PALERMO – Gli spazi che stanno occupando i social network nella vita quotidiana si ampliano di giorno in giorno. I nostri dati personali sono usati, venduti, scambiati, rivoltati come calzini; insomma, la privacy è in pericolo e gli utenti spesso sono causa dei loro mali.
Poco prima di Ferragosto, non ha avuto molto risalto la notizia diffusa dal Consumer watchdog, il sito-“cane da guardia” dei consumatori oltre-oceano, che ha riportato delle dichiarazioni degli avvocati di Google. Il colosso statunitense si è difeso da una class action contro le sue politiche sui dati personali sostenendo che se si è utenti di Gmail (il servizio gratuito di posta elettronica) non si può pretendere di avere la privacy.
“Proprio come chi manda una lettera a un collega di lavoro non può essere sorpreso se l’assistente del destinatario la apre – scrivono i legali dell’Inc. di Mountain View –, le persone che usano i servizi di email oggi non possono stupirsi se le loro comunicazioni vengono analizzate dalle aziende durante la consegna. Non si possono avere legittime aspettative di privacy nei confronti di informazioni che sono state cedute ad altri”. Il motivo di queste “analisi” è per migliorare i filtri antispam, ufficialmente.
La reazione degli utenti non s’è fatta attendere. “Google – ha detto l’attivista John M. Simpson – ha finalmente ammesso che non rispetta la privacy. Se avete a cuore le vostre informazioni personali, non usate Gmail”.
Intanto, con la ripresa dei lavori del Parlamento europeo a Bruxelles, si inizia ora a esaminare il pacchetto di leggi proposto dalla Commissione europea per aggiornare le norme del 1995 sulla protezione dei dati personali. In particolare si parlerà della riforma del diritto all’oblio e della richiesta esplicita dell’utilizzo dei dati da parte delle aziende.