Trascorsi cento giorni dalla nomina del nuovo assessore dell’Agricoltura, dello Sviluppo rurale e della Pesca mediterranea, crediamo si debba fare una prima verifica dell’operato dell’assessore Sammartino.
Il settore venatorio in Sicilia soffre da diversi anni di gravi problemi. Criticità ampiamente conosciute, quali: l’assenza di una programmata e strutturale serie di censimenti delle principali specie selvatiche, con la conseguenza che i risultati dei pochi censimenti fatti sono facile oggetto di critiche da parte dell’interessato di turno; l’assenza di una “gestione faunistica” per le specie stanziali, malgrado la presenza nell’isola di specie di notevole interesse, prima fra tutte la Coturnice siciliana “Alectoris graeca whitakeri”, presente solo in Sicilia e, quindi, di elevato interesse faunistico; il mancato ricambio generazionale, ostacolato dalla modalità di svolgimento degli esami, che impedisce di poter convocare i candidati in tempi accettabili, con lunghe attese, anche di 2-3 anni, con molti candidati che rinunciano nell’attesa o non presentano neppure la domanda; i continui ritardi nella pubblicazione del Calendario venatorio, spesso pubblicato molto oltre i termini massimi previsti dalla legge. Ritardi che permettono la presentazione, anche solo per motivi ideologici, di ripetuti ricorsi al Tar nell’imminenza dell’apertura della caccia, a cui seguono ordinanze a stagione venatoria iniziata, con aperture, chiusure e riaperture a questa o quella specie.
Purtroppo, dobbiamo prendere atto che l’assessore Sammartino, ad oggi, non ha ancora iniziato ad affrontare seriamente queste problematiche. Problematiche vecchie di anni, ampiamente conosciute, come anche le opportune soluzioni. Né possiamo accettare la solita scusa delle scarse risorse finanziarie, in primo luogo, perché gli stessi cacciatori, ogni anno, versano nelle casse della regione siciliana diversi milioni di euro che, ai sensi della vigente legislazione, dovrebbero essere usati proprio a tal fine, secondariamente, perché, come dimostrato in varie occasioni, l’ausilio degli stessi cacciatori, che operano in qualità di volontari a titolo gratuito, abbatte drasticamente i relativi costi.
Senza risposta, fin’ora, sono state le richieste di un incontro da parte dell’Assoarmieri, il sindacato nazionale che rappresenta il settore commerciale che ruota intorno alla caccia, preoccupato delle gravi ripercussioni economiche causate dal perdurare dell’attuale situazione in Sicilia e di Caccia Sport e Natura che ha proposto, tra l’altro, anche un articolato progetto pluriennale di monitoraggio e reintroduzione nelle aree depauperate delle principali specie stanziali dell’isola, in primo luogo la Coturnice siciliana.
In effetti, dobbiamo registrare che si è in ritardo anche nella stesura del calendario venatorio, perché, giunti ormai alla fine di febbraio, non è stato nemmeno convocato, per il necessario parere, il Comitato Regionale Faunistico Venatorio.
Comincia ad essere sempre più reale il rischio che si ripeta il caos verificatosi negli ultimi anni, alimentando un clima di confusione ed incertezza nei cacciatori, che sempre più rinunciano a praticare la propria passione per evitare di rischiare pesanti sanzioni penali per non aver letto l’ultimo decreto, pubblicato la sera prima, a seguito dell’ennesima ordinanza del Tar.
Paradossalmente, con la scomparsa dei cacciatori, anche se alcuni pensano che possa essere cosa positiva per la fauna selvatica, oltre al sicuro danno economico per l’economia dell’isola, danno dell’ordine di diverse decine di milioni di euro, verrebbe a mancare una risorsa difficilmente sostituibile. Basta esaminare l’attuale situazione del territorio regionale per rendersene conto. Malgrado molte parti del nostro territorio agro-silvo-pastorale siano state dichiarate aree protette da molti anni, aree protette in cui vige il divieto di caccia, gli squilibri esistenti, invece di diminuire, come previsto da certi anticaccia, sono peggiorati, con un aumento esponenziale di alcune specie a danno di altre, fino al rischio di estinzione. Il caso del Cinghiale, balzato agli onori della cronaca per le sue scorribande nelle strade di alcune grandi città, e che ha quasi sterminato gran parte delle specie presenti nell’area “protetta” di provenienza, compresi gli uccelli che nidificano a terra, come la Coturnice siciliana, è solo la punta dell’iceberg, tante altre specie meno “famose”, come la Gazza, sono altrettanto dannose. In definitiva, qualunque specie, se aumenta oltre misura, arreca danni all’ambiente in cui vive.
In realtà, i vari sistemi alternativi al prelievo venatorio si sono sempre dimostrati inefficaci o tanto costosi da essere, di fatto, impraticabili, e non si creda, come qualche ottimista periodicamente propone, che l’immissione di alcuni esemplari di un qualche predatore, estinto da secoli nella zona, possa riequilibrare una situazione ormai compromessa, perché tali immissioni, estremamente complesse e costose, sono sempre causa di ulteriori squilibri. Anche il legislatore nazionale ha dovuto prendere atto di questa realtà e recentemente ha autorizzato le amministrazioni locali, constatata l’inefficacia di altri metodi “ecologici”, ad effettuare il “controllo” di tali specie con l’ausilio dei cacciatori presenti nella zona. Giusta decisione, sempre a condizione che nella zona vi saranno ancora cacciatori.