Stato assicuri le città contro il terremoto

Per riparare i danni del terremoto nella Valle del Belice (1968) ci sono voluti cinquant’anni. Per le conseguenze del sisma dell’Irpinia (1980), ce ne sono voluti quaranta. Per rimettere in sesto il Friuli dopo l’evento del 1976, ci sono voluti pochi anni perché quei cittadini non hanno speculato e hanno lavorato insieme all’allora ministro della Protezione civile, Giuseppe Zamberletti, per ricostruire l’Aquila dopo il terremoto (2009), i lavori non sono arrivati neanche alla metà. Per ricostuire sulle macerie del terremoto di Amatrice (2016) i lavori sono appena cominciati.

Perché questi enormi ritardi che non consentono ai territori danneggiati e ai relativi abitanti di riprendere la loro vita normale? Per alcune cause, tra cui due principali: lo Stato non ha risorse sufficienti e la burocrazia ostacola la ricostruzione con un comportamento passivo.
Per la seconda causa, il rimedio è di ordine generale e cioè una profonda riforma che faccia diventare il sistema burocratico da passivo ad attivo.

Per la prima causa (mancanza di risorse), la soluzione c’è e cioè che lo Stato assicuri il territorio con le migliori compagnie del mondo, tra cui i Lloyd’s di Londra. Siamo convinti che pagare i premi, ma sapendo che qualunque evento straordinario come i terremoti non avrà conseguenze sul piano materiale, sarebbe un grande conforto non solo per i governanti ma anche per la popolazione.
Si può dire: ma come mai nessuno ci ha pensato? Non abbiamo una risposta ma ci sembra un’idea di buonsenso ipotizzare questa soluzione.

L’ultimo terremoto di 5.7 della scala Richter, avvenuto lo scorso mercoledì al largo delle Marche, ha messo molta paura ma per fortuna non ha fatto nessun danno a persone e cose. Però bisogna pensare che tutto il nostro territorio è soggetto a scosse, per cui sarebbe operazione di buonsenso, anche per privati e imprese, assicurare i loro immobili.

Ma ancor più di buonsenso sarebbe mettere in atto le ristrutturazioni antisismiche, peraltro supportate finanziariamente dal famoso Superbonus 110 per cento che, nel prossimo anno, verrà ridotto giustamente al 90 per cento.

Da notizie assunte presso amministratori di condominio risulta molto difficile convincere i singoli proprietari a effettuare tali ristrutturazioni antisismiche. Per diverse ragioni: la prima riguarda gli immobili locati, per cui – forse per egoismo -ai proprietari non importa molto della salute dei propri inquilini, qualora dovesse verificarsi l’evento. Ma anche quando gli immobili sono abitati dagli stessi proprietari, questi, forse per pigrizia o pensando che gli eventi sono ineluttabili, non prendono in esame la possibilità di procedere alle citate ristrutturazioni.

In qualche caso, ma non sempre, nel periodo dei lavori, bisogna allontanarsi dagli edifici e lasciarli liberi. Ciò vale anche nel caso di interventi energetici su infissi e impianti di riscaldamento/raffrescamento.
A Parigi, tra il 1970 e il 1986, decisero di ripensare parte del famoso quartiere “Les Halles” perché era indispensabile attuare un cambiamento anche al sistema viario. Quell’amministrazione obbligò gli abitanti dei palazzi a trasferirsi provvisoriamente in altri immobili messi a dispozione dalla stessa.

Les Halles fu raso al suolo, sorsero nuovi palazzi e oggi è un ridente quartiere non lontano dalla Senna.
Questo manca nel nostro Paese: l’iniziativa degli Enti pubblici e in particolare degli Enti locali che dovrebbero avere cura del territorio, facendo interventi anche del tipo indicato, convincendo o imponendo ai privati di fare operazioni nell’interesse generale. Ma non abbiamo notizia di interventi analoghi nel nostro Paese.

Tornando al dopo terremoto, anche se gli immobili e le infrastrutture fossero assicurate e quindi vi sarebbe la disponibilità delle risorse per la loro ricostruzione, occorrerebbe che la Pubblica amministrazione funzionasse secondo il modello “Ponte di Genova”, in modo da fissare un cronoprogramma di non oltre due anni per ricostruire tutto.

Si capisce il grande vantaggio di questo modus operandi, anche perché si assorbirebbe una grande massa di dipendenti e si immetterebbero nel territorio risorse notevoli con un grande beneficio per il Prodotto interno lordo.