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Mafia, maxioperazione del Ros tra la Sicilia e la Germania

redazione web

Mafia, maxioperazione del Ros tra la Sicilia e la Germania

mercoledì 01 Luglio 2020

Quarantasei provvedimenti di custodia per traffico di stupefacenti, estorsioni, armi e corruzione. Sgominato il clan ennese di don Raffaele Bevilacqua. Cosa nostra tra baciamano e pizzini. Arrestata anche la figlia del boss, avvocata L'inchiesta della Dda nissena

I Carabinieri del Ros e del comando provinciale di Enna hanno eseguito sul territorio nazionale e in Germania una misura cautelare, emessa dal Gip del tribunale di Caltanissetta su richiesta della locale Procura distrettuale, a carico di quarantasei indagati accusati di associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico e allo smercio di stupefacenti, estorsioni, corruzione aggravata dall’aver favorito l’associazione mafiosa e detenzioni di armi da fuoco.

Nel corso dell’operazione “Ultra”, che ha sgominato il clan Bevilacqua, sono stati sequestrati beni per un valore di oltre un milione di euro.

Don Raffaele Bevilacqua, tra baciamano e pizzini

L’affresco che emerge dall’operazione è quello di una mafia di altri tempi, fatta di baciamano e pizzini, ma anche disposta ad affidare a una donna un ruolo chiave.

Da un lato la figura del boss, Raffaele Bevilacqua, personaggio carismatico, arrivato al vertice di Cosa Nostra a Enna per diretta investitura di Bernardo Provenzano, dall’altro i suoi fedelissimi, che pur non vedendolo da anni, non esitavano a obbedire senza discutere ai suoi ordini impartiti tramite la figlia.

E’ questo il quadro che emerge dall’operazione “Ultra”, condotta dai carabinieri del Ros e coordinata dalla Dda di Caltanissetta, che oggi ha portato all’arresto di 46 persone tra la Sicilia e Wolfsburg in Germania.

Tra gli arrestati anche la figlia, avvocata, del boss

Dal 41 bis “don Raffaele” continuava a mantenere i rapporti con l’esterno tramite la figlia, Maria Concetta Bevilacqua, suo avvocato di fiducia che, proprio in qualità di legale poteva far visita al suo assistito al riparo dalle intercettazioni.

Ed è proprio la figlia, Maria Concetta, finita ai domiciliari, una delle figure cardine dell’operazione, non solo come portavoce del padre ma anche nell’elaborazione delle strategie criminali.

Per l’avvocatessa era motivo di orgoglio che un vecchio affiliato al clan avesse fatto il baciamano a suo padre Raffaele, riconoscendo così il suo ruolo di capo della famiglia mafiosa nonostante la lunga detenzione in carcere.

Quella “liturgia” mafiosa, ancora oggi rispettata dagli affiliati, suscitava nell’avvocato Maria Concetta Bevilacqua “orgoglio e complicità col padre, uomo d’onore di Cosa Nostra le cui azioni – scrive il Gip nella sua ordinanza – vengono ritenute degne di essere raccontate ai figli quasi fossero gesta eroiche”.

Contro gli ordini del padre

Quando era necessario però anche la figlia del boss faceva valere la sua posizione. Bevilacqua aveva deciso di organizzare un omicidio e lei reagì in malo modo ritenendo che la commissione di un delitto a soli cinque mesi dalla scarcerazione avrebbe attirato su di loro l’attenzione degli investigatori. Tanto che non esitò di dire al padre, senza mezzi termini, ‘Io i tuoi ordini li cambio perché se tu sei ai domiciliari ti ci ho fatto arrivare io'”.

In carcere sono finiti anche gli altri due figli di Bevilacqua, Flavio e Alberto che si occupavano di tenere i contatti con gli altri affiliati e di concordare le azioni da intraprendere.

Il ricorso ai pizzini è l’altro elemento che denota una collaudato moduis operandi. Decine quelli che sono stati trovati nelle case di Catania e Barrafranca del boss. I pizzini venivano consegnati al destinatario e conservati anche da chi li scriveva per conservare una sorta di archivio delle loro attività.

Tutti i reati contestati

I reati contestati ai 46 indagati, a vario titolo, sono come detto associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico e allo smercio di stupefacenti, estorsioni, corruzione aggravata dall’avere favorito l’associazione mafiosa, detenzioni di armi e assistenza agli associati. L’indagine è stata avviata nel maggio 2018, in seguito alla concessione del beneficio della detenzione domiciliare, per ragioni di salute, al boss di Enna, già condannato per associazione mafiosa nel cosiddetto processo “Leopardo”.

Raffaele Bevilacqua, tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Duemila, era stato anche un esponente di spicco della Democrazia Cristiana, componente del direttivo della Dc e in strettissimi rapporti con Salvo Lima.

Un territorio difficile quello di Barrafranca, come è stato sottolineato dagli inquirenti, al centro negli ultimi anni di fatti di sangue e delitti e in cui continua ad essere presente uno stretto rapporto tra mafia e pubblica amministrazione.

Nella stessa operazione è stato arrestato anche un dirigente comunale e il sindaco, Fabio Accardi, è stato raggiunto da un avviso di garanzia per tentata corruzione.

Il procuratore Bertone, un’ indagine complessa

“Una complessa ordinanza di custodia cautelare”.

Così il procuratore di Caltanissetta Amedeo Bertone, ha definito l’inchiesta Ultra che ha portato a 46 arresti e alla disarticolazione del clan Bevilacqua.

“In esito – ha detto Bertone – agli sviluppi dell’operazione Kaulonia, ma tenuto conto del nuovo contesto che si è creato con la detenzione domiciliare di Raffaele Bevilacqua, rappresentante della famiglia di Barrafranca. Lo scenario evidenzia come Bevilacqua abbia cercato di ricostruire, e ci sia riuscito, i rapporti. Sono contestate diverse ipotesi come l’associazione mafiosa e l’associazione finalizzate al traffico di stupefacenti, attività che è stata incentivata da Bevilacqua con approvvigionamenti a Catania”.

“Sono stati valutati – ha aggiunto – elementi provenienti da processi storici, come quello ad Andreotti, e dai lavori della Commissione antimafia,; è emerso un quadro ulteriore del ruolo duplice di Bevilacqua come rappresentate politico e come rappresentante mafioso”.

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