Inchiesta

Spiagge libere, altro che abbondanza. In Italia e Sicilia coste sotto “assalto”

PALERMO – Nonostante le sentenze del Consiglio di Stato, la pronuncia della Corte costizionale e l’intervento dell’Antitrust, la stagione balneare italiana va avanti come niente fosse, con gli ombrelloni rimasti saldamente piantati lì dove ce li hanno messi i titolari delle (vecchie) concessioni. Seppure sia intervenuta finanche l’Unione europea e il rischio di una nuova maxi-sanzione ai danni del Belpaese sia dietro l’angolo, i Comuni restano inerti e il Governo tira dritto, forte della mappatura, realizzata ormai circa un anno fa, con la quale veniva definita non scarsa la disponibilità della risorsa “spiaggia”, ma nei fatti solo per disattendere l’applicazione della direttiva Bolkestein (2006/123/CE) finalizzata a promuovere la libera circolazione dei servizi, e che è stata recepita dall’Italia con il decreto legislativo n. 59/2010.

Secondo la mappatura del Governo le spiagge libere sono il 67%

Secondo i dati caricati sul Siconbep – questo il nome del sistema realizzato dal Governo per mappare i beni demaniali – le spiagge libere costituirebbero il 67% del totale. Ma, come evidenziato da Bruxelles, in quel conteggio è stato infilato di tutto per tutelare le attuali concessioni balneari: aree portuali e industriali, zone inaccessibili, aviosuperfici. Tutto, compreso gli arenili dove la gente non può andare liberamente a farsi il bagno.

Secondo i primi risultati del rinnovato censimento Ispra sulle spiagge, che quest’anno aggiorna e integra i dati costieri del 2020, e che ha completato le informazioni già elaborate gli scorsi anni per la “Linea di costa” e la “Linea di retrospiaggia”, in Italia, la superficie complessiva delle spiagge misura meno del territorio del solo municipio di Ostia, a Roma: 120 km2, una superficie che comprende le grandi spiagge di Rimini o della Locride, fino alle piccole e suggestive “pocket beach” tra le scogliere dell’Asinara o alle spiaggette che sopravvivono tra i porti, i lungomare o le scogliere artificiali davanti le nostre città di mare.

Sicilia, si è “ristretta” la spiaggia

La Sicilia è caratterizzata da una notevole estensione costiera, circa 1.637 km e, da sola, rappresenta il 22% dell’estensione costiera dello Stato italiano con 1.152 km di coste dell’isola maggiore cui vanno aggiunti circa 500 km delle isole minori. Ma la seconda costa più lunga d’Italia si accorcia moltissimo, almeno dal punto di vista di un cittadino che vorrebbe goderne gratuitamente. Abusivimo, inquinamento, interi tratti inibiti per motivi di sicurezza, insediamenti portuali e produttivi: è lunga la lista dei tratti di litorale “vietati”.

Secondo i dati del monitoraggio effettuato dal Dasoe, il dipartimento Attività Sanitarie e Osservatorio Epidemiologico della Regione siciliana, ci sono oltre 39 chilometri di spiagge interdette per inquinamento, di cui 15 insistono sul territorio provinciale di Palermo. Ma, andando a guardare tutte le porzioni non adibite alla balneazione, si scopre che i chilometri sono molti di più: per esempio, sono circa 50 i chilometri vincolati a parco o ad oasi naturali, mentre altri 165 chilometri – di fatto il pezzo più importante – riguardano le aree portuali o le aree vietate con ordinanza della capitaneria di porto, un’altra dozzina di chilometri sono i tratti di costa “non campionati per motivi geomorfologici” e ben 40 sono quelli interessati da immissioni di varia natura (canali, torrenti, fiumi, depuratori). L’ultimo blocco, anche questo molto importante perché vale quasi 100 chilometri di costa, riguarda quei tratti di mare e di costa sottoposti “ad interdizione per ordinanze emesse per motivi di sicurezza”.

C’è, poi, ovviamente il capitolo delle concessioni balneari. L’ultimo monitoraggio lo ha fatto Legambiente lo scorso luglio 2023 nel report “Spiagge” (che tra poco dovrebbe essere aggiornato), sintetizzando così la situazione siciliana: 5.365 concessioni di demanio marittimo, 620 concessioni per stabilimenti balneari, 107 concessioni per campeggi, circoli sportivi e complessi turistici. A fronte di questi numeri, è venuto fuori che un quinto del totale della costa sabbiosa (22,4%) è occupato da questi insediamenti.

