Il consueto Rapporto Ispra sui rifiuti “speciali” ci dà un quadro sulla situazione di quei rifiuti prodotti non dalle famiglie (rifiuti urbani), ma dalle attività economiche: industria, artigianato, servizi, agricoltura. Un mondo poco noto alle cronache ma grande 5 volte i rifiuti urbani, sempre al centro dell’attenzione. La crisi economica connessa all’emergenza Covid ha generato nel 2020 una minore produzione di rifiuti speciali per 7 milioni di tonnellate, passando da 154 a 147. Un calo del 4,5% sul 2019, inferiore al calo del Pil, sceso dell’8,9%, e al calo dei consumi delle famiglie, sceso dell’11%. Si conferma un dato degli anni scorsi, quando il Pil sale, i rifiuti salgono molto, quando il Pil scende i rifiuti scendono meno.
Non tutti i settori hanno registrato una riduzione. Aumentano i rifiuti derivanti dai processi chimici inorganici, i rifiuti da costruzione e demolizione, ovviamente i rifiuti sanitari, gli olii esausti, i rifiuti urbani e da raccolta differenziata. Tutti gli altri settori diminuiscono. Un effetto Covid a macchia di leopardo, che colpisce però quasi tutte le Regioni (solo la Puglia aumenta). La famiglia di produttori di rifiuti più importante resta il settore delle costruzioni con quasi 66 milioni di tonnellate di scarti (il 45% del totale). Si conferma secondo settore per importanza quello dei cosiddetti “rifiuti dei rifiuti”, con 40 milioni di tonnellate di scarti (27% del totale), di cui 10,2 di rifiuti speciali provenienti dai rifiuti urbani (dai TMB), flusso molto diminuito rispetto al 2019 (erano 11,2).
Si conferma, anche se in diminuzione, il fenomeno della “trasformazione” dei rifiuti urbani in speciali, per valori importanti. Ispra ci dice anche che a fine fanno dei rifiuti urbani in uscita dai TMB e con il codice cambiato, oltre metà finisce in discarica (5,5 milioni di tonnellate), solo 3 milioni vengono inceneriti. Si conferma quindi una caratteristica che l’Italia ha più di altri Paesi europei: un sistema di gestione dei rifiuti fatto di molti passaggi, prima di arrivare al recupero e allo smaltimento finale. Escluse queste due famiglie, un po’ atipiche, il resto, pari a 40 milioni di tonnellate, sono i veri e propri “rifiuti industriali” generati dalle industrie, agricoltura e servizi. Ovviamente la principale produzione di rifiuti speciali si concentra nelle regioni del Nord, con quasi 84 milioni di tonnellate di scarti (57% del totale).
Ispra ci ricorda da anni che l’Italia gestisce più rifiuti (160 milioni di tonnellate) di quanti ne produca (146), una differenza di 14 milioni di tonnellate. Come si spiega? Il dato della produzione può essere sottostimato, alcuni produttori (le piccolissime imprese) non hanno obblighi di dichiarazione e alcuni lo evadono. Ispra provvede a fare delle stime (specie sui rifiuti inerti). Il dato della gestione può essere sovrastimato per possibili doppie contabilizzazioni di flussi che subiscono più trattamenti.
Poi c’è l’import/export. Nel 2020, dall’Italia sono stati esportati oltre 3,6 milioni di tonnellate di rifiuti speciali, costituiti per il 67,6% da “rifiuti di rifiuti” e per il 9,4% da rifiuti delle operazioni di costruzione e demolizione. Dato che ci dice con chiarezza che non riusciamo a chiudere in Italia il ciclo di trattamento dei rifiuti urbani e speciali per mancanza di impianti per oltre 2,5 milioni di tonnellate. Importiamo invece circa 6,8 milioni di tonnellate di rifiuti speciali costituiti essenzialmente da rifiuti metallici, oltre 5,4 milioni di tonnellate (l’80,4% del totale). Esportiamo smaltimenti e recuperi energetici ed importiamo materia.
L’Italia anche nel 2020 si conferma campione di riciclaggio. Pur riducendosi il quantitativo complessivo di materiali avviati a recupero, per la riduzione totale di produzione, nel 2020 l’Italia supera la soglia del 70% di avvio a recupero (113 milioni di tonnellate), confermandosi uno dei principali distretti industriali del riciclo d‘Europa. Cosa si ricicla? Prevalentemente rifiuti da costruzione e demolizione, ma anche metalli. Altro dato positivo la riduzione dei quantitativi in discarica, scesi appena sotto i 10 milioni di tonnellate (6,2%). Erano 12 milioni nel 2019. Sempre bassissime le quote di incenerimento con o senza recupero di energia: circa il 2% del totale, pari a 3 milioni di tonnellate (stabili). Il resto va ad “altre operazioni di smaltimento” come gli impianti di trattamento biologico o chimico fisico. Sempre altro il quantitativo stoccato, in attesa di essere avviato a recupero o a smaltimento, circa 17,6 milioni di tonnellate, oltre il 10%.
La dotazione impiantistica nazionale appare ancora molto frammentata, con oltre 10.000 impianti autorizzati, di cui quasi 6.000 al Nord. Ci cono 4.400 impianti di recupero di materia a cui vanno aggiunti oltre 1.200 produttori autorizzati a gestire i propri rifiuti. Oltre 300 gli impianti di coincenerimento e solo 80 gli inceneritori. Le discariche sono 285. La maggior parte delle Regioni presenta un eccesso di rifiuti gestiti rispetto a quelli prodotti, fenomeno in parte spiegabile con l’importazione da altri territori. Purtroppo Ispra non fornisce dati sulla mobilità intraregionale dei rifiuti speciali. Quel che è evidente è che molte regioni del Sud gestiscono meno rifiuti di quelli che producono, segnalando un probabile deficit impiantistico: Lazio, Abruzzo, Campania, Puglia, Basilicata e Sicilia. Uno squilibrio pari a 4 milioni di tonnellate. Alcune regioni del Nord invece gestiscono più rifiuti di quelli che producono, la sola Lombardia ha un eccesso di offerta di 8,4 milioni di tonnellate.
Un anno di contrazione della produzione quindi, ma che ripropone le stesse luci ed ombre di sempre. Ottimo il risultato di avvio al riciclo e di riduzione della discarica. Segnali di fragilità derivano dall’export ancora importante per mancanza di alcuni impianti, dall’elevato quantitativo stoccato, dalla forte frammentazione impiantistica e dal deficit di gestione di quasi tutte le regioni del Centro Sud.
*Presidente Assoambiente