L’obiettivo di Ora design: arte dagli scarti

MESSINA – Si chiama Lucy Fenech, ma non è francese, né tanto meno è parente della diva Edwige. A dispetto del nome, è una siciliana purosangue con una grande passione per la cooperazione internazionale. Laureata in chimica a soli 23 anni, ben presto capisce che la sua strada non è tra i camici bianchi di qualche azienda farmaceutica, ma tra gli ultimi del pianeta. Gira l’America latina, l’Ecuador, la Colombia con la Chiesa cattolica e quando torna in patria organizza eventi per raccogliere fondi da destinare alle sfortunate popolazioni del Sud del mondo.
E intanto svolge diversi lavori, dal grafico fino alle gestione delle onlus. Tutte queste esperienze la portano a riflettere su come riutilizzare le ingenti quantità di materiale sprecato in Italia come negli altri Paesi occidentali, oggetti che potrebbero essere rivalutati con grande vantaggio sia per l’ambiente che per l’economia. In altre parole restituire vita nuova a quegli oggetti che nessuno utilizza o vuole più.
“Lavorando per la cooperazione, ho sperimentato quanta roba venga buttata: da qui è nata l’idea di inventare un’attività che sfrutti tutti quegli scarti degni di vita che vengono messi da parte. Essendo anche una creativa, ho voluto unire l’amore per l’ambiente, restituendo nuova linfa a quei materiali ancora ricchi di potenziale, alla passione per l’arredo e il design”. Stile ecosostenibile: è questa la ricetta della start up peloritana “Ora design”.
Un progetto ambizioso. Come e quando siete partiti?
“Siamo nate dieci mesi fa, nell’ottobre del 2011. Inizialmente eravamo quattro donne, ma attualmente il progetto è portato avanti da me e Caterina Fiorino, un’artista di 28 anni laureata all’accademia delle Belle Arti. I primi mesi sono stati più un esperimento, durante il quale anche il team ha subito diversi cambiamenti. In poco tempo abbiamo, comunque, raggiunto risultati importanti grazie alla creatività e l’impegno che ciascuna di noi ha messo in campo”.
Qual è l’investimento iniziale che avete sostenuto?
“Abbiamo investito circa 5.000 euro, ma nell’arco di questi mesi siamo già riusciti a rientrare nelle spese sostenute. Per i primi tre mesi ci siamo occupati soltanto della produzione dei nostri manufatti, successivamente abbiamo preso un magazzino e raccolto materiale di vario genere facendo diversi accordi con le aziende locali. Tutto il materiale che utilizziamo per la nostra produzione al 90 per cento è riciclato. Gli oggetti che rendiamo nuovamente appetibili per il mercato provengono o da scarti aziendali (per esempio da aziende che producono borse piuttosto che scarpe, da colorifici ecc.) o da soggetti privati. Abbiamo recuperato anche materiale di post consumo come vecchi mobili ancora degni di essere usati oppure pneumatici. Si tratta di roba destinata allo smaltimento a cui allunghiamo la vita di almeno altri dieci o quindici anni trasformandola in una cosa diversa”.
E poi quando vi siete affacciate sul mercato?
“Come ti dicevo, abbiamo lavorato incessantemente per più di due mesi nel nostro laboratorio di Rometta, in provincia di Messina, per realizzare una mostra espositiva dei nostri complementi di arredo. Già a dicembre scorso presentavamo il nostro primo expo, un’esperienza fondamentale che ci è servita sia per testare il gradimento del pubblico e sia per capire il tipo di risonanza che poteva ottenere il nostro lavoro. È stata un successo perché abbiamo ricevuto tantissimi feedback e dopo poco tempo siamo riusciti a recuperare quanto avevamo investito”.
Quali risultati avete raggiunto a oggi? Avete provato a cercare fondi d’investimento, magari tra venture capital?
“Diciamo che, a differenza delle altre start up che ruotano nel settore digital, abbiamo dei maggior costi per sostenere la produzione e chiaramente questo allunga i tempi per ottenere i primi utili importanti. Nonostante ciò, riusciamo perfettamente a rientrare nelle spese: a tutt’oggi siamo assolutamente in grado di pagarci con i proventi della nostra attività l’affitto, l’assicurazione e la benzina del furgone, la luce e tutte le altre utenze che ci servono per lavorare. Certo, abbiamo anche impiegato molte energie nella ricerca dei fondi. Abbiamo partecipato a Mind the Bridge, alle iniziative dell’Intesa San Paolo e diverse altre manifestazioni per start up nelle quali siamo sempre arrivati in finale. Abbiamo dei dialoghi con diversi fondi, ma non è un’ossessione: possiamo essere sostenibili anche senza di essi. Non nascondo, però, che quest’ultimi ci permetterebbero di andare rapidamente più lontano. La difficoltà che noi troviamo nel reperire un finanziamento dipende dal fatto che gli investitori preferiscono puntare su progetti digitali che necessitano di minori costi e, quindi, minori rischi”.
Qual è la piattaforma con la quale vendete la vostra merce?
“In questo momento abbiamo un sito che è una vetrina (https://www.oradesign.it) dove è possibile soltanto visionare i nostri prodotti. Per l’acquisto, invece, ci appoggiamo a un’altra start up che è Blomming (https://blomming.com/mm/ORAdesign/items), una piattaforma di e-commerce personale, semplice e flessibile. Per l’immediato futuro abbiamo in cantiere la realizzazione di un nostro portale che non solo ci permetterà di vendere gli oggetti che recuperiamo, ma darà la possibilità al cliente di personalizzare alcuni prodotti (si potrà scegliere la forma, il colore, il tipo di materiale da utilizzare ecc.) e di essere informato sull’impatto ambientale dell’oggetto che acquista”.
Quanti complementi d’arredo avete venduto e quali sono gli obiettivi per il futuro?
“Tra piccoli e grandi, ne abbiamo venduti un centinaio con prezzi che vanno dai 15 euro fino ai 3.000. Il nostro obiettivo è di continuare a vendere con l’e-commerce. Il sogno è quello di diventare una grossa catena di arredo ecosostenibile. Vogliamo affermarci come punto di riferimento per un nuovo modello di produzione in Italia: avere del materiale di scarto, poterlo modellare secondo il concetto di design italiano e infine venderlo online. I nostri utili sono in crescita e questo ci lascia ben sperare per il futuro”.Antonio Leo
Twitter: @tonibandini