Con il Pnrr la Sicilia è a un esame di maturità - QdS

Con il Pnrr la Sicilia è a un esame di maturità

Con il Pnrr la Sicilia è a un esame di maturità

mercoledì 26 Maggio 2021

Next generation Eu: fare in fretta e non sbagliare nulla

Next generation Eu: fare in fretta e non sbagliare nulla

Il dado è tratto. Dopo aver incassato il sì del Parlamento, il Governo Draghi ha inviato a Bruxelles il Piano nazionale di ripresa e resilienza. La palla passa adesso all’Europa: la Commissione valuterà il piano entro due mesi ma sarà il Consiglio ad approvarlo con una decisione di esecuzione entro quattro settimane dalla proposta della Commissione. Sulla base di questa tabella di marcia, l’Italia – così come gli altri Paesi europei – riceverà il responso dell’Europa sotto l’ombrellone.

Quella del Pnrr è la parte di risorse più cospicua di un programma, il Next Generation Ee – varato dall’Unione europea per sostenere le economie dei singoli Stati membri, fortemente martoriate dalla pandemia e dalla conseguente crisi socio-economica – che porterà nelle casse italiane ben 191,5 miliardi di euro, da impiegare nel periodo 2021- 2026, dei quali 68,9 miliardi sono sovvenzioni a fondo perduto.

Sei le cosiddette missioni in cui si articola il Piano, sulla stregua dei sei pilastri del Ngeu: digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo; rivoluzione verde e transizione ecologica; infrastrutture per una mobilità sostenibile; istruzione e ricerca; inclusione e coesione; salute.

Come sarà attuato tutto ciò? Attraverso la realizzazione di interventi e riforme, cui provvedono, nelle rispettive competenze, le singole Amministrazioni centrali interessate (i Ministeri), le Regioni e Eli enti locali; tramite il coordinamento centralizzato per il monitoraggio e il controllo sull’attuazione del Piano – a tal fine sarà istituito, presso il ministero dell’Economia e delle Finanze, un’apposita struttura, che costituisce il punto di contatto con la Commissione europea per il Pnrr; e grazie all’istituzione della Cabina di Regia per il Pnrr, con il compito di garantire il monitoraggio dell’avanzamento del presente Piano, il rafforzamento della cooperazione con il partenariato economico, sociale e territoriale, e di proporre l’attivazione di poteri sostitutivi e le modifiche normative necessarie per l’implementazione delle misure del Piano.

“L’attuazione degli interventi – si legge nel documento ufficiale – avviene con le strutture e le procedure già esistenti, ferme restando le misure di semplificazione e rafforzamento organizzativo che saranno introdotte”. E qui potrebbe cascare l’asino: superato il primo scoglio (l’approvazione del Piano), la Commissione europea stabilirà tra le altre cose il periodo, non oltre il 31 agosto 2026, entro cui dovranno essere completati i traguardi e gli obiettivi sia per i progetti di investimento che per le riforme. Ai sensi dell’art. 24, par. 9, del Regolamento (Ue) 2021/241 che istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza, inoltre, se entro il termine di diciotto mesi dalla data di adozione della decisione di esecuzione del Consiglio non sono stati compiuti progressi concreti da parte dello Stato membro per quanto riguarda il conseguimento dei pertinenti traguardi e obiettivi prefissati, la Commissione risolverà gli accordi operativi e disporrà il disimpegno dell’importo del contributo finanziario e qualsiasi prefinanziamento verrà recuperato integralmente. Non si scappa, insomma: le tempistiche vanno rispettate, altrimenti il banco salta.

Fondi Ue a passo di lumaca. Bisogna cambiare registro

PALERMO – Nella premessa del Pnrr inviato a Bruxelles, il presidente Draghi ha precisato che “il 40 per cento circa delle risorse territorializzabili del Piano sono destinate al Mezzogiorno, a testimonianza dell’attenzione al tema del riequilibrio territoriale”. Qualsiasi sia la fetta di quelle risorse che spetterà alla Sicilia, aleggia però lo spettro dell’inefficienza della classe politica e burocratica dell’Isola.

Perché le risorse ci sono: il problema è che non vengono spese. Non tutte, per lo meno. I Fondi strutturali 2014-2020 sono l’esempio lampante: dei 5,1 miliardi a disposizione per la Sicilia tra Fondi Fesr (4,3 miliardi) e Fondi Fse (820 milioni), l’Isola ne ha impegnati complessivamente circa 3 miliardi e ne ha effettivamente spesi – quindi immessi nel mercato – neanche 1,5. Meno del 30 per cento. A rilevarlo è il report “La dimensione territoriale nelle politiche di coesione. Stato di attuazione e ruolo dei Comuni nella programmazione 2014-2020” redatto dalla Fondazione Ifel-Anci per la Finanza locale.

Alla luce di tali dati una domanda sorge dunque spontanea: se non siamo stati in grado di spendere quanto programmato, come potremmo gestire le risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza? Se le procedure per attingere alle risorse europee sono le medesime, potrà la Pubblica amministrazione siciliana farsi trovare finalmente pronta?

I Fondi Fers, come gli altri Fondi strutturali e di investimento europei (Sie), sono infatti deliberati e assegnati dall’Unione europea a ciascuno Stato, secondo i programmi da questo presentati. Le risorse finanziarie del bilancio dell’Ue vengono trasferite alle Regioni che – sulla base dei programmi operativi stilati in base a obiettivi tematici e priorità di investimento previsti dai Regolamenti europei – ne dispongono l’utilizzazione e l’assegnazione ai beneficiari finali, che possono essere organi pubblici o privati. I criteri di selezione – si legge sul sito di EuroInfoSicilia – devono garantire il contributo delle operazioni al conseguimento degli obiettivi specifici e dei risultati attesi della pertinente priorità di investimento, anche in relazione agli indicatori di output e di risultato correlati; e tenere conto dei “Principi guida per la selezione delle operazioni” relativi alle azioni previste per ciascuna delle priorità di investimento.

Non ci resta che confidare in una vera inversione di tendenza rispetto all’utilizzo delle risorse messe a disposizione dall’Europa. Soltanto così sarà possibile invertire il trend per la Sicilia e, di conseguenza, anche per l’Italia. Perché – e il QdS lo sostiene da anni – se la Sicilia cambia rotta rispetto a come ha agito finora, trasformandosi da oggetto trainato a soggetto trainante, è l’intera nazione a ripartire. Quella del Recovery fund è dunque un’opportunità che l’Isola non può permettersi di lasciarsi scappare.

Le imprescindibili riforme chieste dall’Europa all’Italia

Pubblica amministrazione

Snellire e rendere più efficaci e mirate le procedure di selezione e favorire il ricambio generazionale; allineare conoscenze e capacità organizzative alle nuove esigenze del mondo del lavoro e di una amministrazione moderna.

Giustizia

Riduzione del tempo del giudizio, sviluppo della capacità amministrativa, rinforzando le cancellerie e garantendo l’apporto di professionalità tecniche; aumento del grado di digitalizzazione; strutture edilizie efficienti e moderne

Semplificazione legislativa

Miglioramento dell’efficacia e della qualità della regolazione; semplificazione in materie di: contratti pubblici; ambiente; edilizia, urbanistica e interventi per la rigenerazione urbana; investimenti e interventi nel Mezzogiorno; fisco.

Concorrenza

Realizzazione e gestione di infrastrutture strategiche; rimozione di barriere all’entrata nei mercati; rafforzamento dei poteri di antitrust enforcement e dei poteri di regolazione settoriale; promozione dinamiche competitive.

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