Claudio Domino, bimbo di 11 anni ucciso dalla mafia, "Dopo 35 anni nessuna giustizia" - QdS

Claudio Domino, bimbo di 11 anni ucciso dalla mafia, “Dopo 35 anni nessuna giustizia”

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Claudio Domino, bimbo di 11 anni ucciso dalla mafia, “Dopo 35 anni nessuna giustizia”

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giovedì 07 Ottobre 2021

Il piccolo Claudio era con un amichetto quando un assassino lo ha chiamato, lo ha avvicinato e gli ha sparato un colpo di pistola in pieno volto. I genitori, oggi, continuano a chiedere giustizia.

Il 7 ottobre 1986, nel quartiere di San Lorenzo a Palermo, un killer mafioso uccide Claudio Domino. Aveva 11 anni e non si trovava nel posto sbagliato, perché per lui non ci fu un proiettile vagante che interruppe la sua vita. Claudio Domino fu giustiziato con un colpo di pistola in testa.

Da allora sono passati 35 anni, anni di parole non dette, di verità negate, di giustizia mai avvenuta. Claudio Domino è uno dei 109 bambini uccisi dalla mafie, da quegli “uomini d’onore” che, a detta loro, non uccidevano donne e bambini.

Abbiamo incontrato Graziella Accetta, la mamma di Claudio per farsi raccontare la sua storia.

Graziella, chi era Claudio?

“Innanzitutto Claudio era nostro figlio, mio e di Ninni, mio marito. Era un bambino bellissimo, gioioso. Era un bambino molto buono e altruista. Claudio era solare, sorrideva sempre. Claudio giocava sempre”.

Cos’è successo il 7 ottobre 1986?

“Quella sera Claudio ci chiese di andare a casa perché voleva vedere in televisione un cartone animato che gli piaceva molto. Abitavamo a poco più di trecento metri dal negozio che, in quel momento, stavamo chiudendo. Ci sembrò normale dirgli che poteva andare. A quel tempo San Lorenzo, il quartiere in cui vivevamo, era relativamente tranquillo, non c’era il traffico di oggi e nemmeno la malvagità che c’è oggi. Claudio aveva vissuto in clima tranquillo, di persone perbene che gli stavano insegnando i veri valori della vita.

Lauretta, mia figlia, aveva appena 16 mesi ed era con noi. Claudio se ne era andato da poco e noi stavamo chiudendo il negozio quando una grossa motocicletta, una Kawasaki, passò davanti a noi. C’incuriosì perché, a quel tempo, non era normale vedere una moto di grossa cilindrata, per giunta di sera -erano circa le 20:45-, passare nel quartiere. La moto girò l’angolo della strada e lo sguardo mi portò su Claudio che, in compagnia di un amico, stava voltando per lo stesso angolo. All’improvviso sentimmo un grosso botto. Lo scambiammo per un rumore provocato da un motore, di un’auto o di una moto, e non pensammo minimamente a un colpo di pistola. All’improvviso corse verso di noi il suo amico che ci disse: ‘Hanno sparato a Claudio’. Ninni, mio marito, gli disse di non scherzare e di andarsene. Io, invece, corsi proprio pensando al botto che avevo sentito. Arrivai e trovai nostro figlio riverso a terra con il volto coperto dal suo sangue. La corsa in ospedale fu inutile, Claudio non c’era più. L’assassino l’aveva chiamato per nome, Claudio si era avvicinato e lui, con freddezza, gli aveva sparato in pieno volto”.

Avevi altri due figli. Cosa ha voluto dire per voi affrontare il giorno successivo?

“Oltre a Laura, che era con noi, avevamo un altro figlio, Giuseppe, di tredici anni e mezzo. Il giorno dopo, dal punto di vista mentale, eravamo completamente assenti. Non riuscivamo a capire cosa fosse successo, non riuscivamo a capacitarci del perché avessero ammazzato Claudio, perché avessero voluto uccidere un bambino. La quotidianità iniziò un suo percorso terribile perché non c’era più in casa un figlio da accudire, con cui parlare. Non c’era più un figlio da portare a scuola, un posto vuoto tavola, un letto che non era mai disfatto perché non ci dormiva più nessuno. Dopo 35 anni non è cambiato molto, forse ci siamo solo rassegnati ma, ancora oggi, non ce ne siamo fatti una ragione. Forse c’è un disegno divino, anche se difficile e doloroso da comprendere. Oggi andiamo nelle scuole a parlare di legalità, a parlare di Claudio, a parlare degli altri 108 bambini uccisi dalle mafie. Ecco… forse la morte di Claudio è servita a questo”. 

Verità e giustizia. Che significato hanno per voi queste parole?

