Vaccini, ipotesi terza dose, ecco perché e a cosa serve - QdS

Vaccini, ipotesi terza dose, ecco perché e a cosa serve

Ivana Zimbone

Vaccini, ipotesi terza dose, ecco perché e a cosa serve

domenica 28 Marzo 2021

Siamo lontani dall'immunità di gregge. Anche a causa dei ritardi nelle consegne dei vaccini e dello stop di AstraZeneca. Le mutazioni del virus potrebbero richiedere ora una terza somministrazione

La campagna vaccinale procede a rilento, nonostante i migliori auspici iniziali. E le attività commerciali, così come le scuole, tardano a riaprire. Ma adesso emergono nuovi dubbi: è possibile che occorra una terza dose di vaccino per proteggersi dalle varianti del virus. Nonostante ciò Thierry Breton – commissario Ue al mercato interno e capo della task force sui vaccini – stima che l‘immunità di gregge possa essere raggiunta già a luglio e che l’estate prossima possa essere come quella precedente, quasi “Covid-free”.

Previsioni estive

Che l’immunità di gregge dal coronavirus si ottenga entro metà luglio è la previsione di Thierry Breton che, parlando con la radio francese Rtl, ha detto pure che la prossima estate dovrebbe “essere simile a quella dell’anno scorso” grazie alle campagne vaccinali in corso nell’Unione europea.

Breton ha mostrato il primo “passaporto sanitario” europeo aggiungendo che sarà disponibile in tutta l’Unione europea “tra due-tre mesi”. Intervenendo ad una trasmissione sulla radio francese Rtl, il commissario europeo al Mercato interno ha fatto vedere un prototipo del documento che sarà disponibile sia in versione cartacea che per smartphone. Sul documento, un codice QR e il tipo di vaccino effettuato. Per chi non ha ancora o non ha voluto effettuare il vaccino contro il coronavirus ci sarà il risultato dell’ultimo tampone effettuato. 

Terza dose di vaccino, ipotesi sempre più realistica

Le stime ottimistiche di Breton, però, dovranno probabilmente scontrarsi con una realtà diversa. Ne è la prova il fatto che il Regno Unito – che ha utilizzato unicamente i vaccini di AstraZeneca e Pfizer – stia pensando all’ipotesi della somministrazione di una terza dose per contrastare la diffusione delle nuove varianti del coronavirus. Anche se, contemporaneamente, l’Inghilterra sta allentando le misure di sicurezza per favorire la ripresa della vita “normale”.

L’esigenza di una terza dose di vaccino potrebbe anche spiegare perché negli Stati Uniti vi siano più “scorte” di Pfizer – azienda statunitense che non rispetta i tempi di consegna in Europa – di quelle previste dai contratti con il governo americano. Questo nonostante le prescrizioni per il loro trasporto e la loro conservazione siano ormai più pratiche.

Frank A. D’Amelio, direttore finanziario e vicepresidente esecutivo della fornitura globale della multinazionale farmaceutica, ha fatto sapere che – nonostante il vaccino non abbia mostrato scarsa efficacia nella protezione dalle varianti inglese, brasiliana e sudafricana – le stesse varianti sono destinate a moltiplicarsi e ad aprire scenari futuri scarsamente prevedibili.

Certamente si prevede un fatturato sempre crescente per Pfizer e BioNTech, che oltre ad aver fornito agli Usa – con contratti meno stringenti di quelli stipulati con l’Europa – un quantitativo maggiore di dosi di quelle promesse, sta già lavorando a un vaccino monodose a Rmna da somministrare dal 2022, data in cui il vaccino anti-Covid sarà il “comune” vaccino antifluenzale annuale il cui prezzo verrà definito dalle leggi di mercato.

Le scelte di Pfizer

Il sospetto di un primario interesse economico di Pfizer non è certamente un mistero. Lo si nutriva già quando, dopo aver completato per prima la fase 3 della sperimentazione, l’azienda aveva valutato subito le convenienze di mercato.

Il presidente e amministratore delegato di Pfizer, Albert Bourla, e la sua vice presidente, Sully Susman, vendettero – nello stesso giorno dell’annuncio dell’efficacia del vaccino al 90% – circa 175 mila titoli della compagnia (132 mila il primo, 43 mila la seconda), per un valore complessivo di quasi 8 milioni di dollari. Il perché di quest’azione, apparentemente illogica, del presidente dell’allora unica azienda farmaceutica al mondo in procinto di immettere sul mercato il primo vaccino per il contrasto della pandemia, potrebbe trovare risposta nella volontà di speculazione.

Il manager, secondo quanto affermato dalla Sec (Securities and Exchange Commission), ha venduto 132.508 azioni a 41,94 dollari ciascuna, il prezzo massimo di un intero anno. E l’azienda lo difese affermando che l’azione facesse parte di un piano di trading stabilito già dal precedente 19 agosto.

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