Nakajima, il manager giapponese sbarcato a Palermo è utile e simpatico, però, forse Schifani questa volta ha ragione. Qui il problema non è la diatriba tra Schifani e Lagalla su chi è il più figo del Bigoncio. E nemmeno la trattativa sul rimpasto del Comune. E, forse, nemmeno quella sull’assessore Scarpinato che non sapeva o era tutto a sua insaputa. Vediamo un po’ di dati. Intanto il ritorno economico inoppugnabile dell’operazione. 1.400 giapponesi a Palermo spendono almeno, tra pernottamenti, ristoranti e souvenir, 350 euro al giorno, per 4 giorni fa no quasi 2 mln di euro, e Palermo a cominciare da albergatori e ristoratori non ci sputano per niente. Venisse un Kaouru o una Kaori, quella del Filadelfia, al giorno saremmo a posto. Ma allora perché tutta ‘sta polemica? Perché Schifani è indispettito di non essere stato invitato e inveisce perché perché la domenica mi lasci sempre solo? Sarebbe troppo miserabile la motivazione per giustificare la contrarietà del Presidente della Regione. Perché ci sono cose alla Cannes, il caso che tenne banco all’insediamento del governo Schifani, dietro all’avvento del Sol Levante? E chi lo dice, a parte maligni e cuttigghiari?
Ci sono problemi di Corte dei Conti dietro l’affidamento del Teatro Politeama? Non sono emersi. Ed allora perché?
Forse perché smontare un teatro rinomato, anche se ormai delabrè, costruito da Damiani Almeyda ai tempi in cui Palermo era Felicissima, e attrezzarlo a sala “Trattamenti”, come nel programma il Castello dei Matrimoni è forse oltre il tascio che a noi palermitani piace assai. Si poteva fargli capire che era più congrua una location privata per un trattenimento, magari Palazzo Butera o Palazzo Ganci. Svendere un simbolo culturale, sempre che di cultura si possa discutere, per mangiare cazzilli e panelle tra velluti e broccati a Palermo si fa, ma alla Scala di Milano o al Regio di Torino, e pure al meridionale San Carlo di Napoli, non si fa. Se lo avessero chiesto al maestro Betta del teatro Massimo si sarebbe incatenato, a parte che lì ci sono spettacoli di livello, e quindi non si può fare. Chissà cosa pensano i dioscuri effigiati in Piazza. Chissà cosa penserebbe Ruggero Settimo sul suo piedistallo. Forse, parlando con il principe di Castelnuovo, suo dirimpettaio di statua, gli sta dicendo “Caro mio, semu a’ mari, non Emerico Amari, ma proprio in acqua dei Corsari. ‘Sta cosa orientale più che di Butterfly del grande Puccini, che qui suonava, sa tanto delle lenticchie di Esaù. Gli abbiamo lasciato una città Felicissima e questi si sono ridotti all’accattonaggio”. Certo loro erano principi e feudatari, oggi è una città da RDC, più che da borghesia, e deve pensare in maniera più umile. Ma forse, dico forse, all’umiltà c’è un limite, pensa Schifani.
Così è se vi pare.