Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo), annuncia che potrebbero intervenire sul proprio codice deontologico. Marco Cappato chiede l'intervento di Speranza ma il ministro della Salute spiega che spetta al Parlamento
Una modifica del Codice deontologico dei medici, prevedendo un’integrazione per applicare la sentenza della Corte Costituzionale sul suicidio assistito.
L’annuncio arriva dal presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo), Filippo Anelli, dopo la pubblicazione delle motivazioni della sentenza con cui la Consulta ha escluso in determinati casi la punibilità dell’aiuto al suicidio, pur non prevedendo l’obbligo di procedere a tale aiuto da parte dei medici. In sintesi, l’articolo del codice penale che punisce chi istiga o aiuta al suicidio resta in vigore, ma la Corte Costituzionale ha deciso che, di fronte a certe situazioni limitate e particolari, non potrà essere punito.
Al centro della vicenda il caso Dj Fabo
Al centro della sentenza, Marco Cappato dell’Associazione Coscioni, imputato per la morte di Fabiano Antoniani, noto come Dj Fabo. Quest’ultimo, cieco e tetraplegico dopo un incidente stradale, nel 2017 chiese aiuto a Cappato per assisterlo nel suicidio in una clinica Svizzera. E proprio in quella vicenda la Consulta ha riconosciuto che esistessero le condizioni perché l’assistenza al suicidio non fosse considerata reato. Dj Fabo, infatti, come si legge nella sentenza, era in grado “di prendere decisioni libere e consapevoli” e aveva chiesto coscientemente di essere aiutato a morire perché affetto “da patologia irreversibile e fonte di sofferenze fisiche e psicologiche… assolutamente intollerabili, …tenuta in vita da mezzi di sostentamento vitale”.
La sentenza depositata il 22 novembre
Come si sa, la decisione della Consulta risale allo scorso settembre, ma le diciannove pagine della sentenza sono state depositate il 22 di novembre. CLICCA QUI PER LEGGERLA
Cappato, dopo che la sentenza è stata depositata, ha chiesto un intervento del ministro della Salute, ma lo stesso Roberto Speranza ha chiarito che non tocca a lui: “E’ materia del Parlamento”.
Il punto, rileva Cappato, è che “c’è un dovere, da parte del ministro, di adottare tutte quelle tecniche immediate affinché questo diritto sia da oggi esigibile. È la conclusione più importante che traiamo dalla sentenza della Corte”.
Ma Speranza risponde che su questa materia “c’è una sentenza della Corte costituzionale che va rispettata. Ora il Parlamento è chiamato a esprimersi, credo che la discussione vada fatta nel più breve tempo possibile ma con la necessaria profondità”. Siamo davanti a un “tema delicato”, ha aggiunto.
Una materia di natura parlamentare
“Il Governo – ha spiegato – non potrà che essere rispettoso delle indicazioni della Consulta da una parte e dall’altra del dibattito parlamentare. Il presidente Conte lo ha detto nella illustrazione delle sue linee programmatiche in Parlamento, durante l’approvazione del voto di fiducia: non ci può essere una iniziativa del Governo su questa materia, che è di natura parlamentare ed è giusto che il Parlamento faccia quella discussione. Poi ognuno di noi ha le sue idee evidentemente”.
Il codice deontologico degli Ordini dei medici
Centrale resta, però, la questione legata al Codice deontologico dei medici e in particolare all’articolo 17, in cui si afferma che il medico non può compiere “atti che favoriscono o inducono la morte”.
Un’integrazione si rende quindi indispensabile: “In definitiva, premesso che la sentenza va applicata – ha sottolineato Anelli – e che ogni modifica del Codice Deontologico va approvata dal Consiglio nazionale, sarà compito del Consiglio stesso uniformare il Codice al dispositivo della Corte Costituzionale, limitatamente ai casi previsti”.
“Abbiamo già raccolto – ha rivelato Cappato – le adesioni di centinaia di medici che chiedono la modifica del Codice perché ritengono di dover rispettare le volontà del paziente”.
Per Filomena Gallo, segretario della associazione, questa sentenza “è centrata sul malato, sulla sua libertà di scelta e rende non punibili alcuni comportamenti fino a ieri punibili dall’articolo 580 del Codice penale”.
Giudizio positivo da parte dei medici
E da parte del mondo medico, il giudizio appare positivo: si tratta, ha commentato Anelli, di una “sentenza equilibrata, che tutela gli assistiti definendo confini netti, e prevedendo la non punibilità per l’aiuto al suicidio assistito solo in casi particolari”.
Ovvero, per i soggetti “affetti da patologie irreversibili, con sofferenze intollerabili, dipendenti per le funzioni vitali da apparecchiature e nelle condizioni di chiedere coscientemente questa opzione”.
Ed è una sentenza che, nel contempo, “rispetta il ruolo del medico, non obbligandolo – afferma – a porre in atto l’aiuto al suicidio” La Consulta, dopo il caso Cappato-Dj Fabo, chiese al Parlamento di completare la legge sul Biotestamento comprendendovi le questioni di fine vita (eutanasia e suicidio assistito) e intervenendo entro settembre 2019. Ciò non è accaduto. La Corte, conclude l’associazione Coscioni, “ha pronunciato una sentenza coraggiosa, ma il Parlamento deve ora approvare una legge che legalizzi l’eutanasia contro l’eutanasia clandestina”.