“Abbiamo sempre avuto fiducia nelle istituzioni. Abbiamo educato i nostri figli a chiedere giustizia, non vendetta. Sono i valori portanti che gli abbiamo voluto trasmettere. Certo che il perdono è molto lontano così come la verità e la giustizia per la morte di nostro figlio Claudio”.

Dal punto di vista giudiziario, qual è la situazione?

“Per trentaquattro anni abbiamo pensato che Claudio fosse stato testimone della sparizione di due ragazzi che era avvenuta qualche tempo prima nel quartiere. Le famiglie dei due ragazzi vennero per molto tempo in negozio a chiedere se Claudio avesse visto qualcosa. Oggi, questo pensiero non ci appartiene più. Oggi abbiamo capito che dobbiamo guardare quella situazione in un sistema più alto.

Era in atto il maxi-processo e noi, con l’azienda di mio marito, avevamo vinto l’appalto per le pulizie dell’aula bunker. Come dicevo tutto ci riporta al maxi-processo. Il giorno dopo la morte di Claudio, dalle gabbie che contenevano i mafiosi portati alla sbarra, si levò la voce di Giovanni Bontate, avvocato e fratello di Stefano, il ‘principe di Villagrazia’. La sua dichiarazione fu dirompente perché dichiarò che non erano stati loro a uccidere quel bambino. Dichiarò, implicitamente, che la mafia esisteva come organizzazione organica, affermazioni che nemmeno Buscetta o Contorno, collaboratori di giustizia, avevano mai fatto. Indubbiamente quest’affermazione permise alla Corte di passare da una supposizione non riscontrata ad uno stato di fatto, che la mafia non solo esisteva ma che era un’organizzazione criminale. Lo scorso mese di maggio, durante una trasmissione televisiva, sentimmo alcune dichiarazioni che riguardavano la morte di Claudio tra queste quella di Lirio Abbate, autore di un libro di cui parlava in quell’occasione, che indicò in Giovanni Aiello, un ex poliziotto che lavorava per i Servizi, l’assassino di nostro figlio”. 

Oggi, qual è la situazione?

«Dopo quella trasmissione andammo in Procura a Palermo per capire perché, con la documentazione depositata agli atti in procura da 25 anni, avessimo dovuto apprendere questa notizia dalla televisione. E soprattutto perché Claudio fosse stato ucciso da un uomo che lavorava per lo Stato. Forse, per costringere Giovanni Bontate a fare quella dichiarazione, era necessario uccidere un bambino? Abbiamo fatto un sit-in davanti alla Procura di Palermo. Dopo una settimana il procuratore Lo Voi e il procuratore De Luca ci hanno ricevuto e ci hanno assicurato che stavano vagliando tutta la documentazione in loro possesso per cercare di capire cosa fosse successo. Stiamo aspettando in religioso silenzio, come abbiamo fatto in questi trentacinque anni. Oggi però l’età avanza e pretendiamo più che mai verità e giustizia sulla morte di Claudio”.

Oggi, come ricordavi è il 35° anniversario della morte di Claudio. Cosa succederà oggi a Palermo?

“Contrariamente a quanto è sempre successo, dopo la commemorazione davanti alla lapide che lo ricorda, nel quartiere San Lorenzo, non torneremo a casa. Quest’anno non ci chiuderemo nel nostro dolore. Si parlerà di Claudio e delle altre 108 vittime delle mafie per tre giorni. Oggi con una messa nella Cattedrale di Palermo, domani con gli spettacoli di Angelo Sicilia e i suoi pupi antimafia e con il cuntista Salvo Piparo e sabato con una dimostrazione di Jujitsu, per parlare di sport e legalità, e la presentazione del libro di Bruno Palermo che si intitola ‘Al posto sbagliato – storie di bambini vittime di mafia’.

Ci saranno, sul piano della cattedrale, 109 sedie e 109 banchi, banchi vuoti. Gli eventi sono stati organizzati dall’associazione ‘Cassaro Alto’ in collaborazione con le ‘Agende Rosse P. Borsellino’ di Palermo e con il supporto di molte associazioni. Tre giorni per raccontare ”Le classi con i banchi vuoti” rivolti agli studenti che parteciperanno provenienti da moltissime scuole di Palermo. C’è un sogno, che feci molti anni fa, quando Claudio compì 18 anni. Claudio entrava, in fila, nella Cattedrale con tanti altri ragazzi. Era vestito come un Cadetto dell’Annunziatella di Napoli, con i pantaloni bianchi, la camicia bianca e il giubbino celeste. Era uno spettacolo bellissimo, erano tutti insieme. Nel sogno Claudio mi disse: ‘Adesso sono un Cadetto di Dio, però quando tu mi vuoi vedere chiamami, chiederò il permesso e verrò da te e da papà”.

Roberto Greco

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