Emigrazione, Sicilia addio, in quattordicimila scelgono l’estero - QdS

Emigrazione, Sicilia addio, in quattordicimila scelgono l’estero

Antonino Lo Re

Emigrazione, Sicilia addio, in quattordicimila scelgono l’estero

martedì 14 Luglio 2020

Il bilancio demografico nazionale 2019 dell'Istat: 38.625 i nuovi nati nell'Isola lo scorso anno, sono il 9,19% del totale. Sempre meno stranieri ci scelgono, duecentomila, appena il 3,8% dei 5,3 milioni residenti in tutta Italia

PALERMO – Lasciare la propria terra per tentare la fortuna altrove. è la fotografia che emerge dal Bilancio demografico nazionale 2019 dell’Istat, pubblicato ieri.

Al 31 dicembre dello scorso anno, la nostra Isola ha visto andare via ben 35.409 cittadini, di cui 14.208 si sono trasferiti addirittura all’estero.
Sicilia protagonista in negativo a livello nazionale, insieme ad altre regioni del Sud come Campania (la popolazione residente è scesa di 29.685 unità), Puglia (-22.727), Lazio (-19.479) e Calabria (-19.302). Ad inizio 2019 nel territorio siciliano la popolazione attiva era 5.003.819, mentre al 31 dicembre è scesa a 4.968.410.

Nel 2019 la distribuzione della popolazione residente per ripartizione geografica resta stabile rispetto agli anni precedenti. Le aree più popolose del Paese si confermano il Nord-ovest (dove risiede il 26,7% della popolazione complessiva) e il Sud (23,0%), seguite dal Centro (19,9%), dal Nord-est (19,4%) e infine dalle Isole (11,0%). Il calo della popolazione coinvolge tutte le ripartizioni: nel Nord-ovest e nel Nord-est è contenuto (rispettivamente -0,06% e -0,03% rispetto a inizio anno), mentre i maggiori decrementi, sopra la variazione media nazionale (-0,31%), si rilevano nelle Isole (-0,70%) e al Sud (-0,63%).

A livello regionale, il primato negativo in termini di perdita di popolazione è del Molise (-1,14%), seguito da Calabria (-0,99%) e Basilicata (-0,97%). All’opposto, incrementi di popolazione si osservano nelle province di Bolzano e Trento (rispettivamente +0,30% e +0,27%), in Lombardia (+0,16%) ed Emilia Romagna (+0,09%).

Parliamo non solo di trasferimenti all’estero, ma anche di spostamenti di residenza interni che hanno coinvolto più di 1 milione e 468 mila persone. Questi avvengono prevalentemente dalle regioni del Mezzogiorno verso quelle del Nord e del Centro. Il tasso migratorio interno oscilla tra il -5,8 per mille della Calabria e il 4,1 per mille dell’Emilia-Romagna. Tutte le regioni del Sud e delle Isole presentano valori negativi, alle quali si aggiunge il Lazio (-0,2 per mille). Una quota delle migrazioni interne è dovuta ai movimenti degli stranieri residenti nel nostro Paese che, rispetto agli italiani, pur seguendo le stesse direttrici, presentano una maggior propensione alla mobilità contribuendo al movimento interno per il 18,8%.

I nati in Sicilia nel 2019 sono stati 38.625, vale a dire il 9,19% del totale nazionale che è stato di 420.170 bimbi. Sotto questo aspetto presentano numeri migliori la Lombardia con 73.139 nascite, Campania (46.746) e Lazio (38.890). Dopo la nostra Isola troviamo Veneto (33.560), Emilia Romagna (30.926) e Puglia (27.588).

Per quel che concerne la popolazione straniera, è sempre meno la gente d’oltreconfine che sceglie il territorio siciliano per stabilirsi e costruirsi una nuova vita. Al 31 dicembre del 2019, infatti, gli stranieri residenti in Sicilia sono 200.813, cifra che rappresenta appena il 3,8% dei 5,3 milioni stranieri residenti in tutta Italia. A gennaio dello scorso anno erano 199.223, dunque vi è stato un lieve aumento di 1.590 unità.

I cittadini stranieri risiedono soprattutto nel Nord e nel Centro. Il primato di presenze, in termini assoluti, va alle regioni del Nord-ovest con 1.792.105 residenti di cittadinanza straniera, pari a oltre un terzo (33,8%) del totale degli stranieri. Un cittadino straniero su quattro risiede nelle regioni del Nord-est e in quelle del Centro. Più contenuta è la loro presenza nel Sud (12,1%) e nelle Isole (4,8%). Infatti, è ancora una volta la Lombardia a primeggiare con la presenza di 1.206.023 residenti stranieri alla fine dello scorso anno. Seguono il Lazio con 682.968, l’Emilia Romagna con 559.586 e il Veneto con 505.955.

In Italia -551mila residenti in cinque anni
Al 31 dicembre 2019 la popolazione residente in Italia è inferiore di quasi 189 mila unità (188.721) rispetto all’inizio dell’anno. Il persistente declino avviatosi nel 2015 ha portato a una diminuzione di quasi 551 mila residenti in cinque anni. Lo certifica l’Istat nel Bilancio demografico nazionale 2019. Il numero di cittadini stranieri che arrivano nel nostro Paese è in calo (-8,6%), mentre prosegue l’aumento dell’emigrazione di italiani (+8,1%).
Al 31 dicembre dello scorso anno la popolazione residente in Italia – spiega l’Istat – ammonta a 60.244.639 unità, quasi 189 mila in meno rispetto all’inizio dell’anno pari al -0,3%. Rispetto alla stessa data del 2014 diminuisce di 551 mila unità, confermando la persistenza del declino demografico che ha caratterizzato gli ultimi cinque anni. Il calo di popolazione residente è dovuto ai cittadini italiani, che al 31 dicembre ammontano a 54 milioni 938 mila unità, 236 mila in meno dall’inizio dell’anno(-0,4%) e circa 844 mila in meno in cinque anni: una perdita consistente, di dimensioni pari, ad esempio, a quella di province come Genova o Venezia.

