Il legislatore regionale nella sua discrezionalità può fissare dei criteri per la concessione di provvidenze di natura sociale: tuttavia, perché siano in linea con la Costituzione, tali criteri devono essere logicamente correlati con la prestazione che si vuole concedere, altrimenti si verserebbe in un’ipotesi di irragionevolezza della legge censurabile ex art. 3 Costituzione, dato che il criterio adottato ostacola il soddisfacimento del bisogno che la misura intende alleviare.
Con tre recenti sentenze la Corte costituzionale ha avuto modo di ribadire questo concetto, peraltro già rinvenibile in molte decisioni del nostro giudice delle leggi relative a leggi regionali erogatrici di provvidenze di natura sociale. Nella sentenza n. 42 del 2024 la Corte si è confrontata con una legge della Regione Toscana che subordinava un sussidio da corrispondere al genitore di un minore con grave disabilità, con reddito familiare inferiore a una data soglia, alla pregressa residenza di entrambi in Regione nei 24 mesi precedenti il 1° gennaio dell’anno per il quale si richiede il contributo, a prescindere dalla nazionalità del richiedente. Premesso che la disabilità rientra in quelle situazioni che la Costituzione ritiene meritevoli di particolare tutela, la Corte rileva che il requisito della pregressa residenza biennale in Regione non è indice di maggiore bisogno, desumibile invece dalla gravità della disabilità e dalla precaria condizione economica del nucleo familiare. Inoltre la Corte osserva che per alleviare con un sussidio la situazione di disagio che vivono l’adolescente e il genitore non può essere richiesto il cosiddetto “radicamento territoriale” di cui, peraltro, i pregressi 24 mesi di residenza non forniscono prova sicura, altri essendo i fattori da cui inferire una ragionevole prognosi di permanenza del minore disabile sul territorio, quali le facilitazioni abitative e la presenza di strutture di cura e assistenza adeguate alla sua condizione. La Corte respinge altresì l’argomento avanzato dalla Regione circa l’opportunità di riservare l’agevolazione a chi, cittadino Ue o straniero, con la sua prolungata presenza sul territorio, ne abbia favorito lo sviluppo. Anche ammesso che vi sia stato un contributo di natura tributaria, peraltro improbabile date le condizioni reddituali dei richiedenti il sussidio, la Corte costituzionale osserva che comunque le prestazioni sociali, nel cui novero rientra la misura contestata, non soggiacciono al criterio commutativo, altrimenti paradossalmente ne sarebbero esclusi proprio i più bisognosi. La Corte decide quindi di sostituire il requisito del previo biennio di residenza con la semplice residenza al momento di presentazione della domanda.
Uguale è la logica sottesa alle sentenze n.67 e n.147 del 2024 riguardanti questioni sollevate in relazione a due leggi, del Veneto e del Piemonte, che subordinavano la concessione di alloggi di edilizia economica popolare, oltre a condizioni di bisogno economico e di disagio abitativo, ad una pregressa residenza nelle rispettive Regioni o, nel caso piemontese, ad un’attività lavorativa. Anche in questi casi, sempre riguardanti stranieri extra-Ue, la Corte non ha rinvenuto quella necessaria correlazione tra requisito richiesto e bisogno da soddisfare, quello all’abitazione più volte qualificato dalla Corte come diritto fondamentale di ogni persona. Una ridotta permanenza in Regione non può precludere il beneficio se sussistono indici di bisogno, quali il reddito, il numero dei figli, la presenza di persone con disabilità nel nucleo familiare. Anche in questo caso, con argomenti analoghi a quelli utilizzati nella sentenza n. 42 la Corte boccia il requisito di una residenza pregressa: deve bastare l’attuale residenza, peraltro attendibile indice della volontà del richiedente di stabilire un legame duraturo con il territorio.