione abusiva di armi da fuoco.

LE INDAGINI

L’indagine, coordinata dal procuratore aggiunto Salvatore De Luca e dai sui sostituti, costituisce l’ennesimo risultato di un’articolata manovra condotta dal Nucleo Investigativo di Palermo sul potere di Cosa Nostra nel capoluogo

In generale l’attività ha permesso di riscontrare come la piena vigenza della ricostituita commissione provinciale di cosa nostra palermitana, riunitasi il 29 maggio 2018 dopo quasi trent’anni di inattività, abbia condizionato le dinamiche criminali del mandamento mafioso oggetto delle indagini. Infatti, in linea con le regole stabilite, il nuovo reggente del mandamento, Francesco Palumeri, si è reso protagonista, non senza rilevanti frizioni interne, della riorganizzazione degli assetti della articolazione mafiosa, dopo il momento di criticità conseguente all’operazione CUPOLA 2.0.

Le risultanze restituite dall’indagine Teneo, che aveva portato agli ultimi arresti del 23 giugno 2020, avevano infatti dimostrato come il mandamento mafioso di Tommaso Natale, almeno fino a maggio 2018, era controllato da Nunzio Serio.

I RUOLI

La famiglia mafiosa di Partanna Mondello era affidata alla reggenza di Francesco Palumeri, mentre quella di Tommaso Natale era nelle mani di Antonino Vitamia. Già in quel periodo si era compreso che il territorio della borgata dello Zen, strategicamente determinante, era affidato alla reggenza di Giuseppe Cusimano.

Questa era la composizione di vertice del mandamento di Tommaso Natale aggiornata al mese di marzo 2018, compagine comunque in continuo divenire, perché già il successivo 14 maggio 2018, Nunzio Serio veniva nuovamente arrestato ed al suo posto subentrava Calogero Lo Piccolo, da poco rientrato a Palermo.

L’immissione di Calogero Lo Piccolo alla guida del mandamento di Tommaso Natale non apportava, di fatto, significativi cambiamenti. Le persone sopra richiamate, infatti, rimanevano saldamente alla guida delle rispettive articolazioni territoriali.

L’INCONTRO

Il 29 maggio 2018, si teneva la riunione della neo ricostituita commissione provinciale di Cosa Nostra palermitana, la CUPOLA 2.0. A questo incontro, così come confermato dai collaboratori Filippo Bisconti e Francesco Colletti, aveva preso parte il nuovo capo del mandamento mafioso di Tommaso Natale, ovvero Calogero Lo Piccolo, che era stato accompagnato proprio da Francesco Palumeri, il quale veniva individuato come suo portavoce, e dunque vice, del suo capo, poi tratto in arresto.

Tale circostanza assumerà un significato rilevante nella parte finale dell’indagine, perché Giulio Caporrimo, che durante la realizzazione dell’ambizioso quanto strategico cambiamento nell’assetto mafioso della provincia palermitana era detenuto, una volta riacquistata la libertà il 24 maggio 2019, si scontrava con la realtà di questa nuova componente del mandamento di riferimento e soprattutto con una nuova leadership, determinando un vero e proprio corto circuito.

Giulio Caporrimo, infatti, si vedeva sottoposto alla direzione di un Francesco Palumeri che egli non riconosceva come suo leader e soprattutto non riteneva all’altezza di un simile incarico.

Allo
stesso modo, non riteneva ammissibile quello che era accaduto con la
riformulazione della commissione,
perché le decisioni assunte al riguardo, secondo le sue valutazioni, andavano
fuori da quella cornice di ortodossia mafiosa che caratterizza cosa nostra, essendo stata violata,
secondo lui, una delle regole principali dell’organizzazione, ovvero quella che
si sintetizza nel fatto che si è mafiosi fino alla morte e si mantiene il
proprio incarico di vertice anche nel corso della detenzione.

Caporrimo, quindi, che non considerava Palumeri un reggente, riottenuta la libertà, di lì a breve e dopo aver toccato con mano la nuova realtà associativa, decideva di stabilirsi a Firenze per prendere le distanze da questa nuova organizzazione che egli giungeva a definire non più come “cosa nostra” ma come “cosa come vi viene”.

Di contro, la decisione di defilarsi di Caporrimo ha dimostrato la piena operatività delle decisioni prese dalla nuova commissione provinciale. Francesco Palumeri, in quanto portavoce e vice di Calogero Lo Piccolo, ha avuto quindi il titolo formale per imporsi su Caporrimo che, giocoforza, ha dovuto, almeno inizialmente, soccombere.

IL BIVIO

Cosa nostra, organizzazione verticistica disciplinata da regole precise, quindi, si trova davanti a un bivio: accettare il ricostituito organismo provinciale, oppure, rimettere in discussione tutto attraverso le persone più carismatiche che vengono nel tempo rimesse in libertà, come nel caso di Caporimo.

