“È il punto su una vicenda che racconta di violenza e sangue, sofferenze ed eroismi”, lo dice il sindaco de L’Aquila Pierluigi Biondi, attraverso un post pubblicato su Facebook, a commento della morte di Matteo Messina Denaro, avvenuta nella notte di lunedì 25 settembre. L’ex superlatitante si trovava ricoverato nell’ospedale della località abruzzese dallo scorso 8 agosto.
“L’epilogo di una esistenza vissuta senza rimorsi né pentimenti, un capitolo doloroso della storia recente della nostra Nazione che non possiamo cancellare ma di cui oggi possiamo narrare la fine grazie al lavoro delle donne e degli uomini che hanno dedicato la loro vita alla lotta contro la criminalità mafiosa”, aggiunge.
“Il 1992 per me, e tanti come me, ha segnato un nuovo inizio dell’impegno politico: non avremmo ceduto al ricatto, ci saremmo battuti per un’Italia forte, orgogliosa, libera e coraggiosa”, sottolinea ancora il sindaco.
“Oggi continuiamo su quella strada e consapevoli dell’importanza di trasmettere principi sani, anche grazie a iniziative, come il premio intitolato a Paolo Borsellino, utili a far sì che i nostri giovani abbiano memoria di chi ha reso l’Italia un luogo migliore. Di cosa è male e di cosa è bene. Ringrazio il personale del carcere Le Costarelle, le nostre forze dell’ordine, il nostro personale sanitario, per non aver mai fatto mancare professione e umanità”, conclude Biondi.
“Per Castelvetrano la morte di Messina Denaro rappresenta la chiusura di un capitolo e l’apertura di un nuovo capitolo”, lo dice all’Adnkronos Enzo Alfano, il sindaco di Castelvetrano (Trapani), la città che ha dato i natali al boss morto nella notte.
“Serve sempre rispetto davanti alla morte – dice il primo cittadino – perché contrariamente ai mafiosi, noi la vita la rispettiamo fino alla morte, ma non possiamo dimenticare chi è stato Messina Denaro, un assassino, uno stragista che ha fatto male alla sua terra. Che con la sua presenza-assenza ha tenuto lontano da queste terre tanti imprenditori che probabilmente avrebbero creato posti di lavoro”.
“Quell’uomo ha condizionato questa città – dice – il ricordo che si ha è quello di un giovane prepotente che si godeva la vita con macchine grosse, e guai a sbarrargli la strada, altrimenti perdevi la vita”.
“La liberazione di Castelvetrano è avvenuta con l’arresto – prosegue – oggi con la morte si chiude un libro per aprirne un altro. Fatto di tanti radici che questa città ha, radici nobili, cultura, storia, arte, bisogna tornare a parlare di Castelvetrano con attività culturali che la identificano, il nostro centro storico, ad esempio, o il parco archeologico. Castelvetrano non è riuscita a essere conosciuta proprio a causa di questa cappa”.
“Ancora devo metabolizzare la notizia. Con sé si porta dietro tanti segreti. Ero certo che non avrebbe collaborato”, lo dice all’Adnkronos Nicola Di Matteo, fratello di Giuseppe, il bambino strangolato e poi sciolto nell’acido, su ordine, tra gli altri, di Giovanni Brusca, allora latitante e boss di San Giuseppe Jato, e Matteo Messina Denaro, nel giorno della morte dell’ex primula rossa.
“Da credente non avrei potuto augurargli la morte. Non si può augurarla a nessuno se si ha un po’ di umanità, ma se fosse rimasto in vita sofferente avrebbe forse capito il dolore enorme che ci ha inflitto”.
“Sono tutti imperdonabili. Tutti. Lo sono per mia madre soprattutto, ma anche per me. Non sono belle giornate, ancora una volta alla mente vengono quei giorni terribili. È una ferita che si riapre sempre, un segno che rimane a vita. Era un bambino, solo un bambino…“, conclude.
“Matteo Messina Denaro (1962-2023), assassino. Il boss è morto, l’Italia continua a essere un Paese a vocazione mafiosa”, è il commento pubblicato su X e su Facebook dal giornalista e scrittore Roberto Saviano.
“È morto anche Matteo Messina Denaro, per lui ovviamente non scatterà la beatificazione di Stato con tanto di propaganda”, scrive su Facebook Luigi De Magistris, ex magistrato ed ex sindaco di Napoli.
“Diranno che grazie allo Stato e alla sua cattura, avvenuta a pochi mesi dalla morte dopo beata latitanza di circa 30 anni sotto il naso dello Stato, lo stesso Stato ha sconfitto la mafia, in realtà convivono senza farsi più la guerra e facendo invece la guerra istituzionale a chi, anche dentro lo Stato, combatte la penetrazione della mafia nello Stato”, conclude.