PALERMO – Il 2011 sarà il primo anno a segnare un incremento nel numero delle donne che fanno ricorso all’aborto in Sicilia, dopo un calo che è durato cinque anni consecutivi: un +1,5 per cento che significa 7.912 interruzioni volontarie di gravidanza, contro le 7.795 del 2010. È quanto ha messo in luce la relazione inviata dal ministro della Salute, Renato Balduzzi, ai presidenti del Senato e della Camera nei giorni scorsi. Sono una quarantina di pagine corredate da tabelle che ripercorrono i dati definitivi riferiti al 2010 sull’Ivg, arrivati quest’anno in ritardo rispetto alla relazione presentata dall’ex ministro Ferruccio Fazio già ad agosto 2011.
Tutte in ascesa le statistiche sulla Sicilia, agli antipodi rispetto alle indicazioni che vengono dalla media nazionale. È così che il tasso di abortivita? (ovvero il numero delle Ivg per mille donne in eta? feconda tra 15-49 anni), definito dallo stesso ministro Balduzzi “l’indicatore piu? accurato per una corretta valutazione della tendenza al ricorso all’Ivg”, è salito dal 6,4 al 6,5 per mille in un anno. Anche il rapporto di abortività, cioè il numero degli aborti ogni mille nati vivi, segna un’inversione di tendenza, attestandosi al 167,2 per mille, con un incremento del 4,2 per cento. Nel 2011, in altre parole, ogni cento neonati ne mancano all’appello altri 17, mai nati perché le gravidanze non sono state portate a termine.
I dati regionali parziali del 2011 vanno letti sì alla luce della crescita, in controtendenza, come detto, al trend negativo degli ultimi cinque anni, ma anche considerando che il dato nazionale è in calo rispetto al 2010. Sicilia e Valle d’Aosta sono le uniche regioni italiane a registrare un incremento di Ivg, a fronte di crolli netti come nel Molise (-20,5 per cento) o Campania (-17,5 per cento) e a una media nazionale che si attesta sul -5,6 per cento. Dati simili, ovviamente, si hanno anche per il tasso e il rapporto di abortività. La media siciliana è comunque ancora al di sotto di quella nazionale, come del resto nel passato: il tasso di abortività italiano è infatti al 7,8 per mille (nel 2010 si attestava mezzo punto più su).
La relazione del ministro presenta anche i dati definitivi del 2010. È stato fatto anche un confronto internazionale, prendendo in considerazione solo il tasso di abortività per ogni mille donne tra i 15 e i 44 anni: dei 18 Paesi presi in considerazione, l’Italia si attesta tra quelli con il tasso più basso (9,9), lontano da Francia (17,2), gli Usa (19,6) o la Russia (40,5).
Nel 2010, infine, il 2,3 per cento delle interruzioni di gravidanza in Sicilia è stato portato a termine oltre la dodicesima settimana: si tratta di una pratica limitata alle diagnosi prenatali sfavorevoli o alla condizione di salute della madre.
Sulla completezza dei dati, comunque, arriva una bacchettata del ministro alla Regione Siciliana e al referente regionale, ai quali è riconosciuto sì il merito di aver collaborato alla rivelazione, ma “si sono osservati alcuni problemi nella completezza del flusso dei modelli D12 in alcune Regioni (soprattutto Campania e Sicilia ma anche Abruzzo, Marche e Basilicata) per le quali è stato necessario integrare il dato con le informazioni raccolte dalle Schede di dimissione ospedaliera”.
I prossimi obiettivi: consultori e assistenza a straniere
PALERMO – Quali sono le prossime linee guida dell’attività del ministero lo spiega nell’introduzione al rapporto lo stesso Renato Balduzzi. L’obiettivo principale è “la promozione della procreazione responsabile”, che “costituisce la modalità più importante per la prevenzione dell’aborto”.
Sono due le principali sfide che deve raccogliere il sistema sanitario italiano. In primis, “è importante – si legge – potenziare la rete dei consultori familiari, che costituiscono i servizi di gran lunga più competenti nell’attivazione di reti di sostegno per la maternità, in collaborazione con i servizi sociali dei comuni e con il privato sociale”.
Altro punto che non va trascurato è quello legato ai migranti. “Specifica attenzione – conclude Balduzzi – dovrà anche essere posta verso i gruppi di donne straniere a maggior rischio di ricorso all’Ivg con specifici interventi di prevenzione che tengano conto anche delle loro diverse condizioni di vita, di cultura e di costumi”.
