Rapporto Dia, ecco il volto nuovo e "moderno" delle mafie - QdS

Rapporto Dia, ecco il volto nuovo e “moderno” delle mafie

redazione web

Rapporto Dia, ecco il volto nuovo e “moderno” delle mafie

mercoledì 22 Settembre 2021

Meno violenza e più corruzione. E sempre più al Nord, in sinergia con il mondo degli affari. La 'Ndrangheta conquista anche l'Europa ed è leader nel narcotraffico. Cosa nostra, niente più Cupola

La criminalità organizzata cambia faccia: Cosa Nostra, Camorra, ‘Ndrangheta lavorano costantemente per ampliare le proprie capacità di relazione e sempre più in sinergia con il mondo degli affari, e sempre più al Nord, “sostituendo l’uso della violenza, sempre più residuale, con linee d’azione di silente infiltrazione”.

Dopo la rivelazione, del 2018, che su cinque euro riciclati dalle mafie in Italia, uno veniva riciclato nella sola città di Milano, l’analisi su come si stanno evolvendo le organizzazioni criminali contenuta nella Relazione della Direzione investigativa antimafia, relativa al secondo semestre del 2020 e appena consegnata al Parlamento, contiene numerose sorprese.

La ‘Ndrangheta conquista il Nord e l’Europa

San Giusto Canavese (Torino) e Lonate Palazzolo (Varese), Lona Lases (Trento) e Desio (Monza e Brianza), Lavagna (Genova) e Pioltello (Milano), tutti luoghi in cui la ‘ndrangheta ha installato “locali” (le strutture di coordinamento delle ‘ndrine).
Ma la Dia ha accertato che sono ben 46 i “locali” nelle regioni settentrionali: 25 in Lombardia, 14 in Piemonte, tre in Liguria, e una ciascuno in Veneto, Val d’Aosta e Trentino Alto Adige.

La ‘Ndrangheta, rileva la Relazione, risulta “perfettamente radicata e ben inserita nei centri nevralgici del mondo politico-imprenditoriale anche nei contesti extraregionali” e i numeri “dimostrano la capacità espansionistica delle cosche e la loro vocazione a duplicarsi secondo gli schemi tipici delle strutture calabresi”.

Le ‘ndrine sono infiltrate “in svariati settori commerciali, produttivi e dei servizi (costruzioni, autotrasporti, raccolta di materiali inerti, ristorazione, gestione di impianti sportivi e strutture alberghiere, commercio al dettaglio, senza tralasciare il settore sanitario, etc.)”.

La Dia sottolinea anche la consolidata proiezione dei gruppi affiliati in tutte le regioni italiane, in diversi Paesi europei (Spagna, Francia, Regno Unito, Belgio, Olanda, Germania, Austria, Repubblica Slovacca, Romania e Malta), nonchè in Australia, Stati Uniti e Canada.

‘Ndrangheta leader narcotraffico

E, grazie anche alla sua penetrazione in questi luoghi, la ‘ndrangheta rimane saldamente leader nel narcotraffico internazionale, ma “non appare più così monolitica e impermeabile alla collaborazione con la giustizia da parte di affiliati nonché di imprenditori e commercianti, sino a ieri costretti all’omertà per il timore di gravi ritorsioni da parte dell’organizzazione mafiosa”.

E questo anche per il frequente coinvolgimento negli affari illeciti di donne e di minori.

I proventi del traffico di droga – in costante aumento – hanno reso la ‘ndrangheta una vera “potenza imprenditoriale” Le cosche, si legge ancora nel documento, “hanno da tempo dimostrato di essere straordinariamente abili ad adattarsi ai diversi contesti territoriali e sociali prediligendo, specialmente al di fuori dai confini nazionali, strategie di basso profilo e tenendosi, al contempo, al passo con il progresso e la globalizzazione”.

La mafia al tempo della globalizzazione

I modelli mafiosi originari, però, vengono replicati al di fuori della Calabria facendo leva sui quei valori identitari posti alla base delle strutture ‘ndranghetiste.

Alla stessa stregua non verrebbero abbandonate “le tipiche ritualità di affiliazione che non rappresentano un mero fenomeno folkloristico ma preservano sentimenti fortemente caratterizzanti che rafforzano, ad esempio, il legame degli ‘ndranghetisti all’estero con la casa madre reggina”.

Meno violenza, più corruzione

A testimonianza di questa evoluzione ci sono anche i dati: rispetto al secondo semestre del 2019 si registra da un lato il calo degli omicidi di tipo mafioso e delle associazioni mafiose (passati rispettivamente da 125 a 121 e da 80 a 41) e dall’altro un aumento dei delitti connessi con la gestione illecita dell’imprenditoria, le infiltrazioni nei settori produttivi e l’accaparramento di fondi pubblici.

