Mafia, le mani dei clan delle montagne sui fondi europei - QdS

Mafia, le mani dei clan delle montagne sui fondi europei

redazione web

Mafia, le mani dei clan delle montagne sui fondi europei

mercoledì 15 Gennaio 2020

Nella maxi operazione denominata Nebrodi eseguiti 94 provvedimenti restrittivi da parte di Carabinieri e Guardia di finanza. Le "famiglie" messinesi avrebbero truffato cinque milioni di euro all'Agea. Tra gli arrestati anche il sindaco di Tortorici, sospeso dalla Prefettura, e un notaio

Le mani dei clan delle montagne sui fondi europei: emerge dalla maxi operazione antimafia denominata Nebrodi che all’alba ha portato all’arresto di 94 persone eseguito da Carabinieri e Guardia di finanza.

Secondo gli inquirenti la truffa ammonterebbe a oltre cinque milioni di euro intascati indebitamente soltanto dall’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea), l’ente che stanzia o finanziamenti Ue ai produttori agricoli.

Tra gli arrestati anche il sindaco di Tortorici

Tra i destinatari del provvedimento anche i vertici ed gli affiliati del sodalizio criminale dei Nebrodi e anche il sindaco di Tortorici Emanuele Galati Sardo, 39 anni, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa.

Secondo l’accusa, il politico era considerato “a disposizione dell’organizzazione mafiosa per la commissione di una serie di truffe”.

Da responsabile di uno dei Centri Commerciali Agricoli coinvolti nell’inchiesta avrebbe consentito ai clan la commissione di una serie di truffe all’Ue. Gli operatori indagati avallavano la regolarità delle domande di pagamento dei contributi europei facendo risultare finti trasferimenti dei terreni per cui chiedere le sovvenzioni europee dai proprietari ai beneficiari delle domande.

I terreni risultavano intestati a prestanome dei boss.

La prefettura sospende il sindaco di Tortorici

La Prefettura di Messina ha sospeso dalla carica il sindaco Galati Sardo, che era stato eletto lo scorso aprile supportato dalla lista “Uniti per cambiare Tortorici”.

Tutti i nomi degli arrestati

Gli arrestati portati in carcere sono: Pasqualino Agostino, Calogero Barbagiovanni, Carmelo Barbagiovani, Gino Bontempo, Giuseppe Bontempo, Salvatore Bontempo, Sebastiano Bontempo, Sebastiano Bontempo Scavo, Salvatore Calà Lesina, Gino Calcò Labruzzo, Andrea Caputo, Domenico Coci, Giuseppe Condopodero Marchetta, Samuele Conti Mica, Sebastiano Conti Mica, Ivan Conti Taguali, due Giuseppe Costanzo Zammataro (omonimi), due Salvatore Costanzo Zammataro (omomimi), Santo Destro Mignino, Sebastiano Destro Mignino, due Vincenzo Galati Giordano (omonimi), Alfred Hila, Agostino Antonino Marino, Rosario Marino, Giuseppe Marino Gammazza, Francesco Protopapa, Giuseppe Scinardo Tenghi, Mirko Talamo, Giuseppe Valerio Labia, Giuseppe Armeli Moccia, Rita Armeli Moccia, Sebastiano Coci, Katia Crascì, Sebastiano Crascì, Sebastiano Craxi, Aurelio Salvatore Faranda, Davide Faranda, Emanuele Antonino Faranda, Gaetano Faranda, Gianluca Faranda, Giuseppe Massimo Faranda, Rosa Maria Faranda, Giovanni Vecchio.

Agli arresti domiciliari sono: Alessio Bontempo, Lucrezia Bontempo, Giovanni Bontempo, Giuseppe Bontempo, Sebastiana Calà Campana, Vincenzo Caraulo, Jessica Coci, Claudia Costanzo Zammataro, Loretta Costanzo Zammataro, Valentina Costanzo Zammataro, Romina Costanzo Zammataro, Daniele Galati Pricchia, Alessandra Sciuto, Giuseppe Armeli, Salvatore Armeli Moccia, Antonio Caputo, Carolina Coci Rosaria Coci, Giusi Conti Pasquarello, Massimo Costantini, Barbara Crascì, Lucio Attilio Crascì, Salvatore Antonino Crascì, Salvatore Dell’Albani, Marinella Di Marco, Antonino Faranda, Ferrera Giuseppe, Innocenzo Floridia, Emanuele Galati Sardo, Giuseppina Gliozzo Roberta Linares, Giuseppe Natoli, Pietro Lombardo Facciale Francesca Lupica Spagnolo, Rosa Maria Lupica Spagnolo, Antonia Strangio, Giorgio Marchese, il notaio Antonino Pecoraro, Massimo Pirriatore, Elena Pruiti, Danilo Rizzo Scaccia Angelica Giusy Spasaro, Giuseppe Natale Spasaro Salvatore Terranova, Giuseppe Villeggiante, Carmelino Zingales.

