Palermo, il capoluogo della Sicilia, è lacera, sporca, diruta. Non lo è solo lei, pensiamo alla frustrazione quest’estate di Catania. La terra di Sicilia è viva solo di fuochi, incendi che la devastano, uccidono uomini, animali e cose. Gli unici fuochi innocui sono quelli d’artificio, che in ogni quartiere salutano l’uscita dal carcere di qualcuno.
In tutto questo le istituzioni discutono di rimpasti di sedie sdrucite, a cui sono stati strappati i contenuti politici e sociali. Ci si lamenta perfino delle critiche della Chiesa, di un Lorefice o di un Raspanti, vescovi di comunità rassegnate alla perdita di speranze, temendo Vespri che caccino l’ignavia delle istituzioni. Mai la Sicilia è stata così abbandonata a se stessa, ripiegata in un rattrappimento più senile che neonatale. Se si facesse un sondaggio chiedendo ai siciliani se si sentono abbandonati dalle loro istituzioni il risultato sarebbe bulgaro. A cosa servono gli Enti Locali, la Regione oggi? O meglio a chi servono?
Se analizziamo bene le norme i decreti, le ordinanze, riguardano sempre una piccola fetta della popolazione siciliana. Tutto è orientato a un blocco sociale che ha una platea massima di un mezzo milione di persone. Quelli che dipendono in maniera stabile o precaria da mamma Regione e dai comuni, insieme ai loro familiari. Quindi oltre 4 milioni di siciliani non sono rappresentati, e percepiti, dalla politica locale, dalle poche azioni dell’istituzioni siciliane.
Costoro si sentono abbandonati. Figurati, se non capiscono i front man della politica, se comprendono perché andare a votare a breve l’Europa, dove invece nell’incredulità loro si decidono i destini di questa terra di frontiera. Il senso di sconforto percepisce solo abbandono, l’ognun per se e Dio per tutti, non proprio tutti. Matteo Messina Denaro si è tirato fuori, dalla vita e da Dio. Delle istituzioni se ne fregava già da trent’anni.