Aumentano i decessi rispetto al 2018
Lo scorso anno i decessi sono ammontati a 634 mila unità, con un aumento, rispetto al 2018, decisamente contenuto (appena 1.300 in più). L’aumento del numero di decessi si registra in quasi tutte le ripartizioni, con un incremento più consistente nelle Isole (+1,7%), solo il Nord-ovest registra una lieve diminuzione (-0,7%).

Il maggior numero di decessi coinvolge le donne (52,1%),con un rapporto di 108,9 ogni 100 uomini, e solo l’1,2% riguarda cittadini stranieri. Lo rende noto l’Istat nel Bilancio demografico 2019. Il tasso di mortalità è pari a 10,5 per mille, varia da un minimo di 8,4 per mille nella provincia autonoma di Bolzano a un massimo di 13,8 in Liguria ed è legato alla struttura per età della popolazione. In una popolazione caratterizzata da un accentuato invecchiamento demografico come quella italiana, la tendenza all’aumento dei decessi è in parte strutturale, fa notare l’Istituto di statistica. Questa tendenza di fondo può essere perturbata dall’azione di eventi congiunturali (quali condizioni climatiche particolarmente avverse o favorevoli,maggiori o minori virulenze delle epidemie influenzali stagionali) che possono influire sull’andamento mensile del fenomeno. La stagionalità dei decessi nel 2019 non presenta a questo riguardo particolari criticità rispetto ai quattro anni precedenti. Il calendario dei decessi mette in evidenza che nel trimestre febbraio-aprile 2019 si sono registrati il 26,5% dei decessi avvenuti nel corso dell’anno, percentuali in linea con la media del 2015-2018. Anche l’analisi dei decessi relativi all’ultimo trimestre del 2019, periodo dell’anno in cui si possono ravvisare i primi effetti legati al clima rigido o a patologie stagionali, mostra livelli di mortalità generalmente in linea con la media ottobre-dicembre 2015-2018 (2,5 per mille).

culle vuote

Allarme calo della natalità, le reazioni della politica: “Invertire il trend”

ROMA – “Le cifre dell’Istat sul calo della natalità in Italia rappresentano un campanello d’allarme. Da quando questo Governo è nato, le politiche sulla famiglia non hanno mai fattola loro comparsa. Solo annunci: l’ultimo sull’assegno universale. Quanto a fatti, siamo a zero. Serve una seria riforma fiscale come il quoziente familiare, in cui le famiglie con più figli pagano meno tasse. Più figli e meno tasse: in sintesi. Solo così l’Italia potrà invertire la tendenza sulla natalità”. Lo afferma il senatore Udc Antonio De Poli commentando i dati Istat sulla natalità in Italia.

Di dati “drammaticamente preoccupanti” ha parlato Maria Teresa Bellucci, deputato e capogruppo per Fratelli d’Italia in Commissione Affari Sociali e Bicamerale Infanzia e Adolescenza: “Attualmente – spiega – abbiamo una media di 1,29 figli per donna contro una media europea di 1,59 figli e addirittura, secondo uno studio, nei prossimi 100 anni la nostra nazione da 60 milioni di residenti passerà a 16 milioni. Numeri da brivido di fronte ai quali il Governo Conte deve stanziare imponenti quanto urgenti fondi per sostenere il desiderio degli italiani di fare famiglia e far nascere bambini, pena la fine dell’Italia stessa. Fratelli d’Italia chiede ancora una volta, a gran voce, non solo un piano come proposto con il family Act e l’assegno unico per i figli a carico ma, soprattutto, risorse economiche straordinario per sostenere e promuovere la famiglia, rimettere al centro i suoi bisogni. Incentivare la natalità significa rilanciare l’Italia e assicurare un futuro alla nostra nazione, garantendone non solo la sua prosecuzione ma, altresì, la sostenibilità del welfare, dell’assistenza e proteggendo anche il suo patrimonio sociale e identitario”, conclude.
Il presidente nazionale del Forum delle associazioni familiari, Gigi De Palo, non usa mezzi termini e lancia l’allarme: “L’Italia sta morendo – ha detto – non c’è più tempo da perdere”.

“I dati Istat sulle nascite – prosegue De Palo -, sul saldo naturale e sugli italiani che vanno all’estero a realizzare i loro sogni lavorativi e familiari sono impressionanti. Nel frattempo, a livello politico e istituzionale si discute ancora delle coperture per l’assegno unico-universale. È necessario che tutte le forze politiche remino nella stessa direzione per concretizzare nella prossima legge di Bilancio l’assegno unico-universale. Se siamo tutti d’accordo, che cosa stiamo aspettando?”.

“Il tema demografico – sottolinea ancora – non è uno dei temi: è il tema centrale del futuro. Per questo, abbiamo fatto notare con preoccupazione la sua assenza all’interno degli Stati Generali dell’Economia organizzati dal Governo. Senza figli non c’è futuro, neppure a livello economico. Non c’è più tempo da perdere. Il Governo e il Parlamento devono scegliere se passare alla storia o essere i curatori fallimentari del nostro Paese”.

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