Le mani di cosa nostra nei Comuni di Mojo Alcantara e Malvagna, centri della fascia ionica della provincia messinese. I finanzieri del Comando provinciale di Messina hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 7 persone, indagate per associazione a delinquere di stampo mafioso e per reati contro la pubblica amministrazione. In manette anche Bruno Pennisi, sindaco di Mojo Alcantara. Il provvedimento è stato emesso dal gip su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia.
Le indagini della Guardia di finanza hanno riguardato l’infiltrazione mafiosa ed il condizionamento delle amministrazioni dei due Comuni e hanno consentito di far luce su una cellula decisionale e operativa mafiosa del tutto autonoma rispetto alle articolazioni di cosa nostra catanese che, in passato, gestivano gli affari mafiosi anche nel territorio della valle dell’Alcantara. Secondo l’accusa, la “struttura criminale è risultata in grado di ingerirsi, condizionandole, nelle dinamiche elettorali-politiche dei due comuni, oltre che nella relativa gestione dell’attività amministrativa, attraverso l’infiltrazione di soggetti alla stessa struttura criminale direttamente e/o indirettamente riconducibili”.
Non il “classico gruppo criminale che fa della violenza la cifra del suo modo di agire – evidenziano gli investigatori – bensì qualcosa di diverso, di molto meno visibile ma non per questo meno pericoloso: una cellula criminale autonoma che, avvalendosi della legittimazione mafiosa derivante dalla contiguità al famigerato clan dei Cintorino, è riuscita ad imporsi all’interno del tessuto sociale delle due piccole realtà comunali”.
Le indagini, secondo il giudice, documentano “uno spaccato assolutamente significativo del nuovo modo di fare mafia: un gruppo che, per il suo modus operandi, rappresenta l’evoluzione del modello tradizionale di associazione mafiosa che sfrutta la fama criminale ormai consolidata e che non abbisogna di manifestazioni esteriori di violenza, per intessere relazioni con la politica, le istituzioni, le attività economiche, al fine di imporre il proprio silente condizionamento”. Importante il contributo fornito da un collaboratore di giustizia che, a valle del suo arresto nella nota operazione ‘Isola Bella’, che ha documentato interessi mafiosi nel settore turistico, chiariva ai magistrati della Dda le dinamiche criminali insistenti nella fascia ionica della provincia peloritana.