L’articolo 1 della Costituzione dice: "La Repubblica Italiana è fondata sul lavoro". Ma non sul “diritto” al lavoro. Il lavoro però bisogna prima produrlo e poi onorarlo.
“Gli italiani sono sempre stati un popolo laborioso. In passato lo eravamo in maniera straordinaria, rappresentando un caso anomalo nel panorama mondiale. Oggi non è così facile affermarlo perché qualcosa non sta funzionando a dovere. Secondo me nel nostro Paese si è lentamente smarrito il senso del valore del lavoro. Gli si è dato negli anni un ruolo troppo sociale mentre si è sottovalutato l’aspetto principale: il lavoro è un valore in primo luogo economico perché la ricchezza si crea lavorando. Oggi il lavoro viene inteso solo come acquisizione di un ruolo nella società. In verità bisognerebbe sottolineare la funzione sociale e la qualità del lavoro svolto. Svolgere bene la propria professione vuol dire fare stare bene gli altri, e non solo se stessi. Se lei svolge egregiamente il suo mestiere di giornalista, ad esempio, il valore del suo lavoro nasce dal fatto che ci saranno migliaia di persone che si arricchiscono perché vengono a conoscenza di notizie che prima non sapevano. Più la sua qualità eccelle e più aumentano le persone raggiunte dai benefici del suo lavoro. Ciò vale per tutti i mestieri, a tutti i livelli. Come Uil proviamo a comunicare esattamente questo messaggio: l’utilità sociale e morale del prodotto del lavoro nei confronti della comunità”.
Questo messaggio si è un po’ perso nel settore pubblico.
“È vero. Ma ci sono tantissime persone che lavorano con grande motivazione e dedizione negli apparati dello Stato. Nel settore pubblico, dopo il boom economico – man mano che il Paese è diventato più ricco – molti dipendenti sono stati assunti per ragioni politiche, sociali e clientelari. Questo, a lungo andare, ha fatto perdere il nesso tra valore e utilità sociale. E il cattivo esempio si è diffuso più velocemente della buona pratica”.
Nella Pubblica amministrazione, a nostro avviso, mancano due valori fondamentali: il merito e la responsabilità. Cosa può fare il vostro sindacato?
“La Uil può fare due cose. La prima è molto difficile: diffondere tra i nostri iscritti l’idea che la produttività e l’efficienza nella Pubblica amministrazione non è di destra e nemmeno qualcosa a cui guardare con diffidenza. Piuttosto dovremmo essere interessati a fare in modo che ciò si realizzi per snellire i tempi della Pa. La seconda, meno difficile, rischia di ottenere minori risultati nel breve periodo: assumere un atteggiamento positivo di fronte ai tentativi di rendere più efficiente la Pa. Per ammodernare il lavoro pubblico dobbiamo riaffermare e non dimenticare che il vero padrone è il politico, anche legittimamente visto che è stato votato dai cittadini. Tutti i rappresentanti sono i veri decisori e hanno la possibilità di poter fare delle scelte. In queste decisioni però non bisogna continuare a separare il potere dalle responsabilità. Questo è il tema fondamentale. Nelle imprese private la responsabilità va di pari passo con il potere decisionale: se si fanno delle scelte sbagliate si perdono possibilità, denaro e prospettive. Bisogna ribadire questo concetto a proposito della Pubblica amministrazione: quando si usano soldi pubblici si deve essere responsabili in ogni decisione intrapresa”.
Ma come facciamo a ricongiungere responsabilità e potere?
“Occorre che coloro che delegano il potere dedichino almeno il 50% della loro attenzione al controllo e alla verifica dei risultati, i cosiddetti "cittadini controllori". Se non c’è questo diventa tutto molto complicato. Viviamo in un sistema nel quale tutto viene perdonato. Così rischiamo di ritrovarci sempre nella stessa situazione di oggi: l’arrivo dei tecnici o dei commissari al governo”.
Cosa pensa a proposito della riforma delle pensioni e del pasticcio degli “esodati”?
“In questa vicenda va salvaguardato un principio sociale e di civiltà: persone che hanno gli stessi diritti non possono avere trattamenti diversi. Ci sono persone che hanno fatto una scelta e che hanno sottoscritto un accordo fidandosi di una legge dello Stato: bisogna rispettare quel patto. Senza contare, poi, che molte di quelle persone sono state costrette a lasciare il lavoro e sono state rassicurate circa il loro futuro dall’applicazione di quegli accordi e di quelle leggi. Insomma, il Governo deve riconoscere formalmente il diritto di andare in pensione con le precedenti norme a tutti coloro che hanno sottoscritto un accordo prima dell’entrata in vigore della nuova riforma, senza alcuna esclusione. È una questione di credibilità dello Stato”.
La riforma del lavoro, appena approvata, può produrre effetti positivi?