Un “assalto” che negli ultimi anni è cresciuto

Secondo i dati di Ispra dal 2000 al 2020, in Italia si è verificato un aumento del 10,6% di costa artificializzata con opere marittime e di difesa, di cui il 41% riguarda opere di difesa costiera mentre il 36% opere portuali, per un totale di 74 km. Al 2020, in valori assoluti, si contano 770 km su 8.300 km di costa occupati da opere artificiali con un totale di circa 10.500 opere “rigide” di difesa costiera, di cui il 41% opere radenti. La Sicilia è la regione con il maggior numero di chilometri di costa artificializzata (122 km), seguita da Liguria (82 km) e Sardegna (71 km).
Sempre nell’Isola, leggiamo ancora dal rapporto Spiagge 2023, “si trovano i dati peggiori sul consumo di suolo, in particolare se si considera il rapporto tra quello costiero e quello totale regionale, pari al 56,44%, il più elevato in Italia”.

Ma il fenomeno è ancora più esteso se pensiamo che ci sono ampi tratti di litorale con villette e altri edifici costruiti proprio in prossimità della riva (sovente abusi poi legittimati dalle varie sanatorie che si sono susseguite nel tempo), con tanto di cancelli che “cingono” intere porzioni di costa. Per avere un’idea, basta leggere i dati sul consumo di suolo in area costiera pubblicati nell’annuario di Ispra Ambiente: gli ultimi disponibili fanno riferimento al 2019/2020 e per la Sicilia indicano una cementificazione del 27,9% delle aree entro i 300 metri dal mare (dato peraltro in crescita nel biennio considerato).

Insomma gli spazi “liberi” sono sempre più ridotti e difficilmente raggiungibili, tanto da obbligare a pagare tariffe per lettini e ombrelloni proibitive per alcuni cittadini, mentre i gestori riconoscono allo Stato cifre grottesche. Ma di questo parleremo in una prossima inchiesta.

R.G.

Intervista a Filippo D’Ascola, coordinatore del gruppo di lavoro sul monitoraggio costiero di Ispra

Così l’uomo sta contribuendo all’erosione. “Ridotto l’apporto di sedimento dai fiumi”

CATANIA – Esistono in Sicilia, come del resto nelle altre regioni, spiagge che si possono modificare radicalmente da un anno all’altro. Che sia per l’insediamento massiccio di stabilimenti balneari o altre costruzioni, o per l’azione erosiva delle mareggiate, il fenomeno è evidente e rilevato da Ispra. L’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale ha fornito al Quotidiano di Sicilia alcuni dati territoriali significativi a poche settimane dalla pubblicazione dell’aggiornamento del censimento sulla linea di costa. Grazie a quest’ultimi è stato possibile evidenziare due casi di erosione da mareggiate che hanno modificato radicalmente, seppure nel tempo, la spiaggia di Punta Marinello e di Punta Peloro entrambe in provincia di Messina. Inoltre è possibile stabilire che il 21% di spiagge siciliane è occupato da stabilimenti balneari.

“Uno dei casi più conosciuti riguarda la forma della costa sotto la rocca di Tindari, a Punta Marinello a Patti (Me), la cui traslazione verso sud in vent’anni (2000-2020) vale circa 200 metri” ha spiegato l’ingegnere Filippo D’Ascola coordinatore del gruppo di lavoro sul monitoraggio dell’assetto costiero di Ispra. Ma il caso indicato dall’Istituto come grave è Punta Peloro. Qui la spiaggia si sta riposizionando a causa della forza erosiva delle mareggiate e le cause principali sono: “L’ormai ridotto apporto di sedimento da parte dei fiumi (causato dal prelievo della sabbia per l’edilizia, sistemazioni idrauliche, invasi lungo l’asta fluviale), le opere dell’uomo che bloccano la naturale circolazione del sedimento lungo la costa (opere rigide per la difesa delle coste, opere portuali, colmate, etc), infine, la cancellazione delle dune costiere, riserva tattica di sabbia della spiaggia in caso di mareggiate eccezionali” ha rilevato D’Ascola.

A Capo Peloro la superficie della spiaggia rilevata nel 2006 è rimasta uguale a quella del 2020, ma l’azione erosiva delle mareggiate l’ha di fatto trasformata in porzioni di territorio che prima non c’erano. Se non bastasse, almeno altrettanta superficie è diventata fondale marino.

Stando ai dati Ispra elaborati per il QdS, le spiagge che registrano accumuli di biomassa in almeno una delle immagini scattate del periodo 2016-2024 sono 660 in Sicilia, pari al 55% delle spiagge regionali, rispetto alle 3.076 spiagge nazionali, per un dato in percentuale del 53% delle spiagge italiane. Le spiagge costituite esclusivamente da accumuli di biomassa in Sicilia sono 41, rispetto alle 72 a livello nazionale, il che significa che le spiagge in Sicilia costituite esclusivamente da accumuli di biomassa rappresentano circa il 56,9% rispetto a quelle nazionali. Cosa vuol dire? Le biomasse sono un elemento naturale, ma che possono aumentare a seguito di un’azione di “disturbo antropico”, cioè ad esempio una massiccia presenza di costruzioni nelle coste. Come nei casi degli stabilimenti balneari.

