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Palermo si ribella al pizzo, sgominato il clan di Borgo vecchio

redazione web

Palermo si ribella al pizzo, sgominato il clan di Borgo vecchio

martedì 13 Ottobre 2020

Venti fermi, i Carabinieri ringraziano gli imprenditori del quartiere. L'operazione, coordinata dalla Dda. I clan gestivano feste patronali e ultras rosanero. Il neomelodico Niko Pandetta, il concerto e i boss. Il traffico di droga organizzato dai domiciliari

“Vorremmo ringraziare quegli imprenditori che si sono fidati di noi: molti sono venuti spontaneamente a denunciare, ci hanno messo la faccia e noi li abbiamo tutelati, è questo il messaggio che vogliamo dare alla città, si deve dire basta al pizzo”.

Lo ha detto il comandante provinciale dei Carabinieri di Palermo, Arturo Guarino, commentando il blitz coordinato dalla Dda contro il clan mafioso del Borgo Vecchio che ha portato al fermo di venti tra boss, gregari ed esattori accusati a vario titolo di associazione mafiosa, associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga, ai furti e alla ricettazione, tentato omicidio aggravato, estorsioni e danneggiamenti.

L’indagine che ha portato ai fermi è la prosecuzione di inchieste passate sul mandamento mafioso di Porta Nuova e, in particolare, sulla famiglia mafiosa di Borgo Vecchio.

Tutti i nomi dei fermati

Ecco l’elenco dei fermati nel corso dell’operazione al Borgo Vecchio a Palermo: Angelo Monti, 54 anni, Jari Massimiliano Ingarao, 26 anni, Girolamo Monti, 45 anni, Giuseppe Gambino, 56 anni, Domenico Canfarotta, 42 anni, Pietro Cusimano, 58 anni, Danilo Ingarao, 25 anni, Gabriele Ingarao, 33 anni, Marcello D’India, 65 anni, Giovanni Zimmardi, 46 anni, Vincenzo Vullo, 46 anni, Alondi Paolo, 19 anni, Giacomo Marco Bologna, 29 anni, Antonino Fortunato, 20 anni, Filippo Leto, 48 anni, Matteo Lo Monaco, 30 anni, Giuseppe Lo Vetere, 21 anni, Ignazio Sirchia, 49 anni, Giovanni Bronzino, 66 anni, Salvatore Guarino 71 anni, nato a Forbach in Francia e residente a Palermo.

Venti estorsioni accertate

Oltre venti le estorsioni accertate nel corso dell’indagine coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia guidata dal Procuratore Francesco Lo Voi, tredici delle quali scoperte grazie alle denunce spontanee delle vittime.

In cinque casi, invece, i commercianti hanno ammesso di pagare dopo essere stati convocati dagli inquirenti.

Un risultato straordinario in un quartiere in cui la paura consente a Cosa nostra di controllare capillarmente le attività commerciali.

Il boss e i gregari fermati

Nell’operazione Angelo Monti, ritenuto il reggente della “famiglia” del Borgo Vecchio, che, scarcerato tre anni fa, era tornato a guidare il clan, è tornato dietro le sbarre.

Scoperti anche i “colonnelli” del capomafia: il fratello, Girolamo Monti, anche lui arrestato nel 2007 e Giuseppe Gambino, già condannato per mafia, che secondo le indagini teneva la cassa della famiglia, e faceva da tramite tra i vertici e il gruppo operativo.

Gli “esattori” del pizzo erano Giovanni Zimmardi, Vincenzo Vullo e Filippo Leto.

Dei traffici di droga si occupavano, invece, Jari Massimiliano Ingarao, nipote del boss, e i sue due fratelli, Gabriele e Danilo che a loro volta avevano messo su una squadra di pusher.

Jari Ingarao, nonostante fosse ai domiciliari, organizzava e coordinava tutte le attività legate al commercio degli stupefacenti, riuscendo ad acquistare la droga principalmente in Campania e a rifornire le varie piazze di spaccio del quartiere.

Oltre a definire le linee guida del narcotraffico a Palermo, il clan controllava direttamente i dettagli organizzativi, la contabilizzazione dei ricavi, gli investimenti del denaro sporco e la gestione dei soldi confluiti nella cassa della famiglia mafiosa.

Assistenza economica alle famiglie di chi è in carcere

L’inchiesta ha confermato che Cosa nostra continua ad assistere economicamente le famiglie degli affiliati detenuti e a far cassa coi metodi tradizionali del racket, della droga, e dell’infiltrazione nel tessuto economico.

E’ emerso inoltre che la cosca interveniva, in alcuni casi, anche nella gestione dei furti di moto e della loro successiva restituzione ai proprietari, attraverso il cosiddetto metodo del “cavallo di ritorno”, una sorta di richiesta di riscatto per avere indietro il mezzo rubato.

Cantanti reclutati per la festa della Patrona

L’indagine ha confermato che la mafia continua a controllare l’organizzazione delle feste religiose in alcuni quartieri di Palermo.

Per la festa della patrona del Borgo Vecchio, Madre Sant’Anna, Cosa nostra aveva il monopolio dell’organizzazione delle serate musicali animate dalle esibizioni di alcuni cantanti neomelodici.

Secondo le indagini, i mafiosi sceglievano e ingaggiavano i musicisti e, attraverso “riffe” settimanali, raccoglievano tra i commercianti le somme di denaro necessarie per lo spettacolo.

Il denaro che restava finiva nella cassa della famiglia mafiosa ed era usato per il mantenimento in carcere dei mafiosi detenuti e per investimenti illegali.

Oltre alla scelta dei cantanti e al loro ingaggio il clan curava le sponsorizzazioni dei commercianti e autorizzava gli ambulanti a vendere la merce durante la festa, regolandone anche la posizione nelle strade del rione.

Pandetta, il concerto mancato e i boss

Nell’inchiesta si parla anche di un noto cantante neomelodico catanese, Niko Pandetta, che era solito aprire i suoi concerti dedicandoli “a chi purtroppo sta al 41-bis”.

Il suo affetto verso i boss lo aveva ripetuto anche durante un’intervista tv nel 2019. Pandetta era amico del boss Jari Ingarao, che incontrava nonostante fosse ai domiciliari. Ingarao, oggi finito in cella, aveva incaricato alcuni uomini d’onore di invitare i commercianti del rione a sponsorizzarne un concerto. Parte dei ricavi dovevano andare nelle casse del clan. Ma l’esibizione non si tenne perché dopo le parole dette in tv al cantante fu vietato di esibirsi.

“Con un tatuaggio su Falcone risolvi”

“Gli ho detto io a lui: fatti un tatuaggio e ti scrivi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e si risolvono i problemi”, consigliava a Pandetta uno dei mafiosi intercettati.

Una ricetta che gli avrebbe consentito di superare le difficoltà legate alle sue discusse esternazioni sulla mafia.

I clan controllavano gli ultras del Palermo calcio

Si è appreso inoltre dalle intercettazioni che Cosa nostra avrebbe tentato di evitare gli scontri tra gruppi di ultras della squadra di calcio del Palermo.

“Le indagini – scrivono gli investigatori – hanno delineato un significativo quadro di rapporti fra le tifoserie calcistiche palermitane e Cosa nostra. Non è emerso, però, alcun coinvolgimento della società che gestisce la squadra”.

I vertici della famiglia mafiosa di Borgo Vecchio, dunque, volevano controllare i contrasti fra gruppi ultras per evitare scontri all’interno dello stadio, da un lato dannosi per lo svolgimento delle gare e dall’altro fonte di possibili difficoltà per uno storico capo ultrà rosanero, elemento di contatto tra la cosca e il mondo del tifo organizzato cittadino.

Il sindaco Orlando, lo Stato sa tutelare

“L’operazione – ha detto il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando – dimostra come sia necessario non abbassare la guardia contro una vitalità mai sopita delle cosche. Dimostra anche che lo Stato può essere in grado ed è in grado di proteggere chi decide di ribellarsi al pizzo e alla violenza. Che, come giustamente sottolineato dai vertici dei Carabinieri, lo Stato sa tutelare chi decide di esporsi contro il ricatto mafioso”.

Paga cena con soldi falsi, il clan lo condanna a morte

L’indagine ha svelato anche gli autori di un tentato omicidio.

Sono Marcello D’India e Giovanni Bronzino che, il 12 dicembre del 2018, con un coltello, cercarono di uccidere Giovanni Zimmardi, anche lui incaricato dal clan Borgo Vecchio di riscuotere il pizzo.

Dietro l’aggressione ci sarebbe stata l’ira dei due mafiosi verso Zimmardi che aveva pagato una cena in una trattoria del quartiere con soldi falsi. Dall’inchiesta emerge il capillare controllo del territorio da parte dell’organizzazione mafiosa che continua a rivendicare una sorta du funzione sociale attraverso l’imposizione delle proprie decisioni per la risoluzione delle controversie più disparate: dai litigi familiari per motivi sentimentali, alle occupazioni abusive di case popolari, agli sfratti per affitti non pagati.

Musumeci: “Coraggio dei commercianti rende tutti più liberi”

“Due buone notizie, di quelle che rendono migliore la nostra
terra: da un lato il coraggio dei commercianti che hanno infranto il muro
dell’omertà, dall’altro la brillante operazione dei carabinieri che ha colpito
il clan di estortori. A loro sento di rivolgere, a nome di tutti i siciliani,
un sentimento di profonda gratitudine perché oggi ci riappropriamo idealmente
di un altro frammento di quella libertà che la mafia in tanti anni ha sottratto
all’intera collettività”.

Così il presidente della Regione Siciliana Nello Musumeci ha
commentato l’arresto, nel quartiere Borgo Vecchio di Palermo, di venti persone
– tra boss, gregari ed esattori del clan – accusate di associazione mafiosa,
traffico di droga, furti, ricettazione, tentato omicidio aggravato, estorsioni
e danneggiamenti ai danni di diversi negozianti che li hanno denunciati.

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