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Sicilia, il cambiamento climatico cancellerà 10 km2 di costa entro il 2100

Elettra Vitale

Sicilia, il cambiamento climatico cancellerà 10 km2 di costa entro il 2100

martedì 12 Ottobre 2021

A rischio soprattutto l’area sud orientale dell’Isola: se non si interverrà per ridurre le emissioni inquinanti, spariranno intere aree come la piana di Catania e la riserva di Vendicari

Dieci chilometri quadrati di costa della Sicilia sud-orientale, partendo dalla Piana di Catania per arrivare a Marzamemi, verranno completamente sommerse dalle acque marine entro il prossimo 2100 se non ci impegneremo a ridurre notevolmente le emissioni inquinanti di gas serra. È questa l’allarmante fotografia scattata dalla ricerca “Scenario relativo all’innalzamento del livello del mare per il 2100 lungo la costa della Sicilia sud-orientale”, condotta dall’Ingv in collaborazione con le Università di Bari e Catania e insieme alla Radboud Universitet in Olanda. Lo studio, realizzato nell’ambito del Progetto Miur “Pianeta Dinamico”, ha analizzato nel dettaglio gli effetti del cambiamento climatico sulle acque marine e le ripercussioni di tale fenomeno sulla Sicilia.

L’elevata quantità di gas serra presente nell’atmosfera, come è ben noto, ha causato un repentino aumento delle temperature, provocando lo scioglimento dei ghiacciai continentali. A preoccupare è il fatto che, se da un lato l’innalzamento del livello marino è parte integrante di un normale mutamento delle condizioni naturali del nostro Pianeta, dall’altro la velocità con cui il fenomeno si sta verificando è del tutto innaturale. Basti pensare che, solo nell’ultimo secolo, le acque del mare si sono sollevate di 20 cm, e negli ultimi dieci anni il ritmo ha seguito una costante accelerazione a una velocità di oltre il doppio rispetto al secolo scorso.

Di contro i ghiacci dell’Artico hanno raggiunto il minimo storico degli ultimi mille anni in termini di estensione. Una condizione da “codice rosso” come emerso dall’ultimo rapporto dell’Ipcc, il Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici, che spiega come, a causa del cambiamento climatico, l’innalzamento delle acque del mare è passato da una crescita media di 1.35 mm/anno, nel periodo compreso tra il 1901 e il 1990, a 3.7 mm/anno fra il 2006 e il 2018, ovvero quasi il triplo. Una vera e propria corsa mai registrata negli ultimi 26 mila anni e uno scenario da “bollino rosso” che, però, non stupisce se si considera che il livello di gas serra presenti nell’atmosfera è, ad oggi, il più alto in assoluto da 300 anni a questa parte. L’Ipcc, inoltre, ha stimato che le inondazioni, che rischiano di coinvolgere oltre 400 mila persone nel mondo, potrebbero avere il più grande impatto socioeconomico del XXI secolo, superando i danni finora causati da terremoti ed eruzioni vulcaniche.

Come è facile immaginare, a pagarne le conseguenze dirette saranno le aree costiere. Il Mediterraneo, con una temperatura media di 20,45 gradi centigradi solo nel 2020, è proprio tra le aree più colpite dal climate change e si stima un aumento del livello del mare di 0,15 metri entro il 2050 e di 0,33 metri nei successivi cinquant’anni. Da qui al 2100, secondo le previsioni dell’Enea, oltre 5.600 km quadrati e più di 385 km di costa saranno sommersi dall’acqua. Più nel dettaglio, se in tutta la penisola saranno 40 in totale le zone a rischio inondazione, ben sei di queste destinate a “fare una fine” simile alla leggendaria Atlantide si trovano proprio nella nostra Isola, tutte nella zona sud orientale.

Questa porzione di territorio, tra le più attive a livello tettonico, è già di per sé coinvolta in un graduale processo di subsidenza, ovvero il fenomeno per il quale la superficie terrestre si muove verso il basso per cause naturali o antropiche. Come emerso dallo studio Ingv, però, se non si ridurranno considerevolmente le emissioni di gas serra, l’invasione marina potrebbe accelerare notevolmente il suo cammino, con il risultato che il livello delle acque potrebbe innalzarsi di oltre un metro e dieci centimetri nelle zone costiere più vulnerabili entro la fine del secolo, portando anche nella nostra Isola alla graduale scomparsa di aree nevralgiche non solo dal punto di vista turistico ma anche produttivo e industriale.