Il dibattito su quest’ultimi è in una fase cruciale. Grazie ai dati elaborati da Ispra possiamo comunicare quanta percentuale di spiagge siciliane sono occupate da stabilimenti. “Il numero delle spiagge locali siciliane che registrano almeno in una delle foto del periodo 2016-2024 la presenza di stabilimenti balneari è 247, ovvero il 21% delle spiagge siciliane, rispetto alle 1.877 spiagge nazionali, che corrispondono al 32% italiano”.

È poi disponibile un dato generale sempre utile, ovvero quello sulle superfici totali di spiagge presenti sull’isola. “La superficie totale delle spiagge siciliane – ha censito Ispra – è di 18,6 km², rispetto ai 121,7 km² a livello nazionale. Quindi, la superficie regionale è circa il 15,3% della superficie totale delle spiagge italiane”. Un patrimonio naturale da non erodere, né dal mare né da un ingiusto business.

C.B.

Come sono fatte le spiagge italiane: la fotografia dell’Ispra

Mediamente le spiagge italiane sono profonde circa 35m, e occupano circa il 41% delle coste, ovvero circa 3400 km, su un totale di più di 8300 km. È quanto emerge dai dati pubblicati dall’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale.

Il tematismo delle spiagge, composto da circa 5800 poligoni derivati da ortofoto e immagini satellitari ad alta definizione, con ciascun poligono che individua una spiaggia fisicamente delimitata, da quelle che risultano non più grandi di un monolocale a quelle che si sviluppano per oltre 10km lungo la costa.

Ispra ha pubblicato sul proprio “Portale delle Coste” il database geografico degli elementi che compongono l’assetto costiero, da oggi integrato con la componente delle spiagge, seguendo la Direttiva europea Inspire per la non proliferazione dei dati, strumento utile agli studi ed alla pianificazione in ambito costiero.

Ogni elemento spiaggia è corredato da una serie d’informazioni pensate a questo scopo, al di là delle caratteristiche di geometria, superficie e tratto della costa occupato; quelli selezionati per l’attuale indagine riguardano la tipologia di substrato, la presenza di opere legate al turismo balneare e informazioni a supporto degli studi che riguardano gli accumuli di biomassa, strettamente legati alla protezione naturale delle spiagge. La distribuzione della superficie per lunghezza di costa occupata dalle spiagge non è affatto uniforme tra le varie Regioni; sono quelle del sud e le isole maggiori a costituire oltre due terzi delle spiagge italiane, mentre Regioni come la Liguria o Emilia-Romagna si trovano a dover gestire una risorsa relativamente ridotta.

Le condizioni non cambiano di molto se si passa a considerare i valori della superficie delle spiagge italiane, con le Regioni del sud che da sole valgono metà della superficie nazionale e la Calabria che, da sola, vale il 20% del totale. La comparazione tra i due valori, ossia costa occupata e superficie, non trova corrispondenza perché la conformazione dei territori genera spiagge di profondità molto diverse: le spiagge adriatiche, infatti, sono generalmente le più profonde, con quelle del Veneto profonde mediamente 67m e quelle dell’Emilia-Romagna 72m, circa il triplo dei valori di Liguria, 26m, e Sardegna, 22m. Quest’anno sono stati inoltre aggiunti elementi utili a supportare la gestione sostenibile delle spiagge e per contrastare l’erosine costiera e gli effetti dei cambiamenti climatici.

Uno di questi elementi riguarda la litologia delle spiagge (sabbia, ciottoli) con una caratterizzazione rinnovata, oggi definita “tipologia di substrato” in quanto si è rilevato che circa l’1% dei poligoni è in effetti costituito esclusivamente da accumuli di biomassa, con la base appoggiata proprio sul fondale marino. Questi accumuli possono essere costituiti dalle banquettes di Posidonia spiaggiata o da altri materiali vegetali (tronchi, canne) che, quando non eliminati, possono costituire un elemento di “elasticità della spiaggia” che la protegge contro l’azione delle mareggiate.

Per questi rilievi sono state utilizzate prevalentemente le immagini satellitari e fotografiche di Google Earth; lo scopo era definire la presenza di accumuli di biomassa nel periodo compreso tra il 2016 ed il 2024. Ne è emerso che in circa metà delle spiagge italiane si presentano almeno tracce di tali accumuli (53%), in una quantità che tende a non essere costante ma a sparire o magari aumentare da una stagione all’altra e da un anno all’altro.

Per il rilievo più recente disponibile, con una chiarezza sufficiente delle immagini, si è fatta un’analisi qualitativa sulla porzione di spiaggia coperta da tali accumuli; prendendo a riferimento solo la data più recente, la presenza di tracce di accumuli di biomassa scende al 35% delle spiagge italiane, mentre per il 15% dei casi si rilevano porzioni più consistenti di copertura della superficie delle spiagge (oltre il 20%).

Reati ambientali, non si ferma l’aggressione al litorale dell’Isola

I dati del dossier “Mare monstrum” di Legambiente

Legambiente in occasione dell’avvio delle campagne “Goletta Verde” e “Goletta dei Laghi” 2024 ha presentato i dati in anteprima del dossier “Mare Monstrum, dedicato al ciclo illegale del cemento, raccolti da forze dell’ordine e Capitanerie di porto. I dati confermano che l’abusivismo edilizio, la gestione illecita delle cave e le concessioni demaniali sono ancora una volta i tratti distintivi delle nostre coste, ove cresce la morsa del cemento illegale.

Nel 2023 sono stati 10.257 (+11,1% rispetto al 2022) i reati accertati dalle forze dell’ordine e dalle Capitanerie di porto nelle regioni costiere, con 11.647 persone denunciate (+21,2%), 1.614 sequestri penali (+17,3%) e 14 ordinanze di custodia cautelare. Aumentano anche gli illeciti amministrativi, 15.062 (+11,7% rispetto al 2022) e le relative sanzioni (34.121, +20,9%).

Il Sud Italia è la principale vittima del mattone illegale: in testa alla classifica regionale si conferma la Campania con 1.531 reati (pari al 14,9% del totale nazionale), prima anche per il numero delle persone denunciate (1.710) e le sanzioni (4.302). Segue al secondo posto la Puglia (1.442 reati, il 14,1% del totale nazionale), al terzo la Sicilia (1.180 reati, 11,5%) e al quarto la Calabria (1.046 reati, il 10,2% del totale). Ma la minaccia dell’abusivismo edilizio non risparmia neanche il Centro e il Nord Italia: al quinto posto la Toscana con 794 reati (7,7% del totale nazionale), seguita dal Veneto con 705 reati (6,9%) e dal Lazio con 617 reati (6%).

A confermare la piaga del cemento, specie lungo le nostre coste, è anche il monitoraggio civico “Abbatti l’abuso 2023” del Cigno Verde che evidenzia come l’abusivismo edilizio oggetto di ordinanze di demolizione sia oltre 6 volte più diffuso che nell’entroterra. In particolare, tra il 2004 e il 2022, la media delle ordinanze di demolizione nei Comuni costieri di Lazio, Campania, Puglia, Calabria e Sicilia, le cinque regioni più colpite dal fenomeno, è di 64,1 ordinanze per Comune, contro la media di 10,7 ordinanze per i Comuni dell’entroterra. Per questo, Legambiente è tornata a chiedere al Governo risposte immediate come il riconoscimento del pieno potere ai Prefetti per demolire gli immobili che non vengono abbattuti dai Comuni e la cancellazione nel Decreto “Salva casa” del cosiddetto “silenzio-assenso”, che spalancherebbe la strada a nuovi abusi visto che nessun Comune sarà mai in grado di esaminare una pratica di sanatoria entro i 45 giorni stabiliti.

Legambiente, poi, pone la sua attenzione su uno dei dati formalizzati dall’ultimo censimento Ispra sulle spiagge a proposito della gestione sostenibile delle spiagge e per il contrasto all’erosione costiera e agli effetti del riscaldamento globale, quello che evidenzia come i cumuli di posidonia spiaggiata, una pianta acquatica che può prevenire la sottrazione di sabbia durante le mareggiate, vengano spesso rimossi attraverso la pulizia meccanica delle spiagge per renderle più accoglienti per i turisti. Non solo, ma l’abbattimento negli anni delle dune, una barriera naturale contro l’erosione, a favore delle strutture degli stabilimenti balneari, degli alberghi e dei ristoranti ha accelerato l’erosione costiera. E tutto ciò nella mera logica commerciale che ha connotato in tutti questi anni la gestione delle spiagge nel nostro Paese.

Da un lato spiagge finalizzate esclusivamente allo sfruttamento e non considerate come un “bene comune” da preservare e, dall’altro, l’impatto degli oltre 450 porti turistici, costruiti in assenza di pianificazione nazionale e che hanno spesso determinato gravi processi di erosione nei litorali.