Punta Raisi volo Alitalia per Milano con partenza all’una. Girovago per l’aereostazione pensando a cosa mi posso mangiare. La riunione con gli israeliani per la telemedicina era prevista per le 16 in via Pasubio. Loro avranno già mangiato, quindi è meglio che mi mangio qui un panino. Anche se in aeroporto i panini saranno al caviale considerando il prezzo.
Salgo sull’aereo mi accomodo al mio posto. Noto che è accanto all’uscita di sicurezza a metà aereo. Meglio, penso, sono le poltrone che hanno più spazio davanti.
Mi viene nonostante l’orario una decisa sonnolenza. Non dormo bene da un po’, dovrei farmi una polisonnografia.
Poco prima dell’atterraggio mi sveglio. Vi informo che abbiamo recuperato una parte del ritardo, ci informa il comandante, abbiamo iniziato la discesa su Linate.
Io penso a quel progetto sperimentale che doveva portare in Sicilia l’ospedalizzazione domiciliare, oggetto della riunione. In Lombardia era realtà da oltre un decennio.
Dietro di me due colleghi di una banca ridono. Avevano il cellulare acceso. Qualcuno gli aveva mandato un messaggio su un grattacielo di NY crollato. Il solito scherzo idiota dice l’altro.
Scendo dall’aereo direttamente nel finger ed entro nella sala dei gate.
È surreale. Il movimento frenetico dell’aeroporto meneghino sembra in preda a quel gioco da bambini. Un, due, tre, stella, tutti fermi.
Tutte le persone presenti erano immobili in gruppi davanti ai teleschermi.
Guardo l’orologio erano le 15.
Mi avvicino al teleschermo come in un film di fantascienza. Mi squilla il telefonino. Erano gli israeliani mi salutavano erano stati già trasferiti in aeroporto e fatti salire sun volo El Al per Tel Aviv.
Ho sempre pensato che lavorassero per il Mossad. Troppa tecnologia avanzata.
Io ero lì, fermo come un Visitors, imbambolato con lo sguardo all’insù. Stavamo guardando la CNN in diretta, qualcuno traduceva dall’inglese ad alta voce. Le immagini erano sulle Twin Towers. Facevano vedere il disastro causato dall’aereo che si era abbattuto su una delle torri.
Improvvisamente la voce del telecronista si altera, grida sempre più forte.
Vediamo in diretta il secondo aereo abbattersi sulla seconda torre.
Esco da Linate prendo un taxi che mi porta in albergo. Era quello vicino alla stazione di Porta Garibaldi.
Salgo in camera ed accendo il televisore. Chiamo casa, poi chiamo mio padre.
Arrivano notizie in televisione di un aereo che è caduto sul Pentagono.
Immediatamente penso solo ad una cosa. È scoppiata la terza guerra mondiale ed io sono lontano da casa, dai miei figli. Chiamo il call center Alitalia per trovare un volo per rientrare. È sempre occupato.
Voci di un altro aereo caduto fuori Washington escono dal televisore. Io sono in una specie di trance da zapping sui canali, per avere informazioni più precise, più dettagli.
Mentana è in diretta e cerca anche lui notizie per girarle agli spettatori incollati al televisore.
I social non c’erano ed internet era per pochi.
Rimango imbalsamato in camera. Non esco. Saccheggio il mini bar.
Una delle torri collassa. Le immagini sono spaventose.
Continuo a fare telefonate a tutti come fosse l’ultima. Do e ricevo preoccupazioni e conforto. Non si riesce a capire se la guerra, tutti parlano di guerra, rimarrà atrocemente convenzionale o si passerà alla dinamica termonucleare.
Vengono convocati dai media frotte di analisti. Alcuni sinceramente impreparati, altri che sembrano delle prefiche.
Il mondo è cambiato per sempre. La guerra fredda era già finita ed era iniziata quella calda.
Spengo il televisore, acceso dalle 16, alle 6 del mattino.
Mi addormento capendo il concetto della spada di Damocle sulla testa.
Da allora pende su un occidente vecchio e perdente.
Giovanni Pizzo