Pezzi di Pizzo

Totò eroe dei due mondi

Totò Schillaci era il palermitano, e l’italiano, più famoso nel mondo nei mitici anni 90, in cui divenne il capocannoniere del Mondiale di calcio giocato in Italia. Giocò perfino in Giappone nel Jubilo Iwata dove lo chiamavano Totò-San. Era un uomo bidimensionale Totò, lunghezza per larghezza, quella del rettangolo di gioco. Li era un eroe antico, un Aiace Telamonio dalla forza esplosiva, e dall’imprevedibilità assoluta. Non rientrava in nessuno schema, era fiuto, istinto, scatto e dribbling, era un numero nove, uomini destinati alla solitudine in campo avverso, come Pablito, che però il mondiale lo vinse.

Totò era un palermitano vero, cento per cento, della borgata Cep, un ragazzo di periferia, tra terreni sconnessi ed erba spontanea, come quello della via Gluck di Celentano, però quel ragazzo ne ha fatta di strada. Si dava da fare quel “picciotto”, c’era da portare il pane a casa, c’è sempre il “pititto” tra i pensieri dei palermitani. Il palermitano ha un chiodo fisso con la fame, sia che sia misero che borghese.

Andò a lavorare, tramite la madre, come “gommista” in via Pirandello da Bastiano, detto “U’ Russu”. Era faticatore, ci riferisce il principale, come a Palermo viene chiamato il datore di lavoro, ma focoso, qualche “scazzo”,  con gli altri addetti, scappava. Lavorò li tre anni, poi il suo principale, con i consigli di Tonino Di Bella, acquisì il suo cartellino dell’Amat, la società del trasporto pubblico urbano, ma il suo sogno, come ogni bambino qui nato, era il Palermo, ma la società, avara e poco lungimirante, o forse solo “spicciolata”, senza soldi, non lo prese.

E lui andò a Messina, per 35 milioni di lire, dichiarati, ma si sa che il dichiarato era solo e sempre una parte, volarono 200 milioni, e ci guadagnarono tutti, compreso Massimino, furbo come pochi, sul ragazzo del Cep. In riva allo Stretto, divenne l’idolo, a suon di dribbling e gol, del Celeste, uno stadio di periferia, fatto in tubolari di ferro ed assi di legno per le tribune. Fu poi venduto per oltre 6 miliardi alla Juve di Boniperti. I suoi occhi, stralunati, posseduti dagli dei del calcio, fiammeggiavano solo sul campo, fuori da esso era un bimbo sperduto, come quelli di Peter Pan.

Non era memorabile fuori dal campo, per riservatezza e timidezza, anche se nello showbiz finì all’Isola dei famosi e a Pechino Express. Lui aveva bisogno del terreno di gioco, del rettangolo con le due porte, di sentire l’erba sotto i tacchetti, di immaginare serpentine e veroniche, cambi di marcia e direzione, aveva il folle desiderio, bruciante, del riscatto che gli gonfiava il petto fino a scoppiare, finché la rete che si gonfiava non lo calmava. Voleva a tutti i costi giocare in rosanero, voleva essere idolo anche a Palermo, e dopo il Giappone si offrì di giocare senza contratto, a gettone, nella squadra che amava, quella della città che adorava.

Ma non tutta la città adorava lui, parte, quella borghese con la puzza sotto il naso, lo considerava un “tascio”, coatto, di borgata, e la dirigenza del Palermo non lo prese, loro che erano in serie C rifiutarono il capocannoniere del Mondiale, per prendere non Cavani o Dybala, ma un tale Palumbo. Forse qualche errore Totò lo fece, si candidò contro Orlando, l’uomo più conosciuto a Palermo contro il palermitano più conosciuto nel mondo, a fianco di Miccichè e Berlusconi. Fu eletto consigliere, con 1.140 preferenze, poche per un uomo così straordinariamente cosciuto, e a parole osannato.

Nella camera ardente allestita al Renzo Barbera e nella Cattedrale moltissimi palermitani gli hanno reso omaggio per l’ultimo saluto, ma quando, con una certa ingenuità forse, si candidò non lo votarono, di pallone non si campa nelle borgate palermitane, di pacchi di pasta e promesse di posti di lavoro si. Oggi a Palermo è scoppiata la Totò-mania, ma un velo di ipocrisia dovrebbe essere sollevato. Il palermitano ha “pititto” sempre, se non può chiedere pasta, o reddito di cittadinanza, si vuole mangiare “una fetta di carne”, quella della gloria di Schillaci Salvatore detto Totò.

Forse è stato amato più Messina, a Palermo si osanna più il potere che il talento.  Con il potere puoi tentare di camparci, chiedendo qualcosa, qualche briciola che faccia soprassiedere la fame, perché il talento serve solo a chi ce l’ha. Pensate che la sua convocazione ai mondiali era in bilico, allora in auge c’erano Vialli, Mancini, Carnevale. Un giornalista sportivo messinese Tonio Licordari fece stampare migliaia di cartoline per Totò ai mondiali, che furono affrancate e spedite dai messinesi quasi al completo. Lui era un eroe antico, da Iliade. Non abbiamo vissuto al tempo di Achille, ma a quello di Totò Schillaci.