PALERMO – Imprese troppo piccole ed a conduzione familiare. In questo momento di crisi internazionale questo modello rappresenta una vera e propria zavorra per una qualsiasi economia locale. Inevitabile che il pensiero finisca proprio sulla Sicilia che, nel panorama europeo, è il paese dove si riscontra in percentuale il più alto numero di piccole imprese con caratteristiche prettamente a conduzione familiare.
Il risultato è quello di vedere delle attività che non sono innovate nel settore e che quindi faticano in un’era in cui il mercato parla una lingua globalizzata nell’ambito di uno scenario di livello internazionale. Con i mercati senza frontiere la Sicilia industriale quindi crolla. E sono i numeri che parlano chiaramente: la Sicilia, e il Sud più in generale, arrancano rispetto a tutto il resto d’Italia proprio perché c’è la più alta concentrazione di microimprese. Il calo della produzione e del fatturato (rispettivamente -16 e -14,1 per cento), mantenutosi sostanzialmente stabile rispetto al trimestre scorso, interessa in misura maggiore le imprese fino a 49 dipendenti ha potuto riscontrare in un suo recente studio Unioncamere.
Le imprese con oltre 50 dipendenti, invece, contengono la flessione della produzione al –14,5 per cento e del fatturato al –13,2 per cento, con un miglioramento complessivo rispetto alle performance messe a segno del I trimestre dell’anno. A livello territoriale, per le Regioni del Nord si assiste a un recupero rispetto al I trimestre, mentre in Sicilia la produzione è crollata del 16,5 per cento per le imprese del settore industriale e il fatturato del 14,3 per cento. In media due punti percentuale in più rispetto alle altre aree geografiche italiane. Non a caso proprio nell’Isola i più grandi gruppi industriali sono in grave difficoltà.
Ne è una prova il ricorso alle ferie pilotate e poi alla cassa integrazione per circa 2 mila e 200 dei 4 mila dipendenti complessivi dello stabilimento della St Microelectronics a Catania, uno dei più grandi produttori mondiali di semiconduttori e componenti elettronici, colonna portante della Etna valley.
Il drastico calo produttivo causato dalla crisi dei consumi (auto, elettrodomestici, elettronica) ha costretto i vertici della multinazionale a percorrere tutte le strade per ridurre la saturazione dei magazzini. Ad accorgersi di questo stato di notevole arretratezza nel campo dell’innovazione proprio i grandi imprenditori industriali operanti in Sicilia: “È uno stato di salute comune a tutto il settore dei semiconduttori – spiega Carlo Marino, direttore del sito di Catania della Stm –. Anzi noi non abbiamo chiuso né previsto licenziamenti. Dal secondo trimestre del 2008, quando si è cominciata a sentire forte la crisi, stiamo cercando di riadattare la produttività alle richieste di mercato”.
Il Censis ha puntato la sua attenzione proprio sulla Sicilia dove è stato appurato che si spende pochissimo in ricerca e sviluppo: appena 123,9 euro per residente a fronte di 257,6 euro pro-capite registrate in Italia. E poi, ci sono 17,6 ricercatori ogni 10 mila abitanti contro i 29,5 rilevati nel resto del Paese.
L’approfondimento. La Sicilia sconta la sua arretratezza
La crisi economica ha colpito pesantemente vari settori dell’industria italiana, formata prevalentemente da Pmi che hanno dovuto imparare un’amara lezione, che devono crescere per rendersi meno vulnerabili. Il tessuto industriale italiano è formato prevalentemente da piccole e medie aziende, in cui prevale ancora la gestione familiare, mentre sarebbe ormai necessaria una maggiore managerializzazione di queste imprese. Infatti, l’organizzazione di stampo familiare ancora prevalente, può ridurne la competitività.
Un processo lungo e che richiederà ancora molto tempo specie per la Sicilia dove in più di ogni altro posto in ambito nazionale si sente forte questa arretratezza in sviluppo e innovazione.
“Qualcosa si muove tranne al Sud – ha affermato il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello – perché bisogna puntare su un’offerta sempre più competitiva e innovativa. è evidente che occorre ancora attendere per una crescita sostenuta delle nostre esportazioni, ma vanno colte le indicazioni incoraggianti che provengono dal mercato tedesco oltre che da quelli asiatici e del medio-oriente. Sul mercato nazionale le Pmi manifatturiere intendono trarre vantaggio da un cauto miglioramento del clima di fiducia delle famiglie”.