Nella ricerca, infatti, vengono prospettati i diversi scenari possibili che coinvolgeranno l’Isola orientale entro il 2100, i quali sono stati elaborati in funzione dei “Representative Concentration Pathways”, ovvero gli scenari climatici espressi in termini di concentrazioni di gas serra, in un range che va da 2.6 (basse emissioni) a 8.5 (alte emissioni). Il tutto per comprendere se e in che modo l’intervento repentino dell’uomo per il contenimento del cambiamento climatico possa o meno arrestare i fenomeni già in atto.

La prima a essere presa in analisi è la piana di Catania, in particolare nell’area compresa tra i fiumi Simeto e san Leonardo, dove è stata registrato un rapido ritiro della costa, fino a 10 m all’anno, con la conseguenza che la suddetta zona depressa potrebbe essere invasa dalle acque fino a 5 km quadrati nei prossimi ottant’anni. Il livello del mare, infatti, si alzerà di 0,15 m entro il 2050 e di 0,33 nel 2100 solo nel caso di basse emissioni. In caso contrario lo scenario più buio, prevede un innalzamento di 0,72 metri per la fine del secolo.

La costa di Siracusa è interessata da un ritiro del litorale intorno ai 3.9 m/anno ma la zona più colpita è quella a sud della foce del fiume Ciane in cui si è verificato ritiro di costa di circa 70 m. Secondo le proiezioni dei ricercatori quest’area potrebbe essere invasa fino a un Km nell’entroterra rispetto all’attuale linea di riva. Nei casi peggiori, ovvero in assenza di una decisa riduzione di emissioni, si prefigura un innalzamento del livello marino pari a 1,12 metri entro il 2100, con la conseguente sommersione di 2,3 km quadrati di costa, coinvolgendo in modo sostanziale il porto aretuseo. Ma a subire i danni più importanti saranno le Saline del fiume Ciane, ad oggi tra le più famose riserve naturali della zona, destinate a scomparire del tutto.

Sorte simile anche per Augusta e le sue aree industriali, dove si verifica una subsidenza pari a 3,4 mm annui, che potranno essere in parte preservate solo in caso di un Rcp basso: le acque del mare, infatti, nei prossimi ottant’anni potrebbero travolgere solo 0,6 km2 di territorio contro gli 1,65 nel caso di alti livelli di inquinamento.

L’analisi ha preso in considerazione anche la foce del fiume Asinaro, in particolare in prossimità della spiaggia di Piccio (tra Avola e Noto), in cui secondo i peggiori scenari climatici, si prospetta una perdita di terraferma massima pari a 0,04 km quadrati, un valore pressochè simile a quello previsto anche per Marzamemi.

Infine, a pagare il prezzo più alto sarà la Riserva naturale orientata di Vendicari in cui, senza una concreta inversione di tendenza, il rischio è che le aree umide finiranno per lasciare posto a sparse isole relitte. Lo sconfortante scenario che si prospetta per il 2100, come sottolineato dai ricercatori, prevede una sommersione totale di 1,52 km quadrati, il che significherebbe un decimo dell’attuale estensione dell’area protetta. Con una riduzione di emissioni a bassi livelli, ovvero prossimi al valore di 2.3 rcp, invece, entro la fine del secolo si prevede l’invasione di 1,04 km quadrati, salvando così almeno un terzo della riserva destinata a sparire dalla vista dell’occhio umano.

Intervista a Carmelo Monaco, ordinario di Geologia strutturale del Dipartimento di Scienze biologiche dell’Università di Catania

“Il Porto di Siracusa, Marzamemi e Vendicari le zone più a rischio. Serve un’azione su scala mondiale, rispettando l’accordo di Parigi”

CATANIA – Il QdS ha intervistato in esclusiva Carmelo Monaco, ordinario di Geologia strutturale del Dipartimento di Scienze biologiche, geologiche e ambientali dell’Università di Catania che, insieme a Giovanni Scicchitano, associato di Geomorfologia del Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali dell’Università di Bari e Marco Anzidei, primo ricercatore dell’Ingv di Roma, ha partecipato alla ricerca “Scenario relativo all’innalzamento del livello del mare per il 2100 lungo la costa della Sicilia sud-orientale”.

