Nel disegno di legge è prevista la deducibilità dei finanziamenti di privati e imprese ai partiti, il che comporta un certo costo tributario per lo Stato ma, almeno, si può contare la voglia dei cittadini nel finanziare coloro che ritengono meritevoli di rappresentarli.
La paura maledetta dei partitocrati è che questa voglia non ci sia e, per conseguenza, pur in presenza di un vantaggio fiscale, nessun cittadino darebbe un euro a coloro che hanno dimostrato in questi 20 anni di essere indegni di rappresentarli.
Noi abbiamo rilevato una certa inutilità dei grilletti, 160 persone circa scaricate in Camera e Senato senza alcuna cognizione o competenza di come funzionino le istituzioni. Però dobbiamo dare atto che, su questo argomento, si stanno battendo strenuamente ricevendo un grande consenso da parte dell’opinione pubblica.
Da un canto, hanno restituito 42 milioni alle due Camere, limitandosi a percepire una parte minore dei loro emolumenti. D’altro canto, stanno continuamente operando all’interno delle Camere stesse e delle relative commissioni per far approvare il Ddl governativo.
L’art. 49 della Costituzione dice che tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti, ma non che questi ultimi siano soggetti principali, mentre sono stati trasformati in sanguisughe che assorbono dannosamente risorse pubbliche.
In quasi 70 anni, da quando la Costituzione è stata approvata, nessun uomo politico ha proposto la regolamentazione per legge dei partiti, come è in quei Paesi ove la democrazia è vera, perché tutti hanno speculato sull’assenza di norme precise.
Sono tre le condizioni che rendono i partiti soggetti abilitati a rappresentare i cittadini: a) uno statuto-tipo che assicuri democraticità interna e totale trasparenza; b) un bilancio certificato da società di revisione iscritte alla Consob, anch’esso messo sul sito completo di dettagli; c) un finanziamento da parte di imprese e cittadini, interamente deducibile fiscalmente. In assenza di queste tre condizioni, i partiti sono soggetti illegittimi, non perché contrari alla legge, ma perché violano le regole etiche della convivenza, secondo le quali ogni spesa pubblica deve avere un’utilità pubblica.