Stati generali dell'editoria, la parola ai direttori - QdS

Stati generali dell’editoria, la parola ai direttori

Paola Giordano

Stati generali dell’editoria, la parola ai direttori

venerdì 28 Giugno 2019

Anche il nostro direttore è intervenuto agli Stati generali dell’editoria

ROMA – È giunta quasi al termine la seconda fase degli Stati generali dell’editoria, indetti dal sottosegretario Vito Crimi per cercare soluzioni condivise alla crisi che dal 2007 ha travolto il sistema editoriale italiano. Ieri, nella Sala Polifunzionale della Presidenza del Consiglio, è toccato ai direttori di testata esprimere il proprio punto di vista in merito alle difficoltà che i giornali incontrano ormai da anni quotidianamente nella propria strada. E lo hanno fatto nell’ambito dell’incontro intitolato emblematicamente “Giornali e nuove sfide dell’informazione, tra presente e futuro”.

Ad aprire le danze è stato Ferruccio Sepe, capo Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria, il quale, dopo aver ribadito l’indirizzo del governo di garantire la pluralità dell’informazione, ha subito dato la parola a Riccardo Luna, già direttore responsabile Agenzia giornalistica Italia. “La crisi – ha esordito Luna – è nei numeri, nelle testate che chiudono e nei posti di lavoro che vengono a mancare, ma non credo che sia in crisi il giornalismo. Se prendiamo i dati del traffico dei siti di informazione in Italia, accanto ai grandi giornali ci sono testate ormai consolidate che sono nate sul web e che fanno giornalismo serio. Penso al Post di Luca Sofri, a TPI e a tanti altri. Crisi del giornalismo, dunque? No, piuttosto crisi dei giornali. Che fine faranno i giornali tradizionali? Penso che essi non finiranno e non lo dico perché sono un ottimista cronico ma perché non abbiamo ancora colto tutte le opportunità che in questo momento sono pazzesche”.

Anche sul fronte delle fake news Luna non ha dubbi: “Non le ha inventate internet, purtroppo ci sono sempre state. Internet le ha rese un fenomeno esponenziale. Credo che noi, come giornalisti, come direttori, abbiamo l’opportunità di combattere per i fatti, siamo gli unici che sanno come farlo e che possono farlo. Dobbiamo ripartire da qui, dallo spiegare le cose difficili”,

Prima di passare la palla al secondo relatore è intervenuto il sottosegretario Crimi che ha tenuto a precisare che “le nuove tecnologie, se le si individua come strumenti e non come fini, possono essere utili a fare un buon giornalismo” e ha aggiunto che “tutti possono comunicare qualcosa con foto, video, parole ma non tutti fare giornalismo. Compito del giornalista è quello infatti di fare qualcosa in più, di raccontare storie, di raccontare cose c’è dietro, di verificare i fatti, di costruire quella cornice informativa che consenta al lettore di interpretare una foto, un fatto. Elemento chiave di tutto questo è la credibilità: se un giornalista ha assunto nel tempo una propria credibilità, non avrà alcun problema a veicolare un fatto”.

È toccato quindi ad Alberto Marinelli, presidente del Corso di Laurea in Comunicazione Pubblica e d’Impresa Università la Sapienza Roma, offrire un contributo che cerca di capire come stanno cambiando la società e le esperienze d’uso rispetto alle news: “Da metà degli anni 2000 abbiamo imparato a ragionare nelle conversazioni pubbliche in termini di network o connective society, cioè la società fatta di relazioni. Sono arrivati i social media a certificarlo e abbiamo interpretato il mondo così. Purtroppo la rapidità è tale che ci troviamo alle prese con un nuovo paradigma, il platform society: osserviamo il mondo a partire dalle piattaforme che producono le strutture sociali in cui viviamo, raccogliendo in maniera sistematica ed elaborando in maniera algoritmica i dati. I contenuti, una volta entrati in rete, hanno una vita digitale nella quale le audience, cioè i pubblici, hanno una componente fondamentale. Le news circolano sui social network esattamente come ogni altro bene e vanno a confluire in un ecosistema comunicativo in cui esistono altri flussi di informazione che si sovrappongono. Fake, satira, meme girano insieme alle altre notizie. Bisogna sì consentire alle persone di saper distinguere una notizia da altro, si può agire sulle piattaforme per bloccare i fake ma intanto è bene prendere consapevolezza che la maggior parte del flusso di notizie arriva alle persone non secondo l’ordine che hanno stabilito, con criteri razionali, di valore e professionalità, l’editore e il direttore di giornale ma in maniera totalmente disintermediata e vincolata da meccanismi di amicizia. Questo meccanismo riguarda oggi la metà della popolazione e andrà sempre più avanti”.

Si è aperta quindi la fase degli interventi dei direttori, il primo dei quali è stato quello del nostro direttore, Carlo Alberto Tregua: “Oggi si dice che l’informazione su carta è morta a causa dell’avvento di internet. Secondo me si confonde il contenitore con il contenuto: la televisione, internet, la carta sono dei contenitori. Quello che conta è il contenuto, la qualità dell’informazione. E la qualità dell’informazione è dura da produrre perché bisogna andare a cercare i fatti e i dati, ma bisogna anche controllarli. Nel corso del forum che ho realizzato con il presidente nazionale dell’Ordine dei giornalisti, Carlo Verna, costui mi disse che bisogna usare il Testo Unico dei doveri del giornalista come il breviario della Chiesa, perché l’informazione, per l’importante funzione che ricopre, deve essere basata su principi etici”.

La sua analisi ha toccato poi i limiti del web: “Internet è stato sicuramente un grande progresso ma ha anche un grande difetto: è breve, lapidario, volante, ovvero esattamente il contrario dell’approfondimento dell’informazione. Ci vogliono quindi capacità, conoscenze ed anche qualità interiore per evitare distorsioni”. E le storture del mondo giornalistico: “Una delle distorsioni più grandi presente nel nostro Paese è quella di fare i processi fuori dai tribunali: questa è una cosa inaudita perché l’informazione di garanzia è prevista dal codice di procedura penale a tutela dell’indagato e non per tacciarlo come colpevole. Questo non è buon giornalismo: il giornalista deve avere anche una funzione pedagogica, deve spiegare come sono i fatti, non solo accertarli e controllarli”.

Al minuto 56 il video dell’intervento del direttore Carlo Alberto Tregua.

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