Le false documentazioni dei Centri di Assistenza Agricola

Gli inquirenti spiegano come “gli operatori dei Centri di Assistenza Agricola e gli appartenenti all’organizzazione mafiosa, concordassero: la predisposizione di falsa documentazione attestante la titolarità di terreni da inserire nelle domande di contribuzione, anche mediante l’utilizzo di timbri falsi; la cessazione delle ditte/aziende già utilizzate (mettendole in liquidazione); il trasferimento dei titoli autorizzativi da una società/ditta ad altre da utilizzare nel contesto dell’organizzazione”.

E, ancora, “lo spostamento delle particelle dei terreni da una azienda a favore di altre riconducibili agli stessi sodali e la revoca dei mandati riferiti a precedenti Centri di Assistenza Agricola a favore di altri”, e “ciò al fine di rendere più difficile il reperimento della documentazione utile agli organi di controllo”.

Contesto territoriale ostile ed ermetico

Le indagini sono state rese più difficili a causa del “contesto territoriale ostile ed ermetico” a dirlo con gli inquirenti.

E’ emersa “l’immagine di un’associazione mafiosa estremamente attiva, osservante delle regole e dei canoni dell’ortodossia mafiosa, in posizione egemone nell’area nebroidea della provincia di Messina ma capace, al tempo stesso, di rapportarsi – nel corso di riunioni tra gli affiliati – con le articolazioni territoriali mafiose Catania, Enna e finanche del mandamento delle Madonie di cosa nostra palermitana”, dicono ancora gli investigatori.

Dall’operazione antimafia “sono emersi profili di allarmante riconoscimento del ruolo rivestito da alcuni suoi componenti, anche da parte di pubblici ufficiali”.

Coinvolto anche un funzionario della Regione Siciliana

“Basti pensare che uno dei membri più attivi della famiglia mafiosa batanese è stato interpellato da un funzionario della Regione Siciliana, in relazione a furti e danneggiamenti di un mezzo meccanico dell’amministrazione regionale, impiegato nell’esecuzione di taluni lavori in area territoriale diversa dal comprensorio di Tortorici” dicono gli investigatori.

“Ciò – spiegano – a riprova di un forte radicamento della famiglia tortoriciana anche in zone distanti dai territori di origine”.

Gli inquirenti hanno inoltre accertato “a partire dal 2013, l’illecita percezione di erogazioni pubbliche per oltre dieci milioni di euro, con il coinvolgimento in tale attività di oltre 150 imprese agricole (società cooperative o ditte individuali), tutte direttamente o indirettamente riconducibili alle due famiglie mafiose, alcune delle quali meramente cartolari ed inesistenti nella realtà”.

Compiacenti collaboratori dell’Agea, un notaio e i centri Caa

La percezione fraudolenta delle somme è stata possibile “grazie all’apporto compiacente di colletti bianchi identificati dalle indagini: ex collaboratori dell’ Agea, un notaio, numerosi responsabili dei centri Caa”.

Per gli investigatori “oggetti muniti del know how necessario per realizzare l’infiltrazione della criminalità mafiosa nei meccanismi di erogazione di spesa pubblica, e conoscitori dei limiti del sistema dei controlli”.

Secondo quanto emerge, “esaminando le istanze (con contenuto falso) finalizzate ad ottenere i contributi è emersa una suddivisione pianificata delle aree di influenza tra i sodalizi, finalizzata a scongiurare la duplicazione (o la moltiplicazione) di istanze diverse afferenti alle medesime particelle”.

“Questo specifico aspetto investigativo è stato confermato attraverso intercettazioni ed acquisizioni documentali, presso diversi Centri di Assistenza Agricola, dei fascicoli aziendali delle singole ditte/società attraverso le quali venivano perpetrate le truffe; e mediante perquisizioni eseguite presso le abitazioni dei principali indagati e presso alcuni Centri di Assistenza Agricola”.

Illeciti di carattere internazionale commessi dai clan

Tra gli elementi di novità raccolti dall’indagine, “emerge in maniera significativa un profilo di carattere internazionale degli illeciti, commessi nell’interesse delle associazioni mafiose”.

“In alcuni casi, infatti, le somme provento delle truffe sono state ricevute dai beneficiari su conti correnti aperti presso istituti di credito attivi all’estero e, poi, fatte rientrare in Italia attraverso complesse e vorticose movimentazioni economiche, finalizzate a fare perdere le tracce del denaro”, aggiungono gli investigatori.

Una mafia moderna grazie ai professionisti

L’organizzazione mafiosa sgominata “grazie all’apporto di professionisti, dimostra di avere una fisionomia modernissima e dinamica, decisamente lontana dallo stereotipo della ‘mafia dei pascoli'” dicono gli inquirenti.

Una organizzazione che “muovendo dal controllo dei terreni, forti di stretti legami parentali e omertà diffusa (e, quindi, difficilmente permeabili al fenomeno delle collaborazioni con la giustizia), mira all’accaparramento di utili, infiltrandosi in settori strategici dell’economia legale, depredandolo di ingentissime risorse, nella studiata consapevolezza che le condotte fraudolente, aventi ad oggetto i contributi comunitari – praticate su larga scala e difficilmente investigabili in modo unitario e sistematico – presentino bassi rischi giudiziari, a fronte di elevatissimi profitti”.

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