Gli episodi di corruzione e concussione sono passati da 20 a 27, l’induzione indebita a dare o promettere utilità da 9 a 16, il traffico di influenze illecite da 28 a 32, la turbata libertà degli incanti da 28 a 32.

Gioco d’azzardo e scommesse

In questo quadro, oltre ai tradizionali settori di interesse – usura, estorsioni, traffico di droga – le attenzioni delle organizzazioni si sono orientate sui settori del gioco d’azzardo e delle scommesse, anche grazie alle possibilità offerte dalla tecnologia: imprenditori riconducibili ai clan, dicono gli analisti, costituiscono società nei paradisi fiscali e creano così un circuito parallelo a quello legale che consente di ottenere non solo ampi guadagni ma anche di riciclare in maniera del tutto anonima enormi quantità di denaro.

Contrabbando di prodotti energetici

Altro settore d’interesse, fino a qualche anno fa riservato agli specialisti delle società cartiere e delle frodi carosello, è quello del contrabbando dei prodotti energertici poiché consente di immettere nel mercato prodotti a un prezzo molto più basso di quello praticato dalle compagnie petrolifere.

Sinergia tra mafia e affari

Si creano così vere e proprie “sinergie tra mafie e colletti bianchi” con questi ultimi cui spetta il compito di curare le importazioni dei prodotti dell’est Europa e gestirne la distribuzione attraverso società create ad hoc attraverso le quali vengono riciclati i capitali messi a disposizione dalle organizzazioni.

Le criptovalute

Sempre più spesso inoltre, spiegano ancora gli investigatori della Dia, le mafie ricorrono a pagamenti in criptovalute: “i bitcoin e, più recentemente, il Monero, che non consentono il tracciamento e sfuggono al monitoraggio bancario”.

La mafia compra imprese sane

E con il prolungamento dell’emergenza dovuta al Covid, “la tendenza ad infiltrare in modo capillare il tessuto economico e sociale sano” da parte delle organizzazioni criminali “si sarebbe ulteriormente evidenziata” nell’ambito di una “strategia criminale che, in un periodo di grave crisi, offrirebbe alle organizzazioni l’occasione sia di poter rilevare a buon mercato imprese in difficoltà, sia di accaparrarsi le risorse pubbliche stanziate per fronteggiare l’emergenza sanitaria”.

Riciclaggio al Nord, fondi pubblici al Sud

Nell’anno della pandemia, dicono ancora gli esperti della Dia, le organizzazioni criminali sembrerebbero aver utilizzato differenti modalità di infiltrazione: “se al nord, mediante il riciclaggio, risulterebbe intaccata l’imprenditoria privata con consistenti investimenti di capitali illeciti” si legge nel documento, al sud l’attenzione delle mafie si sarebbe rivolta “verso tutti i vantaggi offerti dai finanziamenti pubblici stanziati per offrire impulso alla crescita”.

Il Pnrr e l’allarme di Draghi

Non solo. Grazie alla loro capacità imprenditoriale, dovuta agli enormi capitali illeciti accumulati e alla collaborazione di imprenditori e colletti bianchi collusi, sottolinea la Relazione le organizzazioni “potrebbero rivolgere le proprie attenzioni operative verso i fondi” stanziati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza “che giungeranno a breve grazie alle iniziative del Governo per assicurare un tempestivo sostegno economico in favore delle categorie più colpite dalle restrizioni rese necessarie dall’emergenza sanitaria”.
Da qui, evidentemente, l’allarme lanciato dal premier Mario Draghi nei giorni scorsi.

L’Europa fronteggi la minaccia

Proprio per evitare che le mafie mettano le mani su quei fondi, l’auspicio della Dia è che i governi dei singoli paesi e le istituzioni europee, mettano lo stesso impegno profuso per fronteggiare la pandemia e diano le stesse “risposte corali”.

“È auspicabile – si legge nella Relazione – che l’azione condivisa dei Paesi per il superamento dell’emergenza sanitaria possa esprimersi con analoga intensità di fuoco nel contrasto globalizzato alle organizzazioni criminali più strutturate e con diramazioni internazionali che sfruttano le disomogeneità legislative delle diverse Nazioni. Per una lotta efficace contro tali insidie oltre ad una auspicata e sempre più pregnante legislazione condivisa si impone un impulso sempre maggiore nella circolazione delle informazioni e nella cooperazione sinergica tra gli organi investigativi e giudiziari dei singoli Paesi”.

Gli appalti e le grandi opere

La Dia nell’ultimo semestre del 2020 ha eseguito 726 monitoraggi nei confronti di imprese impegnate in appalti per grandi opere e ha svolto 12.057 accertamenti su persone fisiche.

L’attenzione si è concentrata sui grandi lavori inerenti alle “Disposizioni urgenti per la città di Genova”, la “Ricostruzione post sisma 2016” e le cosiddette “Grandi Opere” pubbliche.