Professore Monaco, da dove è nato lo spunto per la vostra ricerca?
“Nella zona costiera oggetto della nostra analisi nel corso degli ultimi anni sono stati rinvenuti numerosi reperti archeologici sommersi, come i moli di Megara Iblea, le tombe nella penisola Magnisi o, ancora, l’immensa cava di Marzamemi. Questo ci ha fatto subito comprendere che questi rinvenimenti sono esplicativi di un evidente innalzamento delle acque marine. Si tratta di un fenomeno antico e quanto mai attuale, considerato che il livello del mare si sta gradualmente elevando, specie nell’ultimo secolo a partire dalla fine dell’Ottocento. Se nei millenni successivi si trattava di un effetto diretto dello scioglimento dei ghiacciai, negli ultimi decenni assistiamo a una sostanziale accelerazione eccessiva di un fenomeno naturale e gli scienziati, per la maggiore, sono concordi nell’individuare un nesso diretto con il cambiamento climatico. Ciò è stato ben evidenziato dagli studi dell’Ipcc che hanno indagato sul nesso tra innalzamento delle acque e aumento delle temperature. Se prima il livello del mare si alzava in media di un 1,5 mm l’anno, adesso le proiezioni sono di 3 mm per la fine del secolo”.

Quali sono gli scenari prevedibili e le aree più in pericolo?
“Sicuramente le città costiere, basti pensare a Venezia, e in Sicilia zone come la piana di Catania in prossimità della foce del fiume di San Leonardo che è già tre metri sotto il livello del mare e viene mantenuta asciutta solo grazie all’utilizzo di idrovore (pompe usata per assorbire ed asportare grandi masse d’acqua, ndr) che, però, potranno difficilmente funzionare a fronte di un progressivo incedere delle acque. Andando ancora più a sud, grazie alle nuove tecnologie satellitari, abbiamo potuto verificare tramite misure dirette che l’area costiera del siracusano è in abbassamento tettonico fino a 1 mm l’anno. Viene facile comprendere che l’abbassamento delle coste unito all’innalzamento delle acque comporterà inevitabilmente la sommersione di alcune zone che consideriamo più a rischio come il porto grande di Siracusa, le saline del fiume Ciane, Marzamemi e la riserva naturale di Vendicari. Abbiamo in programma anche di elaborare anche i livelli di rischio connessi a tale fenomeno, ovvero le previsioni in termini di perdite economiche. Ciò che è risultato dalle nostre osservazioni è che entro il 2100 sono destinati a scomparire 10 km quadrati di coste della Sicilia sud orientale nel caso in cui la tendenza climatica dovesse proseguire nell’attuale direzione. In un ulteriore studio abbiamo inoltre osservato un aspetto molto importante in merito ai recenti uragani mediterranei, specie negli ultimi anni, che hanno causato danni mai registrati in precedenza. In particolare abbiamo osservato che nel 2018, in seguito all’uragano, Marzamemi è stata invasa dall’acqua e, dunque, si è verificato un aumento del livello del mare. Questo ci ha fatto ipotizzare che il cambiamento climatico possa influire anche sulla pressione delle acque marine e, quindi, potrebbe comportare eventuali eventi marini estremi con più frequenza nei prossimi decenni. Per quanto concerne le inondazioni il rischio correlato ai danni, relativamente agli stabilimenti urbani e industriali, è attualmente basso. A preoccupare di più sono proprio i terremoti e gli eventi marini estremi, come gli tsunami, che potrebbero comportare danni ingenti nella nostra Isola”.

Come si potrebbe intervenire a livello locale e nazionale?
“Più che a livello regionale e nazionale sarebbe necessario intraprendere un’azione su scala mondiale orientata alla riduzione progressiva delle emissioni inquinanti, in piena regola con quanto disposto dall’accordo di Parigi. A livello locale gli unici interventi possibili a fronte di un innalzamento delle acque sono di natura strutturale, specie nelle zone soggette a erosione costiera tramite l’installazione di pannelli ad hoc, sebbene siano funzionali per lo più a limitare l’effetto delle onde. Sicuramente bisognerebbe attenzionare anche la questione della sedimentazione delle acque in quanto l’erosione costiera, un processo del tutto naturale, non è correttamente controbilanciata dall’apporto di sedimenti da parte dei fiumi che sono stati esageratamente bloccati da dighe. Questo deve farci riflettere sul fatto che ogni intervento umano ha inevitabilmente degli effetti sull’ambiente naturale, motivo per il quale esistono delle valutazioni di impatto ambientale di cui si deve necessariamente tenere conto nel momento in cui si progetta qualsiasi tipo di opera”.

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