Società

11 gennaio 1693, la Sicilia rasa al suolo dal Grande Terremoto

Quello del 1693 fu uno dei sismi più devastanti che la Sicilia abbia mai conosciuto. Molte città furono rase al suolo, altre distrutte in buona parte e poi ricostruite in siti nuovi rispetto agli antichi centri.

Angelo Schembari, professore di lettere e storico locale, in occasione del 328° anniversario del catastrofico terremoto, riporta alla memoria i fatti, i problemi e le conseguenze all’accaduto approfondendo, in particolare, la dinamica degli eventi a Monterosso Almo, piccolo borgo in provincia di Ragusa.

Angelo Schembari

Oggi ricorre il 328° anniversario del terremoto. Quanto e perché è importante mantenere la memoria?

“È importante mantenere la memoria di questo tragico evento per molteplici ragioni. Innanzitutto perché la storia è maestra di vita e ha sempre qualcosa da insegnarci. Nello specifico da una grande tragedia, che ha causato tanti lutti e distruzioni, è scaturito un nuovo slancio vitale che ha fatto del Sud-Est della Sicilia un cantiere dell’urbanistica Tardo-Barocca che ha prodotto un fiorire di capolavori che oggi sono considerati patrimonio dell’umanità e sono entrati a far parte dei grandi circuiti turistici. Una riscoperta che ha riguardato anche gli abitanti stessi del Sud-Est che hanno preso coscienza di questa risorsa ereditata dai padri ed ai quali tocca ora l’onere e l’onore della salvaguardia e valorizzazione”.

Cosa accadde l’11 gennaio 1693?

“Uno sciame sismico, iniziato il 9 gennaio e culminato l’11 gennaio 1693 con una scossa di magnitudo 7,3, distrusse la maggior parte delle città e dei borghi della Sicilia sudorientale, “le città di Ragusa, Noto, Scicli, restarono tutte desolate, come per le Terre di Biscari, Buscemi, Chiaramonte, Giarratana, Licodia, Monte Rosso”, furono i commenti dei cronisti dell’epoca.

I dati ufficiali parlano di quasi sessantamila vittime e venti insediamenti interamente distrutti, su un totale di cinquantotto toccati dal cataclisma.

Una delle più gravi conseguenze del sisma furono i ripetuti furti di frumento in tutta la Contea di Modica, e a Monterosso “di tutti i terraggi non si salvò nè pure una salma, un tummino, un mondello”.

L’origine del terremoto fu interpretata come un castigo divino. Perché?

“Il disastroso sisma fu interpretato dalle autorità religiose e dalla popolazione come un castigo divino, ed in diversi paesi si cambiarono i Patroni che non avevano saputo assicurare la dovuta protezione. A Monterosso, in particolare, la protezione dei superstiti e del paese venne affidata alla Vergine Immacolata, tanto che il 26 aprile 1693, appena tre mesi dopo il terremoto, Clero, Giurati e popolo elessero l’Immacolata “Singolare (unica) Padrona, Protettrice ed Avvocata” della Terra di Monterosso. Il Reverendo Fra’ Matteo nel corso della sua omelia spiegò le ragioni del castigo divino “che per esser noi soggetti all’impulsi ed illusioni diaboliche che c’incamminano per la via della perdizione e sotto la spada fulminante di un Dio che meritamente sdegnato contro li nostri peccati mercè li quali c’ha destrutto e deroccato, col terremoto sotto li 9 ed 11 Gennaro, tutta la terra privandone della propria abitazione, robba, amici e parenti… e ci fa di bisogno per placar L’Ira della divina Maestà resistere alle suggestioni del Serpente Infernale con lo scudo del Patrocinio e Protezione di questa Gran Signora Regina del Paradiso quale ci difenda dall’imminente pericolo del terremoto e liberi da ogni altro male. E desiderando li Popoli schiavi e servi della Signora Vergine Maria della Concezione et eligerla in sua Padrona, Protettrice ed Advocata”.

Cosa avvenne all’indomani della catastrofe?

“La drammaticità del momento emerge dai provvedimenti delle autorità che cercarono per prima cosa di stimare i danni. Si decise intanto di sospendere la riscossione delle gabelle delle città danneggiate, con l’esclusione, da parte del Real Patrimonio, di Modica, Monterosso e Chiaramonte.  

Da Monterosso, il 23 febbraio del 1693, il notaio Marco Antonio Noto informò i Maestri razionali dei danni subiti dai mulini soprano e sottano bisognosi di urgenti riparazioni.Entrarono in gioco i meccanismi decisionali e gli atteggiamenti che, a vari livelli, ebbero le autorità spagnole e palermitane, i gruppi dirigenti locali, laici ed ecclesiastici e la stessa popolazione, riguardo le problematiche della ricostruzione. Ad influire molto furono le oligarchie locali che cercarono di far passare decisioni funzionali ai loro interessi particolari cioè che, in caso di ricostruzione, le nuove città fossero vicine ai loro feudi.

Bisogna precisare che il Viceré vietava qualsiasi cambiamento di sito senza autorizzazione ed in particolare la ricostruzione nei pressi delle coste, per evitare la spesa ed il mantenimento di nuove fortificazioni e per conservare l’equilibrio esistente tra città demaniali e città feudali.

Riguardo Monterosso, poiché la ricostruzione del paese, su un sito migliore dal punto di vista geomorfologico, si fece a pochissima distanza dall’antico sito, i feudatari non ritennero necessario l’espresso permesso della Giunta dei terremoti, ma solo quello del Governatore che diede immediatamente il suo assenso, questo anche perché Monterosso era un paese dell’interno e dunque a distanza notevole dal litorale. La desolazione che si registrava nella Terra di Monterosso la faceva apparire bisognosa di essere ricostruita a duecento passi dal sito originario su cui sorgeva, in un luogo pianeggiante, ricco di acqua e in posizione che facesse da crocevia con altre terre.

Infatti si era fatto presente che, se non si fosse assegnato in tempo agli abitanti un luogo fisso di dimora, essi non sarebbero più ritornati dove avevano lasciato solo rovine e distruzione e che avrebbero ceduto alle lusinghe del marchese di Giarratana, che già stava ricostruendo la sua città in altro luogo con aiuti ed esenzioni ed incentivava l’arrivo di nuovi abitanti che colmassero la parte di popolazione perita a causa del sisma. Qualche anno dopo il terremoto, per arginare la vera e propria emorragia di abitanti che, a causa del sisma, erano piombati in una situazione di miseria e povertà e continuavano ad andare via da Monterosso, si emanò un bando per il ripopolamento del paese che prevedeva per gli ex abitanti che avessero ripreso domicilio a Monterosso l’immunità per le cause civili e criminali e l’esenzione dai debiti e dalle gabelle così come per i forestieri che si fossero trasferiti in paese”.

Alessia Giaquinta