PALERMO – La crescita costante negli ultimi anni dell’export del made in Sicily ha trovato il suo culmine nel 2012 e si mantiene alta nel primo trimestre del 2013, malgrado un brusco rallentamento. Il rapporto annuale sul commercio estero dell’Ice (Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane) ha messo in luce che le esportazioni sono arrivate lo scorso anno alla cifra record di 13 miliardi di euro, segnando un +21,2 per cento, in crescita rispetto alla media italiana e dell’intero Meridione. Nei primi tre mesi del 2013, tuttavia, si è registrato un lieve calo di 300 milioni di euro rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.
Dopo un crollo del -37,7 per cento del 2010 sui dati del 2009, la Sicilia è tornata così ai livelli pre crisi e ha, anzi, migliorato di tre miliardi di euro il valore dell’export rispetto al 2008. Sul fronte provinciale, è la Sicilia orientale a fare da traino per lo sviluppo del settore: oltre l’80 per cento del dato complessivo del 2012 proviene infatti dalle aree di Siracusa, Messina e Catania, contribuendo rispettivamente con 9,3, 1,3 e 1,2 miliardi di euro. Rispetto al 2011, sono stati invece bruschi i cali di Caltanissetta (-32,2%), Agrigento (-9,5%) e Palermo (-8,7%).
La fetta più alta delle esportazioni siciliane, com’è prevedibile considerando quale sia la provincia che conta più ricavi, riguarda i prodotti derivanti dalla raffinazione del petrolio (9,8 miliardi di euro, +2 miliardi rispetto al 2011 e +3,5 rispetto al 2010), ad opera prevalentemente degli impianti nel triangolo industriale Priolo-Melilli-Augusta. Sono in calo i prodotti chimici di base (601 milioni di euro), mentre si è registrato un boom per i componenti elettronici (459 milioni di euro). Ancora probabilmente c’è da lavorare per spingere sul fronte dell’agro-alimentare: tra prodotti di colture permanenti e non permanenti, ortaggi, frutta e bevande si raggiunge la cifra di 635 milioni di euro, in calo dell’8 per cento rispetto al 2011.
È la Turchia il Paese straniero con cui si intrattiene il maggior numero di scambi, seguita dagli Stati Uniti e da alcuni dei Paesi del Nord Africa. È oltreoceano che l’incremento è stato più marcato (+4,7%). Sono 4.125 i soggetti che dalla Sicilia si dedicano all’export, con un incremento del 2,1 per cento e anche degli introiti medi (da 2,6 a 3,1 milioni di euro ciascuno).
Ancora numeri per ciò che riguarda i servizi. È questo, insieme al settore dei prodotti petroliferi, che ha registrato il boom maggiore: +20,5 per cento tra il 2011 e il 2012, con oltre un milione di euro di valore commerciale. Si tratta di un dato in controtendenza anche perché in Sardegna si è registrato invece un calo.
Infine, il dato parziale sul primo trimestre del 2013 riporta un segno meno del 9,9 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Le minori vendite realizzate sul mercato europeo (-18,2%) e su quello extra Ue (-5,2%) hanno trascinato al ribasso i valori generali, ma il tutto è sempre e solo legato a una voce del “bilancio”: i prodotti petroliferi e legati al carbone, che perdono il 18,8 per cento e quindi annullano gli incrementi di larga parte degli altri comparti produttivi.
Ma l’import di greggio supera l’export: 17,7 mld
PALERMO – Lo sviluppo siciliano potrebbe essere comunque molto più spinto dal commercio con l’estero se non si dovessero importare quasi 21 miliardi di euro di prodotti dall’estero (in netta crescita rispetto agli anni scorso, addirittura +9,8 miliardi rispetto al 2009. La bilancia tra import ed export segna così -8 miliardi, dato su cui pesano (ancora una volta) le voci che riguardano il petrolio greggio (15 miliardi solo nel 2012) e i prodotti della sua raffinazione (2,7 miliardi).
Infine, a livello nazionale, la ricerca dell’Ice (intitolata “L’Italia nell’economia internazionale 2012-2013”) evidenzia che le imprese esportatrici di merci italiane nel 2012 hanno messo a segno un aumento delle vendite oltre confine del 3,7 per cento. A questo risultato ha contribuito positivamente il miglioramento della competitività di prezzo dei prodotti industriali italiani, anche grazie all’andamento dei tassi di cambio e all’effetto di una crescita contenuta dei prezzi dei prodotti sui mercati esteri. (rq)