E in effetti, Caporrimo, dopo aver trascorso un periodo di isolamento a Firenze, rientrava a Palermo in data 11 aprile 2020, riuscendo in poco tempo ad accentrare nuovamente su di sé le più delicate dinamiche dell’intero mandamento, senza i paventati spargimenti di sangue che pure era disposto ad affrontare.

Risulta dimostrato che Caporrimo, appoggiato dalla sua base mafiosa sul territorio (si sono rivelati suoi fedeli alleati Antonino Vitamia – capo della famiglia di Tommaso Natale, Franco Adelfio – uomo d’onore di Partanna Mondello, e Cusimano – ai vertici della famiglia ZEN/Pallavicino) tornato a Palermo, ha ripreso in mano le redini dell’intero mandamento mafioso, sino al suo ultimo arresto avvenuto con l’operazione Teneo nel giugno 2020, che chiude di fatto l’attività investigativa sul suo conto.   

LE NUOVE DINAMICHE

Nell’ambito delle dinamiche associative si è evidenziata la nascita di una nuova articolazione mafiosa nel mandamento di Tommaso Natale, ovvero la famiglia mafiosa di Zen-Pallavicino, affidata alla gestione di Cusimano, con l’aiuto di L’Abate.

Proprio
tale articolazione è stata caratterizzata da problemi gestionali, dovuti
all’esuberanza criminale e alla violenza di taluni gruppi di persone che, non
affiliate formalmente a cosa nostra,
hanno creato varie criticità sul territorio.

“IL DUELLO”

Fra i tanti momenti di tensione si è registrato, lo scorso settembre 2020, un grave episodio allo Zen, allorquando due gruppi armati si sono sfidati “a duello”. I due gruppi, infatti, di cui uno composto da Andrea e Carmelo Barone appoggiati da Giuseppe Cusimano, si sono affrontati armi in pugno, in pieno giorno e sulla pubblica via, esplodendo svariati colpi di pistola che solo per un caso fortuito non hanno provocato la morte o il ferimento dei contendenti o di passanti.

Tali
fatti, assieme ad altri episodi, hanno indotto i vertici mafiosi a prendere
provvedimenti nei confronti dei riottosi, meditando la soppressione di alcuni
soggetti non allineati, la cui realizzazione è stata scongiurata grazie
all’opera di prevenzione degli investigatori.

In
tema di attività estorsive si è registrato, in tutto il territorio del mandamento, una pervicace e incisiva
azione vessatoria in danno di imprenditori e commercianti, finalizzata, da una
parte, a imporre i mezzi d’opera di alcuni affiliati mafiosi a tutti gli
imprenditori impegnati in attività edili e dall’altra a riscuotere il “pizzo”,
in maniera capillare, dai commercianti locali.

In
caso di resistenze da parte degli operatori economici, gli affiliati non hanno
esitato a porre in essere danneggiamenti, anche di rilevante entità,
incendiando i mezzi d’opera.

Sono
state ricostruite, infatti, in maniera analitica, 13 attività estorsive
aggravate dal metodo mafioso (10 consumate e 3 tentate), nonché due
danneggiamenti seguiti da incendio in danno di altrettante imprese.

Hanno
collaborato con gli investigatori, denunciando i fatti, 5 imprenditori.

GLI AIUTI DELLA MAFIA

Sempre nel territorio dello Zen, i vertici di quell’articolazione criminale hanno anche tentato di accreditarsi, in maniera concreta, quali referenti in grado di fornire aiuti alla popolazione in tempo di pandemia da COVID_19. Giuseppe Cusimano, infatti, ergendosi a punto di riferimento per le tante famiglie indigenti del quartiere, ha tentato di organizzare una distribuzione alimentare per le famiglie bisognose durante la prima fase di lockdown del 2020: tale circostanza dimostra come cosa nostra è sempre alla ricerca di quel consenso sociale e di quel riconoscimento sul territorio, indispensabili per l’esercizio del potere mafioso.

Inoltre,
a rimarcare la costante pericolosità dell’organizzazione mafiosa, sono state
registrate concrete progettualità in ordine alla pianificazione di alcune rapine
(in danno di portavalori e di distributori di benzina), da commettere
attraverso l’uso di armi (anche automatiche da guerra) e di esplosivo al
plastico.

L’intento dei vertici della famiglia mafiosa dello Zen era quello di assaltare, usando proprio le armi e l’esplosivo di cui evidentemente dispongono, un portavalori di una società di vigilanza non specificata, al fine di incamerare liquidità da riutilizzare per il sostentamento degli affiliati liberi e detenuti. Analoga progettualità emergeva in danno di un distributore di benzina, che usufruisce di vigilanza armata: in tale occasione il gruppo di Cusimano non avrebbe esitato a usare le armi per neutralizzare il vigilante e rapinare l’esercizio commerciale.

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