di Chicco Testa
Presidente Fise Assoambiente
Il dibattito pubblico di solito si occupa dei rifiuti urbani, circa 30 milioni di tonnellate l’anno. Scarsa l’attenzione sul variegato mondo dei rifiuti speciali prodotti dalle attività economiche, circa 163 milioni di tonnellate l’anno. Per questo la presentazione del Rapporto “Ambiente energie lavoro, la centralità dei rifiuti da attività economiche” da parte di Assoambiente pochi giorni fa è un evento di grande importanza che fornisce una analisi attenta della produzione e gestione dei rifiuti speciali e suggerisce alcune indicazioni di policy.
È molto probabile che la produzione di rifiuti speciali torni ad aumentare in questa fase post Covid: crescita del Pil e dei consumi dovrebbe, pur moderata dagli effetti della guerra, portare ad un nuovo incremento della produzione dei rifiuti delle attività economiche. La “galassia” dei rifiuti speciali è fatta di tanti mondi, spesso molto diversi fra di loro. Ci sono i rifiuti da costruzione e demolizione (oltre 50 milioni di tonnellate) che hanno caratteristiche particolari. Ci sono i “rifiuti da rifiuti”, ovvero gli scarti delle attività di trattamento primario dei rifiuti prodotti (oltre 45 milioni di tonnellate), anche questi con caratteristiche specifiche molto particolari. Esiste infatti, come documenta il Rapporto, un ramificato mondo di aziende che effettuano la gestione di rifiuti conto terzi, provvedendo al ritiro dei rifiuti dai produttori, a stoccarli e condizionarli ed avviarli poi ad altri trattamenti di recupero e smaltimento. Un mondo fatto di oltre 9.000 imprese che gestiscono 55 milioni di tonnellate di rifiuti.
I rifiuti “industriali” veri e propri (quelli prodotti dalle attività manifatturiere) sono circa 36 milioni di tonnellate, poco più del flusso di rifiuti urbani, la cui produzione è concentrata nelle regioni del centro nord. Esiste poi un’altra differenza all’interno della “galassia rifiuti speciali”: quella fra rifiuti pericolosi (il 9% del totale) e i non pericolosi (91%), distinzione importante per una analisi degli impatti ambientali, delle tipologie di trattamento appropriate, e dei prezzi. Sia sul lato della produzione dei rifiuti speciali che su quello della loro gestione l’Italia presenta una forte frammentazione di impresa (90% di Pmpi). Circa 750.000 le imprese manifatturiere che sono produttori primari di rifiuti.
I risultati della gestione sono positivi: oltre il 65% dei rifiuti speciali viene avviato a recupero, scarso l’avvio a recupero energetico (7 milioni di tonnellate) e a discarica (15 milioni di tonnellate). L’Italia si conferma un importante distretto industriale del riciclo e del recupero di materia. Una caratteristica che vale per l’insieme dei rifiuti speciali ma anche per il “mondo” dei soli rifiuti prodotti dalle attività manifatturiere.
Il Rapporto ci dice anche quanto i rifiuti speciali “viaggiano” (di solito su camion). Ancora oggi 24 milioni di tonnellate di rifiuti industriali vengono gestiti in Italia, ma fuori dalla regione in cui vengono prodotti. 3,2 milioni di tonnellate vengono esportati all’estero. Dati che confermano la disomogenea distribuzione degli impianti di recupero e smaltimento nelle diverse regioni, con un tema di prossimità e autosufficienza che andrà affrontato, sempre considerando che la gestione dei rifiuti speciali è sul libero mercato e non esistono vincoli di pianificazione, come per i rifiuti urbani.
I rifiuti esportati all’estero vengono prevalentemente avviati a riciclo, ma esiste una quota importante di incenerimento (specie in Germania e Francia) dato che testimonia la insufficiente dotazione di impianti di incenerimento o coincenerimento in Italia. Insomma dallo studio di Assoambiente emerge anche nei rifiuti speciali, come per quelli urbani, un fabbisogno aggiuntivo di impiantistico, testimoniato dall’alto tasso di esportazione fuori regione o fuori Italia.
Gli impianti esistenti sono oggi moltissimi (oltre 11.000), si tratta di impianti spesso di piccole dimensioni e distribuiti in modo disomogeneo nelle varie regioni. Spesso si tratta di soli stoccaggi (oltre 3.000). Ma soprattutto sono impianti dedicati prevalentemente alle operazioni di recupero, mentre mancano impianti di incenerimento, coincenerimento, recupero di energia e di discarica (specie per pericolosi). Le indicazioni del Rapporto sono chiare. Servono impianti aggiuntivi, considerando l’aumento atteso della produzione di rifiuti speciali nei prossimi anni, pari a 10 milioni di tonnellate anno, per un fabbisogno cumulato da qui al 2025 di 34 milioni di tonnellate. Se si facessero questi impianti si investirebbero in Italia circa 3/5 miliardi, trattenendo nel nostro Paese ricchezza, occupazione, produzione di energia e gettito fiscale che oggi portiamo fuori dai nostri confini.
La sola produzione di energia aggiuntiva generabile dai rifiuti speciali è stimata in 330.000/400.000 Mwh all’anno, dato di estremo interesse in un Paese che importa combustibili fossili e che è chiamato, anche a seguito della guerra, ad accelerare la transizione energetica ed ecologica.
Una strategia nazionale per i rifiuti speciali è quindi fondamentale per sviluppare l’economia circolare e confermarsi distretto mondiale del recupero di materia ed energia. La gestione di questi rifiuti è un servizio essenziale per il Paese e per la sua competitività e per il raggiungimento degli obiettivi ambientali ed energetici. Occorre dare una risposta certa impiantistica ai rifiuti della manifattura, ma anche al flusso degli scarti del riciclo. Non può esistere economia circolare senza impianti per la chiusura del ciclo (recupero energetico e in parte discarica). I principali distretti manifatturieri italiani devono disporre di impianti adeguati e il recupero di materia ed energia deve essere usato nei processi produttivi.
Per fare tutto questo non servono finanziamenti pubblici, il sistema delle imprese private è pronto ad investire. Serve un quadro legislativo che non preveda obblighi di bacinizzazione territoriale, ma agevoli la libera competizione degli operatori. Servono normative autorizzative e di controllo semplici, chiare ma soprattutto univoche. Gli imprenditori devono sapere dall’inizio che le leggi sono uguali per tutti in tutto in Paese, e che esiste una certezza delle autorizzazioni in tempi rapidi. Gli incentivi possono servire a sostenere gli investimenti delle imprese e a fare ricerca. I rifiuti speciali sono un mondo ancora da scoprire, ma che va posto al centro della Agenda per la sostenibilità.