ROMA – Mentre in Sicilia si balla al ritmo delle elezioni regionali, con le continue capovolte dei candidati alla Presidenza e faccendieri vari, nella Capitale la politica è ormai immersa nel dibattito per varare la nuova legge elettorale per le prossime Nazionali. L’ombra del “Porcellum” è ancora presente tra le stanze di Montecitorio e Palazzo Madama, e il rischio di non trovare un’intesa non può essere ancora escluso dall’orizzonte delle ipotesi. Lo stesso Calderoli, nella giornata di ieri, con la stessa facezia con cui battezzò la sua nefanda creatura dichiarava: “In questo momento credo che la legge elettorale non abbia molte prospettive. Stringi stringi tutti vogliono mantenere quella che c’é, magari cambiando solo il nome”. E se uno pensa alle liste bloccate e al premio di maggioranza, come trapela dalle indiscrezioni che circolano da mesi, “gratta gratta – assicura l’ex ministro della Lega – sotto ci ritrovi il ‘Porcellum’…”. Una legge degna del miglior gattopardismo, insomma. E in effetti un fondo di verità c’è nelle parole del fedelissimo di Bossi: tutto porta a credere che quella al varo nelle stanze dei bottoni non sia altro che la solita non riforma. Qualcuno già parla di sistema Greco, in barba al pluridecorato meccanismo alla francese. Se così fosse la governabilità andrebbe a farsi benedire, con il rischio che gli investitori continuino a guardare con sospetto e diffidenza al sistema del Paese.
La lunga estate non è servita a nulla ai nostri politici e come al solito la montagna ha partorito un topolino. Secondo le anticipazioni, l’accordo raggiunto dai principali leader di partito prevede un sistema elettorale ancora più complicato di quello oggi vigente. Si tratterebbe di un proporzionale con correttivi maggioritari e soglia di sbarramento al 5 per cento (con clausola di salvaguardia per chi non supera la soglia, ma ottiene più dell’8 per cento in almeno una regione). I correttivi maggioritari risiedono nella scelta degli eletti (anche se le percentuali sono oggetto di trattativa): 50 per cento con collegi uninominali; 35 per cento con liste bloccate; 15 per cento come premio al primo partito.
L’accordo naturalmente nasce dalle diverse aspirazioni dei singoli, con uno spirito di conservazione che comunque è il minimo comune denominatore di tutti gli attori politici. Il Pd si porta a casa i collegi, una soluzione intermedia tra le liste bloccate e le preferenze. Il Pdl dal canto suo fa ancora una volta il gioco della Lega: è del partito di Berlusconi la volontà di una norma che preveda il salvataggio dei movimenti che raggiungono l’8% in una singola regione. Non a torto tale cavillo è stato ribattezzato con il nome di “norma salva-Lega”. Un’assicurazione sulla vita per Umberto e una garanzia di fedeltà per Silvio. Naturalmente non poteva mancare una soluzione che fosse gradita a Pierferdinando Casini, il quale finalmente può celebrare il suo proporzionale quasi tedesco al netto del premio al partito, che rasenta il ridicolo: solo il 15%. Una percentuale che probabilmente non servirà ad evitare le ammucchiate post elettorali. E che ci regala l’ennesima legge usa e getta.
Antonio Leo
Twitter: @ToniBandini