Luogo inComune

Progettare cose inutili o intelligenti, questo è il dilemma

Nell’anniversario dei 140 anni dalla prima edizione del libro “Le avventure di Pinocchio – storia di un burattino” di Carlo Collodi, il libro italiano più tradotto al mondo, il nostro ennesimo designer protagonista del Grand Tour del Design in Sicilia, ovvero il prodigioso Giulio Iacchetti, ha realizzato presso l’Adi Design museum della città di Milano nel mese di febbraio di quest’anno, un evento espositivo dal titolo “Carissimo Pinocchio, designer e grafici italiani ridisegnano il burattino più famoso del mondo”, una mostra che nasce da una selezione di progetti dedicati all’icona che ha ispirato generazioni di creativi e di pensatori, e che adesso affronta un percorso itinerante a diverse latitudini del pianeta.

Il presidente dell’Adi, Luciano Galimberti, ha descritto l’evento come “un’occasione per poter festeggiare e celebrare un capolavoro della letteratura italiana, con l’obiettivo di rinsaldare una multidisciplinarità del design quale patrimonio di ricchezza culturale capace di porre questioni nel nostro agire quotidiano”. Ecco, mi premeva poter cominciare la descrizione del nostro protagonista servendomi dell’innesto di una narrazione, quella per l’appunto, del mitico burattino, allo scopo di potervi colpire subito al cuore. A quel cuore di bambino insolente e delizioso, prepotente ed insieme irresistibilmente seducente, quale tutti siamo stati, proprio in quel tempo felice della nostra vita in cui tutto sembra essere concesso, dove ogni cosa, ogni sogno sembra essere possibile e, spesso diviene, quasi in maniera naturale facilmente realizzabile.

Del resto, avete imparato a conoscermi e, tante volte ho detto che “Nello sforzo di ridefinizione dell’identità di ogni elemento che entrerà a far parte del nostro sistema ambientale il designer è un Killer! …, che ha a che fare con una potenza di fuoco di segni e simboli, veicolati da una molteplicità di icone mediatiche, o da artefatti fisici. E possiede, mediante il suo gioco sapiente la capacità di poter produrre delle azioni benefiche, talvolta persino salvifiche” (“Condom, Common & ReFuel design. Il design scatola del sogno e del bisogno”; Luigi Patitucci, Malcor D , 2017, NdA).

Non crediate che io abbia utilizzato il termine ‘gioco’ per caso. L’azione ludica è certamente uno dei migliori propellenti dell’esercizio dell’espressione culturale, agendo come elemento d’ingaggio nei confronti di traiettorie di scoperta sconosciute conduce al conseguimento di preziose informazioni ed acquisizioni, la cui sommatoria va a formare preziose catene del nostro percorso evolutivo, in quanto esseri viventi.

Si, perché è attraverso il gioco sapiente del design che Giulio Iacchetti ama esprimersi con estrema, disarmante, poetica semplicità, realizzando ogni qualvolta degli elementi che andranno poi a caratterizzare i nostri ecosistemi ambientali scuotendone, mediante l’innesto di fisionomie giocose e prepotenti, pronti a squassare, revitalizzandolo, il nostro sonnacchioso modus vivendi. E, cosa non trascurabile quest’ultima, compiendo così una operazione critica che mira ad erodere, a demolire, l’antico concetto di utilità intimamente connesso all’oggetto di design, quale unica salda motivazione, sempre pronta a poterne giustificare la sua esistenza in vita, nella nostra vita, ma che oramai, da più di tre decenni mostra il suo respiro afasico. Conosco Giulio Iacchetti da qualche tempo e, oltre a condividerne l’età anagrafica ed il credo inossidabile sull’azione politica del design, entrambi condividiamo la necessità di poterci servire, nel nostro lavoro, dell’azione preziosa determinata dall’adozione dell’esercizio del gioco, per poter giungere, come in trance, ricreando una sorta di stato giocoso d’incoscienza, una dimensione temporale magica, distante, incontenibile, lenitiva, capace di poter pervadere ogni anfratto dei nostri ecosistemi ambientali. Sì, perché è nelle innumerevoli sequenze che si sviluppano proprio con l’esercizio del gioco, comune tanto alle favole, quanto al design, che riusciamo persino a scorgere le frequenze proprie della decadenza dell’eroe moderno, in una morfologia che diviene propulsiva di un’azione scenica che, senza indugi ci racconta, feroce, dell’ottundimento profondo del sentimento morale e dell’abdicazione dell’intelletto in favore di un prevalere delle emozioni che, diviene questione irrinunciabile delle nostre traiettorie di scelta e d’esercizio nella quotidianità.

Ma l’innesto dell’azione ludica, compiuta mediante la creazione ed immissione di determinati oggetti nei nostri scenari di vita, muove un potenziale di coinvolgimento nell’utente che oramai sono solito chiamare ‘ingaggio’, prendendo in prestito un termine proprio degli scenari che accolgono l’azione militare e, mutuandolo in dispositivo capace di generare azioni benefiche, talvolta persino terapeutiche. Si, perché qualora non ve ne siate ancora accorti, è nell’ambito applicativo dell’Health Design che sopravvive ancora e, è proprio il caso di dirlo, gode di ottima salute, il design connesso fortemente ai bisogni inderogabili della utenza.

Giulio Iacchetti, classe 1966, (per l’appunto, come il sottoscritto) si occupa di industrial design dal 1992, ed alla sua attività di progettista alterna l’insegnamento presso numerose università e scuole del design, in Italia ed all’estero, occupandosi di direzione artistica per importanti marchi come iB rubinetterie, ceramica Globo e il Coccio design edition. I caratteri distintivi della sua attività professionale sono imperniati nell’instancabile attività di ricerca e nella traiettoria che conduce alla definizione di nuove tipologie di oggetti come, ad esempio, il Moscardino, posata multiuso biodegradabile per cui, nel 2001, riesce ad aggiudicarsi, con Matteo Ragni, il Compasso d’Oro ADI e, da qualche tempo entrata a far parte della Collezione Permanente del Design al MoMA di New York. Con l’ideazione e il coordinamento del progetto collettivo Eureka Coop, realizzato per Coop Italia, ha vinto nel 2009 il Premio dei Premi per l’Innovazione.

Ha scritto il Manifesto del P.C.I., acronimo di Partito delle Cose Intelligenti, che è un indicatore di un potenziale approccio di metodo, sempre temporaneo e provvisorio (“non vi è cosa peggiore che poter pensare ad una cosa definitiva! Tutto cambia si evolve, migliora. Anzi, mi piace poter pensare che un percorso progettuale possa essere disatteso lungo il suo sviluppo in alcuni punti, altrimenti significa che non vi è la presenza di alcun elemento d’innovazione”, Giulio Iacchetti, Nda), di alcune traiettorie d’elezione da poter percorrere con il progetto, in ogni ambito applicativo ove oggi possa esprimersi la disciplina del design.

Ma, tornando alle narrazioni che il nostro designer riesce a mettere in scena attraverso il suo certosino lavoro, la sua maniacale dedizione nei confronti di ogni piccolo particolare, di ogni intimo gesto prefigurato, posso dirvi che, personalmente, di ogni favola, amo il suo essere un diario intimo e segreto in forma di racconto, e la magia che questa riesce a mettere in scena, riposta tutta nella scoperta che gli riesca di poter parlare di noi, senza nemmeno conoscerci, spesso attraverso uno sviluppo narrativo che si muove, ondivago, tra la spietatezza e la delicatezza del narrare, spingendoci a volte in modo sapiente, toccante, ed altre invece, in un modo doloroso e, fiabesco.

Amo il loro sfrontato modo di saper mettere in evidenza, con furore carnale e disarmante immediatezza, l’architettura umana, attraverso una cristallizzazione iconografica che diviene totalizzante a tal punto, da riuscire a generare una maniera di percepire che abbraccia il disumano. Ma il nostro designer, solito alle frequentazioni di queste nostre pervasive latitudini, è venuto a sfidare se stesso tuffandosi a testa in giù in una sfida mai contratta, mai agganciata, quella di poter realizzare un luogo fisico che dovrà accogliere molteplici attività, dunque un carosello di azioni simultanee e congruenti tra loro, quale è per l’appunto il luogo d’incontro ove vengono consumati degli alimenti, all’interno della factory creativa di Isola, nella città di Catania.

Giulio Iacchetti ha accolto l’invito prodotto dal Master in Design Strategico “Dalla Ford al fard”, creatura generata dal possente ‘boxeur del design anfibio’ Vincenzo Castellana, due volte Menzione d’Onore al Compasso d’Oro ADI, che si tiene presso Abadir con un Open Workshop denominato “Il progetto non può Bar/are. Dispositivi e cose per lo spazio food di Isola”. “Tutto è progetto!…una scopa, un orologio, etcc.., perché dovrei dire di no e rifiutare un incarico?! Come un medico, non voglio rifiutare alcun incarico, voglio avere un atteggiamento terapeutico, benefico, nei confronti dell’utente. Anzi, quando un committente mi chiede di poter affrontare un percorso progettuale in un ambito applicativo mai intrapreso, rispondo che sono la persona giusta, proprio perché non l’ho mai fatto!” (Giulio Iacchetti, NdA).

Un percorso progettuale per sviluppare la nuova caffetteria e area ristoro di Isola Catania, impact and community hub, un punto d’incontro tra la creatività e l’imprenditorialità cittadina mediante la messa in gioco di dispositivi, oggetti, allestimenti, forme, materiali, finiture e strutture e scenari immaginari che racconteranno la gestualità del quotidiano e dell’abitare, e in cui ciascun elemento racchiuderà il genoma di questo nuovo spazio, un luogo di condivisione e convivialità, di incontro e scambio, di relax e di socialità. Cari i miei dESIGNPeople, appuntamento allora tra qualche tempo ad isola Catania e, senza barare!