Il deposito dei pizzini o, come la definiscono gli investigatori, la “stazione di posta”. Nella villetta di contrada Strasatti-Paratore, tra Castelvetrano e Campobello di Mazara, il latitante Matteo Messina Denaro smistava i messaggi e i suoi ordini per la sorella Rosalia.
Ed è quella casa, all’interno di un’azienda agricola, che nella notte tra il 5 e 6 gennaio 2017 fu bersaglio di un raid. Era l’Epifania e c’era un nuovo mistero attorno alla figura dell’ex latitante. A denunciare il caso fu la stessa Rosalia dopo aver trovato la villetta a soqquadro. In un primo momento si suppose che quell’azione fosse un messaggio rivolto al boss, oggi, però emergono altre ipotesi.
A distanza di quasi due mesi dall’arresto del boss e dopo aver analizzato pizzini e ascoltato intercettazioni, nelle indagini degli investigatori si fa strada una nuova pista. Quel raid potrebbe essere stato voluto dallo stesso Matteo Messina Denaro alla ricerca di cimici o telecamere. Il furto, in sostanza, potrebbe essere stato simulato. Nessuna certezza, se non il fatto che allora una spiegazione attendibile non fu trovata, né furono scoperti i colpevoli. Dall’abitazione furono portati via molti quadri e una cristalleria con oggetti di valore. Ma non solo, molte porte erano state rimosse, le piastrelle divelte, danneggiati gli impianti e la centralina elettrica.
Se l’archivio con un migliaio di pizzini di Matteo Messina Denaro è stato trovato, la stessa cosa non vale per la cassa del boss. Dalle indagini della Procura di Palermo emerge in modo chiaro che avesse la disponibilità di centinaia di migliaia di euro in contanti. E se ne parla esplicitamente anche nei pizzini rivolti alla sorella. “Ne sono rimasti 85 mila, e questo è un problema, sono pochi, devo avere un deposito più grosso, se no vado a sbattere, cioè non sono coperto per come voglio io. Quindi ora ti spiego come fare per recuperare questi 40 mila”. Il boss lo scriveva probabilmente dopo la spesa per l’acquisto del covo di Campobello.