Cosa nostra, niente più Cupola

In Sicilia, secondo la Dia, clan di Cosa Nostra, non riuscendo a ricostruire la Cupola cui spettava il compito di definire le questioni più delicate, hanno adottato “un coordinamento basato sulla condivisione delle linee di indirizzo e dalla ripartizione delle sfere di influenza tra esponenti di rilievo dei vari mandamenti, anche di province diverse”.

Scappati e stiddari

Nelle province di Palermo, Trapani e Agrigento Cosa Nostra resta egemone e si registrano ripetuti tentativi di una “significativa rivitalizzazione” dei contatti con le famiglie all’estero: le indagini rivelano come i clan hanno “riaperto le porte ai cosiddetti ‘scappati’ – dicono gli analisti – o meglio, alle nuove generazioni di coloro i cui padri avevano dovuto trovare rifugio all’estero a seguito della guerra di mafia dei primi anni ottanta”.

Nell’area centro-orientale della Sicilia sono invece attive organizzazioni “più fluide e flessibili” che si affiancano ai clan storici. Tra queste, sottolinea la Relazione, “un rilievo particolare è da attribuire alla Stidda, un’organizzazione inizialmente nata in contrapposizione a Cosa Nostra ma che oggi tende a ricercare l’accordo con quest’ultima per la spartizione degli affari illeciti”.

Le indagini hanno anche evidenziato come alcune di queste organizzazioni hanno fatto “un salto di qualità” passando da gruppi dediti principalmente ai reati predatori a sodalizi “in grado di infiltrare il tessuto economico-imprenditoriale del nord Italia”.

La complicità di politici e burocrati

Sempre gli stessi i settori d’interesse sui quali si concentrano le attenzioni dei clan: estorsioni, usura, narcotraffico, gestione dello spaccio di droga, infiltrazione nel gioco d’azzardo illecito e del controllo di quello illegale. E continua, anche, l’infiltrazione in quelle aree economiche che beneficiano di contributi pubblici, in particolare nei settori della produzione di energia da fonti rinnovabili, dell’agricoltura e dell’allevamento. Infiltrazioni possibili grazie alla “complicità di politici e funzionari infedeli”.

La ‘Ndrangheta sfrutta il reddito di cittadinanza

“La spregiudicata avidità della ‘ndrangheta non esita a sfruttare il reddito di cittadinanza nonostante la crisi economica che grava anche sul contesto sociale calabrese e benché l’organizzazione disponga di ingenti risorse finanziarie illecitamente accumulate” rileva la Dia.

Il riferimento è una serie di inchieste che hanno visto diversi personaggi affiliati o contigui ai clan calabresi quali indebiti percettori del reddito di cittadinanza: coinvolti, in particolare, uomini delle famiglie Accorinti, Mannolo, Pesce, Bellocco.

Gruppi criminali stranieri in Italia

Il rapporto della Dia contiene anche un ampio capitolo dedicato alla “criminalità transnazionale” che, si legge, “rappresenta una minaccia reale”, tanto che “appaiono necessari un approccio globale e una più ampia visione del fenomeno: l’avviato percorso di cooperazione internazionale cui la Dia partecipa anche attraverso una progettualità autonoma ha permesso di conseguire significativi risultati info-investigativi”.

La “criminalità etnica” – albanesi, cinesi, nigeriani e romeni -, insomma, rappresenta una “componente consolidata nel panorama criminale nazionale”.

“I criminali albanesi presenti su gran parte del territorio nazionale si esprimono attraverso diversi livelli di operatività. Alcuni agiscono in seno a piccoli gruppi anche multietnici per la commissione di reati contro il patrimonio. Di norma gli albanesi si occupano dell’approvvigionamento delle droghe che vengono poi cedute ai sodalizi autoctoni per la gestione dello spaccio”.

I gruppi cinesi “appaiono organizzati con una struttura chiusa e inaccessibile. Solo occasionalmente si rileva la realizzazione di accordi funzionali con organizzazioni criminali italiane o la costituzione di piccoli sodalizi multietnici per la gestione della prostituzione, la commissione di reati finanziari e il traffico di rifiuti”.

I clan nigeriani sono attivi in Italia dagli anni ’80 e ad avere particolare rilievo sono i “cosiddetti secret cults le cui caratteristiche sono: l’organizzazione gerarchica, la struttura paramilitare, i riti di affiliazione, i codici di comportamento e in generale un modus agendi tale che la Corte di Cassazione si è più volte espressa riconoscendone la tipica connotazione di “mafiosità”, è detto nella relazione.

Infine la criminalità romena si manifesta sia in forma non organizzata, sia attraverso gruppi strutturati. “Costituiscono inoltre settori operativi consolidati delle consorterie la tratta di donne da avviare alla prostituzione, i reati informatici e i reati predatori. Tale criminalità risulterebbe inoltre attiva nel settore dell’intermediazione illecita e dello sfruttamento della manodopera in alcuni casi d’intesa con criminali italiani”.

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