“Temo che chi abbia riposto speranze nella capacità di questa riforma di generare lavoro resterà deluso. L’occupazione non si crea per decreto: se così fosse avremmo risolto da un pezzo i nostri problemi. L’occupazione è una funzione dell’economia e degli investimenti. Fino a quando non si faranno serie politiche per lo sviluppo non ci sarà occupazione. Purtroppo le cose stanno andando diversamente da come noi desideriamo: la realtà si sta allontanando dai nostri desideri. Abbiamo sempre meno posti di lavoro e quelli che lo conservano vengono pagati sempre meno. Entro la fine di questo anno, rischiamo di avere un tasso di disoccupazione superiore a quello della media europea. Ed è difficile immaginare che ci possa essere un’inversione di tendenza sino a quando continueremo ad avere alti tassi di interesse e, soprattutto, alti livelli di tassazione. Noi, forse, ancora non abbiamo elaborato il fatto che non siamo solo in una fase di emergenze ma che, in realtà, abbiamo imboccato la strada del declino. Nei prossimi venti anni le risorse pubbliche diminuiranno e coloro che le amministrano devono essere in grado di gestirle eliminando gli sprechi. Ecco perché bisogna intervenire riducendo le tasse sul lavoro e abbattendo i costi della politica. Questa è la strada per la ripresa”.
Scelte sbagliate di Monti, meglio più Iva e meno Irpef
Come valuta l’azione del governo tecnico di Monti?
“Secondo me il Governo, vinto dalla emergenza e dalla imminente catastrofe finanziaria, ha fatto delle scelte sbagliate riguardo alla politica di aumento delle entrate. Non c’è stata una profonda analisi della struttura economica del nostro Paese e non è stato valutato che il 20% della nostra produzione di ricchezza è dovuta al mercato estero. Quindi si sarebbe dovuta fare una operazione diversa: aumentare l’iva subito e ridurre le tasse sul lavoro. In questo modo avremmo goduto degli effetti di una sorta di svalutazione, non avremmo fatto cadere drasticamente i consumi e avremmo reso competitivo il lavoro in Italia. Inoltre si sarebbe prodotto un effetto psicologico in cui il cittadino avrebbe capito concretamente a cosa servivano i sacrifici.
“Con le scelte del governo Monti invece siamo stati spinti verso la recessione. Adesso è una fase molto difficile: aumentano le tasse e gli stipendi sono stati falcidiati. Uno dei temi da porre al centro dell’azione dell’azione di governo: fare delle vere liberalizzazioni, in tutti i settori. E, ovviamente, ridare fiducia agli italiani”.
Come si può uscire da questo periodo di crisi economica?
“Nel buio pesto di questa recessione io intravedo una nota di ottimismo. I vincoli esterni dell’Europa, in questo caso, possono funzionare. Siamo un popolo che ha numerose virtù, ma se non ci viene imposto di tirarle fuori non riusciamo ad esprimerle appieno. Pur essendo tutto nelle nostre capacità. Ho una sola perplessità. Poco tempo fa pensavo che la maggioranza di questo paese fosse gente virtuosa e consapevole. Adesso ho cominciato a dubitare di questa mia opinione. Non stiamo reagendo abbastanza”.
La spending review è un buffetto alla politica
Qual è la vostra opinione sulla spending review del governo?
“Per dirla con una battuta, per quel poco che ci è stato concesso di capire, la spending review proposta dal Governo è un buffetto ai costi della politica e una stangata agli impiegati. Non vorrei che di tutte le buone intenzioni a cui hanno accennato nel corso dell’incontro, restasse solo il taglio lineare del personale della pubblica amministrazione. Vorremmo capire se il Governo è davvero intenzionato a razionalizzare l’uso del denaro pubblico scontrandosi anche con chi ha il potere politico di gestire quelle risorse. Noi abbiamo proposto di intervenire sulle società pubbliche degli enti locali: sono troppe e ciò provoca, di per sé uno spreco di risorse e un costo eccessivo del servizio ai cittadini, proprio perché si genera un effetto moltiplicatore dei costi di funzionamento. Ad esempio, nel nostro Paese ci sono 1.200 società di trasporto pubblico. Se ci rapportiamo agli altri Paesi europei, sono oggettivamente troppe. Dobbiamo accorpare queste società facendo in modo che abbiano un mercato più ampio. La semplice riduzione dei membri dei Consigli di amministrazione è un passo avanti ma non basta. La proposta degli accorpamenti di queste società, invece, si traduce in un’operazione che riduce i costi, ma non i servizi: c’è una logica economica. Noi siamo preoccupati e temiamo che, alla fine, della cosiddetta spending review resti solo la riduzione del 20% dei dirigenti e del 10% dei dipendenti. Peraltro, sarebbe interessante capire sia il criterio con cui questi lavoratori verrebbero messi in mobilità sia le tutele prevedibili e possibili. Insomma, occorrerebbe conoscere quello che, normalmente, si definisce il piano industriale”.
Curriculum Luigi Angeletti
Luigi Angeletti è nato a Greccio (Rieti) il 20 maggio del 1949. Ha lavorato per lungo tempo presso la Ottica meccanica italiana, azienda di Roma, in cui è stato delegato sindacale. Nel 1980 è stato eletto segretario nazionale e nel 1992 segretario generale della Uilm. Nel 1998 è stato nominato segretario confederale della Uil. Dal 13 giugno 2000 è segretario generale della Uil nazionale. È membro dell’Esecutivo della Confederazione europea dei sindacati e consigliere del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro.