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Sindrome di Stoccolma

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giovedì 16 Dicembre 2021

Supermario invocato da tutti. Resterà fino al 2023? Ecco cosa potrebbe succedere se lo facesse o se decidesse di non farlo.

I partiti tentano di tenere amorevolmente il premier Draghi a Palazzo Chigi. Lo invocano, lo blandiscono, gli fanno appelli per restare fino al 2023. La verità è che dopo la legge finanziaria e l’elezione del Presidente della Repubblica questo governo è finito. Entreremo in una fase di agonia con tutti a distinguersi e a smarcarsi dagli atti del gabinetto. Dopo l’elezione dell’arbitro ognuno si metterà la sua maglietta identitaria e scenderà in campo per scalciare chiunque passa. I sindacati con lo sciopero generale hanno già fiutato il vento della fine dell’unità nazionale. Sembrano che vogliano imprigionare Draghi in un ruolo a rischio disfacimento. La verità è esattamente contraria. Sono loro ad essere prigionieri del Premier, e lo allisciano e lo venerano come nella famosa sindrome di Stoccolma.

Draghi questo lo ha capito e finora è stato zitto. Ma se non decide di andare al Quirinale, cosa che dipende solo da lui con il consenso che ha, sa che non potrebbe tirare a campare, nella rissa inevitabile tra i partecipanti a questa improbabile coalizione. A marzo dopo la fine della proroga dello stato di emergenza sarebbe costretto a dimettersi, a meno di non fare la fine declinante e sostanzialmente inutile di un altro Mario, Mario Monti.

Cosa succederebbe senza Supermario?

Il Paese non si potrebbe permettere un fallimento internazionale di tale portata. I dubbi dei Paesi rigoristi rischierebbero di riemergere prepotentemente, e non ci sarebbero né gentilezze né Gentiloni.

Il PNRR andrebbe in crisi, soprattutto di credibilità, perché di progetti esecutivi già siam scarsi.

Pertanto Supermario assiste impassibile, con quella sua faccia da pokerista delle banche internazionali, alla sarabanda di dichiarazioni dei dieci piccoli indiani che popolano le piazze mediatiche. Incassati i decreti finanziari, dopo la Befana deciderà, e lo farà da solo, come è abituato a fare un generale che ha visto tante battaglie e tanti tradimenti.

Io penso che spiazzerà tutti con una delle sue fulminanti battute corte. Molto anglosassoni come la sua formazione economica. Lui è un Draghi non un Andreotti e non gli interessa logorarsi nel potere.

Le scelte potranno essere solo due. Dichiarare che a Marzo ha messo in sicurezza il Paese e ritirarsi come Cincinnato nell’attesa di una nomina a Senatore a vita da parte del nuovo, o vecchio, Capo dello Stato.

Dire che il suo compito non finisce, perché l’Italia ed i mercati han bisogno di lui, e rendersi disponibile a fare il Presidente della Repubblica.

Nel secondo caso i partiti sarebbero fregati. Come farebbero i Letta, i Conte, i Salvini, la Meloni a dirgli di no. Ed alla fine, come da 7 anni a questa parte, vincerebbe politicamente, con buona pace di “stai sereno Enrico”, Matteo Renzi.

Saranno costretti a lavorare come matti per garantirgli i voti alla prima elezione, perché in caso contrario non avrebbero un cerino in mano, ma una bomba al napalm. Che rischierebbe di incendiare non solo la nazione ma l’intera Europa. Perché nessuno sarebbe più credibile se Draghi molla o viene bocciato in Parlamento. E se si votasse a marzo andremmo verso una ingovernabilità ancora peggiore con questa legge elettorale.

Quindi alla fine dipende tutto da Draghi o da sua moglie. Se gli appartamenti del Quirinale le sembreranno freddi e poco charmant la vedo male. Se il Senatore a vita Renzo Piano volesse dargli un’occhiata sarebbe gradita. Io comunque allerterei il suo barman preferito sotto casa. C’è il rischio che il 2 giugno debba preparare i suoi spritz nei giardini del Quirinale.

La cosa buona è che tra tre settimane sta manfrina comunque finisce.

Così è se vi pare.

Giovanni Pizzo

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