Migranti, il taglio dei permessi danneggia l'economia - QdS

Migranti, il taglio dei permessi danneggia l’economia

redazione web

Migranti, il taglio dei permessi danneggia l’economia

lunedì 25 Novembre 2019

In Italia, grazie alla propaganda dei partiti di destra, "non passa lo straniero" e siamo ultimi nell'accoglienza. Ma a pagare sono le imprese in cerca di manodopera. E questo sistema fa soltanto aumentare gli irregolari

L’Italia è il Paese dell’Ue che concede ormai dal 2011 meno permessi di soggiorno per lavoro, (circa 14.000 nel 2018), danneggiando le imprese che hanno bisogno di manodopera, e spingendo invece gli immigrati economici ad entrare clandestinamente presentandosi come richiedenti asilo.

E’ il quadro – sul fronte migranti – che Enrico Di Pasquale, della Fondazione Enrico Maressa, specializzata nell’economia dell’immigrazione, ha mostrato nel corso di una audizione in Commissione Affari costituzionali della Camera nell’ambito dell’esame della riforma della legge Bossi-Fini.

La Fondazione ha sottolineato che le attuali politiche non hanno fatto che aumentare il numero di irregolari che dai 533mila del 2018 è salito ai 670mila del 2019, soprattutto a causa del primo decreto sicurezza.

Di Pasquale ha puntato l’indice contro la propaganda di Matteo Salvini, della Lega e dei partiti della destra.

“Negli ultimi anni il dibattito sugli sbarchi – ha detto Di Pasquale – ha monopolizzato l’attenzione sulle questioni migratorie, facendo dimenticare che gli stranieri in Italia sono oltre cinque milioni, cinquanta volte di più rispetto ai 100 mila ospitati nei centri di accoglienza”.

E infatti “tra gli stranieri residenti in Italia, le prime nazionalità non sono quelle coinvolte negli sbarchi del Mediterraneo, ma Romania (1,2 milioni), Albania (440 mila), Marocco (420 mila), Cina (300 mila), Ucraina (240 mila), Filippine (168 mila)”.

Insomma, bisogna pensare anche alle esigenze dell’economia, con le Associazioni datoriali che hanno chiesto di aumentare il numero dei permessi per lavoro, che dal 2011 sono stati bloccati, toccando il minimo di 13.877 nel 2018, cioè appena 0,23 ingressi ogni 1.000 abitanti: il più basso d’Europa.

Molti più permessi per lavoro sono stati dati dagli altri Paesi industrializzati (Germania 68.342, Francia 33.808, Spagna 58.433, Regno Unito 108.150, Olanda 20.885), ma anche i Paesi di Visegrad che dicono di fare politiche anti-immigrati: Polonia 327.605, Rep. Ceca 35.529, Ungheria 31.553).

La Fondazione Maressa sottolinea che al blocco dei permessi regolari di lavoro ha corrisposto un aumento degli ingressi irregolari: “l’anno spartiacque – ha detto Di Pasquale – è stato il 2011 quando, in concomitanza con la crisi economica, si sono di fatto quasi azzerate le quote annuali stabilite dai decreti flussi, determinando il fatto che quasi tutti gli arrivi dall’Africa e dall’Asia si incanalassero nel percorso di richiesta di protezione internazionale e, quindi, nel sistema di accoglienza, con tutti i problemi connessi. Parallelamente sono aumentati gli sbarchi di migranti irregolari sulle coste”.

La chiusura, viene spiegato nello studio, parte dal principio – “tanto diffuso quanto errato” – che vi sia concorrenza tra l’occupazione italiana e quella straniera. Ma “questa idea è sbagliata per varie ragioni”, come dimostra il fatto che “in questi anni di mancati arrivi di migranti economici, non si è vista una drastica riduzione dei disoccupati italiani”.

Di Pasquale, criticando sia l’attuale sistema, sia quello precedente “dell’immigrazione subita”, osserva come “la riapertura dei canali d’ingresso legali porterebbe un contributo essenziale al sistema produttivo e alle casse pubbliche, sotto forma di gettito fiscale e contributi previdenziali, in un contesto di natalità ai minimi storici e invecchiamento della popolazione” e farebbe diminuire gli sbarchi clandestini.

“In definitiva – ha concluso – occorrerebbe passare dalla gestione in emergenza a una programmazione mirata e a lungo raggio”.

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