I primi dati sulla pillola abortiva: 156 casi tra 2010 e 2011
PALERMO – La novità della relazione del ministro Renato Balduzzi sta anche nei primi dati disponibili sull’utilizzo della “pillola abortiva”, la Ru486, che contiene il mifepristone, lo steroide che, associato al prostaglandine e somministrato alla donna che vuole interrompere la propria gravidanza, porta all’aborto medico.
In Sicilia si sono avuti 156 casi tra il 2010 e la prima metà del 2011. I dati iniziano dal secondo trimestre di due anni fa e indicano che 57 sono le Ivg portate a termine con la pillola Ru486 tra aprile e dicembre 2010, a fronte di 99 tra gennaio e giugno 2011.
Nelle altre regioni, la situazione è molto varia. In Calabria e in Abruzzo la pillola non è stata usata nel 2010 e altrettanto è successo nelle Marche nel 2011, ad esempio. Tutto il contrario in Piemonte ed Emilia Romagna, dove i casi tra gennaio 2010 e giugno 2011 sono stati rispettivamente 1.356 e 2.271. In totale, in Italia si sono avuti 7.240 casi in 12 mesi, a cui però mancano i dati del secondo semestre 2011 di Lazio e Liguria.
Introdotto sul mercato italiano nel 2009, ma già sperimentato sin dal 2005, il metodo ha affiancato il raschiamento e l’isterosuzione. Questi, utilizzati sin dai primi anni dall’introduzione della legge nel 1978, hanno rappresentato fino al 2010 oltre il 94 per cento dei casi. Ma il valore ha perso ben tre punti percentuali rispetto al 2009 e, a questo punto, è destinato ulteriormente a diminuire per la rapida diffusione dell’aborto medico, malgrado le forti critiche legate all’introduzione sul mercato della pillola.
Obiettori di coscienza: fenomeno stabile. Palagiano: “Diritti delle donne da garantire”
PALERMO – Sono percentuali che non si discostano da quelle degli anni precedenti quelle legate all’obiezione di coscienza di medici, personale non medico e anestesisti. È un diritto garantito per legge che, tuttavia, ha un’incidenza che può anche creare dei problemi forti alle donne che hanno intenzione di metter fine alla gravidanza e costringerle ad affrontare viaggi in altre province, regioni o, addirittura, all’estero.
In Sicilia sono 425 i ginecologi che professano questo diritto (l’80,6 per cento del totale), 472 gli anestesisti (78,1 per cento) e 1.308 il personale non medico (86,9 per cento). Queste ultime due sono percentuali altissime, ineguagliate nelle altre regioni, mentre quella dei ginecologici obiettori è più alta a Bolzano, in Molise, Campania e Basilicata. Il valore nazionale è infine salito per i ginecologici dal 58,7 per cento del 2005 al 69,3 per cento del 2010, registrando comunque un lieve calo rispetto al 2009.
Ed è per questo che il deputato Antonio Palagiano, presidente della Commissione d’inchiesta sugli errori e i disavanzi sanitari e responsabile sanità Idv, ha lanciato il suo allarme rispetto al fenomeno: “In Italia, la grande diffusione dell’obiezione di coscienza in campo medico impedisce, di fatto, la piena applicazione della legge 194/78: i dati presentati oggi dal Ministero, purtroppo, non lasciano spazio a dubbi. È necessario intervenire per garantire alle donne il diritto di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza e ai medici quello di essere obiettori”.
Palagiano tenta anche di proporre una soluzione, attraverso i lavori parlamentari: “Per veder efficacemente garantiti i diritti di entrambi – ha spiegato – si deve ripartire proprio dalla ripresa della discussione in Parlamento delle mozioni su questo tema, una discussione bruscamente interrotta, forse perché troppo scomoda. A tal proposito, fondamentale, da parte del legislatore, sarebbe assumere ogni iniziativa affinché la gestione organizzativa e del personale delle strutture ospedaliere sia realizzata in modo da evitare che vi siano presidi con oltre il 50% di obiettori. Questo al fine di garantire un’assistenza sanitaria omogenea su tutto il territorio nazionale ed evitare la costosa e difficile migrazione interregionale. Solo così potrà dire di tutelare le donne italiane, anche quelle che vivono in regioni dove l’obiezione raggiunge l’80%”.